LE AMAZZONI, GUERRIERE DELLA LUNA: INVENZIONE O STORIA? -sesta parte (gli dei lunari; il dio ebraico nume lunare?)-

Non possiamo fare a meno di osservare che presso le popolazioni semitiche occidentali e meridionali ad un dio lunare maschile, -al quale in genere è attribuita una maggiore importanza- fa riscontro una dea solare femminile; ed anzi presso le tribù arabe, nonché in Etiopia ed Eritrea, anche al pianeta Venere -che è una delle immagini e incarnazioni divine più venerate dai Semiti- è attribuito di solito carattere maschile (ma più di rado femminile), ed è identificato nel dio Athtar, – chiamato Hagar presso i Sabei, gli abitanti del regno di Saba-, invocato per ottenere le piogge apportatrici di fertilità e la benefica umidità notturna.

Per alcuni questa particolarità potrebbe essere indizio di una sorta di matriarcato ancestrale presente nell’organizzazione sociale di queste popolazioni; ma il più delle volte gli studiosi hanno ritenuto che il sesso maschile e la maggior importanza accordata alla Luna siano da attribuire al fatto che nelle regioni desertiche, caratterizzate da grande aridità, la notte, rischiarata dall’argenteo astro, rappresenti il momento migliore della giornata, che arreca frescura e umidità, favorendo quindi le attività umane, mentre le ore diurne in cui il Sole risplende con accecante fulgore e calore sferzante, sono quelle che ostacolano la vita della natura e dell’uomo. Quanto a Venere, oltre a svolgere in misura minore la medesima funzione della Luna, specie quando quest’ultima sia assente dai cieli, aiuta ad orientarsi le carovane che percorrono il deserto.

Tuttavia è degno di nota il fatto che talora la definizione sessuale delle divinità astrali appare fluttuante, e la medesima entità divina a volte viene descritta come femminile e a volte considerata come maschile. Ruda, ad esempio, una delle più importanti divinità del pantheon degli Arabi pre-islamici, è il più delle volte invocata come dea, ma talora è vista come un dio, e in alcuni luoghi, come a Palmira, identificata anche con Arsu,  il dio associato alla stella del tramonto, ovvero Venere occidentale, che segue il Sole (Phosphoros per i Greci); essa è oscillante anche nel riferimento astrale, che è sia la Luna, sia Venere nel suo aspetto vespertino. Per alcuni il nome Ruda potrebbe essere derivato da quello del dio indiano Rudra, onorato nell’arcaica civiltà pre-aria dell’Indo (e che sarebbe poi divenuto il Siva degli Indù, i cui spiccati caratteri lunari confermerebbero un’origine comune con al divinità semitica).

Dierk Lange scrive che Ruda faceva parte di una triade di divinità adorate dalla confederazione tribale Yumu’il. che rivendicava ascendenza ismailita, dell’Arabia del nord, guidata dal clan di Kedar (clan detto appunto dei Kedariti -o Kadariti-)(1): secondo tale autore, Ruda era la divinità della Luna e Nuha quella del Sole mentre Atar-samain, associata al pianeta Venere, era la divinità più importante delle tre.

Queste tre divinità astrali, -Luna, Sole e Venere- costituiscono spesso una triade ed erano accomunate sia nelle attribuzione sia nel culto, così come avveniva in Mesopotamia: una trinità divina che rappresenta Sole, Luna e Venere si trova infatti anche nell’Arabia del sud, nei regni di Awsan, Majin, Qataban e Hadramaut, tra il IX e il IV secolo a. C.: la divinità nella quale è personificata Venere è Astarte (Athtar), quella del Sole è Shams, mentre quella che si incarna nella Luna trovasi denominata talvolta Wadd, talaltra Amm, ovvero Sin.

Ma le trinità divine, aventi carattere più o meno spiccatamente astrale, come avremo modo di vedere in seguito, si ritrovano spesso anche nella religiosità delle popolazioni aramaiche e poi siriache, specie in epoca tarda ellenistico-romana.

La dea- Sole, Shams o Shamsun presso gli Arabi e Shapash presso i Cananei, -nomi entrambi molto simili a quello di Shamash assiro-babilonese- era adorata con diversi appellativi: ad esempio nel regno di Saba, Dhat Hymyam (“Colei che manda i suoi strali”) e Dhat Ba’adan (“Colei che si allontana” per indicare i cambiamenti dovuti all’alternarsi delle stagioni); Dhat Zahran nel regno di Qataban; Sayyin nell’Hadramaut; Samayhat (“Celeste), Tanùf (“Sublime”), Uzzayin” (“Potente”) in vari luoghi.

La dea Allat in mezzo alle dee Manat e al-Uzza.
La dea Allat in mezzo alle dee Manat e al-Uzza.

Quanto agli dei lunari, -tra le quali si nota una tipologia più ampia e differenziata (e ai quali abbiamo già accennato in precedenza)-, possiamo annoverare innanzi tutto lo stesso Sin mesopotamico; Ilumqud, una delle principali divinità venerate nel regno di Saba, dove esistevano due grandi templi a lui dedicati, a Marib, -la capitale-, e a Ba’aran ed era invocato come “Signore Toro Celeste”, del quale le sottili falci lunari sono le corna; Amm, o Ammun (“zio”), adorato soprattutto nel regno di Qataban, nel sud dell’Arabia, i cui abitanti designavano sé stessi come “Amm Banu” (Figli di Amm), invocato con l’epiteto di “ray’an” (“colui che cresce”), considerato anche un dio del tempo atmosferico, che aveva tra i suoi attributi i fulmini e la dea Athirat, -ovvero Astarte- (in questo caso dunque dea come presso i Cananei e i Mesopotamici) come consorte (2); Ilmuqa, -o Almaqa-, venerato soprattutto dai Minei, così come Nahastab (“Buon Serpente”) e Wadd, -o Wadad-, quest’ultimo conosciuto anche in altre aree dell’Arabia, il cui nome significa probabilmente “amico”, -o “amicizia”-, ricordato nel Corano (sura LXXI, 23) e citato da Hisham ibn al-Kalbi nella sua opera “Kitab al-Asnam” (Libro degli Idoli). Wadd è forse da identificare con “Rahìm” (“il Misericordioso”) menzionato in epigrafi palmirene e safaitiche e che riapparirà poi nell’espressione coranica, riferita ad Allah, “Al Raham al-Rahim”; in queste due figure divine pertanto è da ravvisarsi una forma di Allah (3).

Ma tornando a Sin, il dio lunare assiro-babilonese, è alquanto significativo che i principali centri del suo culto fossero proprio quelli che segnarono le tappe della vita e degli spostamenti di Abramo, colui che è considerato il capostipite non solo degli Ebrei, ma pure degli Arabi e di altre popolazioni minori quali gli Edomiti, i Madianiti, gli Ammoniti e i Moabiti: Ur, la città dalla quale il patriarca biblico era partito; ed Harran la sede dove egli si stabilì, prima di riprendere le sue peregrinazioni per recarsi prima nella “terra di Canaan” e poi in Egitto.

Sul fatto che la migrazione di popolazioni semitiche adombrata dalle peregrinazioni di Abramo (che come personaggio distinto appare per la prima volta solo nel periodo esilico e post-esilico, quando si ebbe la stesura dei libri biblici del Pentateuco, almeno nelle forme che sono a noi giunte)  e della sua famiglia, nonché dei suoi discendenti, sia da identificare nelle vicende degli Hyksos, abbiamo già parlato negli articoli dedicati a questo argomento apparse nel 2013.

Dobbiamo però ricordare che gli autori antichi sono tutti propensi a questa identificazione, e in questo senso oltremodo significativa è la testimonianza di Flavio Giuseppe, il quale nella sua opera apologetica degli Ebrei “Contra Apionem” (4), sulla scorta della “Storia Egiziana” scritta dal sacerdote egizio Manetone, -vissuto al tempo dei re lagidi Tolomeo I Sotere e Tolomeo II Filadelfo (tra il IV e il III secolo a. C.)-,  sostiene che i “Re-Pastori” (poiché questo sarebbe il significato del termine “Hyksos” -hyk-“re” e -sos- pastore)(5) sarebbero stati di stirpe ebraica. Studiosi moderni hanno tentato di riconoscere, nei faraoni Hyksos, che costituiscono le dinastie XV e XVI, -peraltro poco noti (sebbene i loro nomi appaiano su moltissimi manufatti rinvenuti in diversi paesi anche assai lontani dall’Egitto) -, alcuni patriarchi biblici: in particolare Maa-Ib-Ra, conosciuto anche come She-shi, sarebbe lo stesso Abramo; mentre Yaqub-Har, potrebbe essere il Giacobbe biblico. Un altro possibile candidato, ma con minori probabilità-, ad essere identificato con il patriarca biblico è il faraone Meribra, sovrano della XVI dinastia, che regnò in alcune località del Basso Egitto, in età più o meno contemporanea alla XV, e i cui monarchi, -ugualmente di stirpe hyksos,- sono ritenuti vassalli di quelli della XV dinastia.

In tempi recenti poi è si è sostenuto, -in particolare da parte di Messod e Roger Sabbah, ricercatori francesi di origine ebraica, nel loro libro “I segreti dell’Esodo”, uscito nel 2000-, che in realtà Abramo altri non sarebbe che il famoso faraone riformatore Amenhotep IV, che assunse, poi il nome di Akhenaton e diede un’impronta monoteistica, o enoteistica alla religione egizia, incentrandone il culto e la venerazione sul dio supremo Aton, concepito e rappresentato come il disco solare che dona la vita (6).

Ricostruzione moderna di Akhetaton , la capitale del faraone Akhenaton (odierna Tell el-Amarna).
Ricostruzione moderna di Akhetaton , la capitale del faraone Akhenaton (odierna Tell el-Amarna).

Occorre peraltro sottolineare che la riforma religiosa di Akhenaton fu anche e soprattutto una rivoluzione politica e amministrativa,- che aveva cercato di arginare lo strapotere politico ed economico del clero-, poiché dal punto di vista strettamente dottrinale le concezioni teologiche egiziane nelle loro forme più elevate trascendevano la distinzione tra “monoteismo” e “politeismo”, e sebbene la religiosità popolare rivolgesse la sua adorazione a un gran numero di divinità (così come nel cattolicesimo popolare ebbe enorme sviluppo il culto dei santi e delle reliquie), non vi era contraddizione tra il Principio e le sue manifestazioni, tra l’Uno e il molteplice (e in questo senso le dottrine iniziatiche egizie possono essere accostate al neoplatonismo di Plotino e Porfirio).

Secondo questa teoria, gli antenati degli Ebrei non sarebbero pertanto gli Hyksos, -o comunque non solo costoro o altre genti semitiche-, ma Egizi rimasti fedeli alla riforma religiosa di Akhenaton, i quali sarebbero fuggiti dalla città di Akhet-Aton -fondata dal faraone come nuova capitale in contrapposizione a Tebe, dove dominava il clero di Amon-Ra-, dopo che il faraone Ay, successore di Tutankhamon (già Tutankhaton), ristabilita la preminenza del culto di Amon-Ra, cominciò a perseguitarli. Quanto a Mosè, -secondo i suddetti studiosi-, egli sarebbe da indentificare nel generale Ra-Messou, il quale sarebbe poi divenuto il faraone Ramses I (7).

Ma le due ipotesi (origine dagli Hyksos e origine egiziana) si possono conciliare poiché i capi e l’aristocrazia della futura stirpe israelitica sarebbero stati sacerdoti egizi di Aton, mentre la massa del popolo sarebbe stata semitica. I due studiosi anzi ipotizzano che dai primi sarebbero derivati i “Giudei” veri e propri, -dal termine “Yahouds” che indicava appunto secondo loro questa classe sacerdotale- e dagli altri gli Israeliti (e tale distinzione avrebbe portato in seguito alla formazione in Palestina dei due regni di Giuda e di Israele).

Akhenaton in aspetto di sfinge in adorazione del dio Aton.
Akhenaton in aspetto di sfinge in adorazione del dio Aton.

E’ comunque probabile che Mosè, nobile egiziano esperto, -come afferma la stessa Bibbia- nei segreti della sapienza sacerdotale, abbia innestato il monoteismo solare di Aton nella sua forma di ideologia politica sull’antico culto lunare di Yawhè, sopravvissuto in una parte della popolazione semitica che aveva costituito il gruppo degli Hyksos per cementare popolazioni eterogenee, come si po’ arguire anche dal fatto che il popolo d’Israele era suddiviso in dodici (numero ovviamente simbolico) tribù -in parte semitiche e in parte egizie (la moglie del biblico Giuseppe secondo la stessa Bibbia era l’egiziana Asenath, figlia di un sacerdote di Osiride)-, e costruire uno spirito nazionale. Ed in effetti la figura che emerge dallo stesso testo biblico, più che quella di un mistico o di un profeta, o anche di un mago -come Mosè era considerato anche nel mondo greco-romano-, è quella di un condottiero energico e spietato e di un legislatore accorto e astuto.

Secondo la narrazione di Manetone riportata da Flavio Giuseppe nel libro “Contra Apionem”, -che abbiamo citato poc’anzi,- (I, 26) il vero nome di Mosè sarebbe stato Osarseph. Seguendo tale racconto, accadde che ad un faraone d’Egitto, chiamato Amenofi, sorse l’ardente desiderio di poter contemplare con i suoi occhi gli dei, -così come aveva fatto Horo, uno dei suoi predecessori-; a tal fine chiese consiglio a un certo Amenofi, suo omonimo, figlio di Paapis, il quale per la sua saggezza e la sua capacità di svelare gli eventi futuri sembrava partecipare della natura divina.

Questi rispose al re che l’unico modo per poter realizzare la sua aspirazione era quello di ripulire l’Egitto dai lebbrosi e da tutti gli “impuri”. Fu così che circa 80.000 di questi sventurati furono radunati e mandati a lavorare nelle cave di pietra che si trovavano oltre la riva destra del Nilo, segregati dal rimanente del popolo egizio. Tra di essi tuttavia vi erano anche alcuni sacerdoti eruditi che erano stati contagiati dalla lebbra.

Il saggio indovino Amenofi si rammaricò per questo del consiglio che aveva dato al faraone e temette di aver attirato su di lui e sul sovrano suo omonimo la collera degli dei, in qualche modo costretti a lasciarsi contemplare da occhi umani. Egli con il suo spirito profetico vide anche che degli stranieri sarebbero venuti in soccorso degli “impuri”, avrebbero deposto il monarca e avrebbero dominato l’Egitto per tredici anni; ma, non osando rivelare al re la terribile profezia, la mise per iscritto e si tolse la vita.

Venuto a conoscenza della predizione e della morte dell’indovino, il re cadde nello sconforto e decise di mutare il suo atteggiamento nei confronti degli infelici che aveva segregato nelle cave. Flavio Giuseppe, affermando di riferire le testuali parole di Manetone, dichiara che gli infermi soffrivano già da lungo tempo, quando il faraone, esaudendo la loro richiesta, acconsentì a concedere loro come dimora l’antica città di Avaris, che era stata la capitale degli Hyksos, -consacrata a Seth, il dio protettore della monarchia hyksos, (identificato dai Greci con Tifone)-, che giaceva allora abbandonata ed essi vi si insediarono. Ma poco dopo nella loro nuova residenza cominciarono ad organizzare una rivolta ed elessero loro capo un sacerdote di Eliopoli chiamato Osarseph, al quale giurarono obbedienza.

Ramses II.
Ramses II.

Costui emanò nuove leggi ed introdusse costumi del tutto contrastanti con quelli egiziani: egli impose loro di non adorare gli dei, di non rispettare gli animali sacri per la religione egizia, ma anzi di ucciderli e consumarne le carni. Inoltre comandò loro di non unirsi ad altri che non avessero pronunciato il medesimo giuramento; indi fece riparare le mura ormai diroccate della città e comandò di prepararsi alla guerra contro il faraone Amenofi. Infine si assicurò la collaborazione degli altri sacerdoti ed inviò ambasciatori a Gerusalemme nella terra di Canaan, dove si erano rifugiati gli Hyksos, per invitarli ad allearsi con essi e invadere insieme l’Egitto, promettendo di restituire loro il dominio del paese. Gli Hyksos accettarono la proposta e in numero di 200.000 si mossero in aiuto di Osarseph e in breve tempo giunsero ad Avaris.

Il re Amenofi, memore della profezia del suo omonimo, non fu sorpreso dell’invasione: fece condurre nei templi gli animali sacri più venerati e raccomandò ai sacerdoti di nascondere con cura le statue degli dei; quanto a suo figlio Seti, di cinque anni, -chiamato anche Ramesse dal nome di suo nonno Ramsete (8)-, provvide e metterlo al sicuro presso un suo amico. Indi si diresse contro il nemico, ma senza attaccare battaglia; poi, ritenendo che non si potesse combattere gli dei (cioè opporsi al loro volere), tornò indietro alla volta di Menfi, e con tutto il suo esercito riparò in Etiopia, il cui sovrano, che gli doveva riconoscenza, l’accolse benevolmente e provvide al loro sostentamento, assegnando loro città e villaggi ove potessero trascorrere i tredici anni durante i quali secondo la profezia i traditori e gli stranieri avrebbero dominato sull’Egitto.

Ma i Gerosolimitani (gli abitanti di Gerusalemme) unitisi con gli Egiziani impuri impadronitisi del paese trattarono gli abitanti in modo si barbaro e crudele che al confronto la precedente dominazione hyksos parve un’Età dell’Oro: essi non soltanto incendiarono città e borghi, non si contentarono di depredare i templi e di mutilare le statute degli dei, ma trasformarono i santuari in sacrileghe cucine ove gli animali sacri venivano arrostiti, obbligando i sacerdoti e i profeti ad essere i carnefici e gli assassini di quelle povere bestie, per poi espellerli dal paese dopo averli denudati.

Nel frattempo Osarseph, che era stato sacerdote di Osiride e il cui nome ricordava il dio di Eliopoli, aveva cambiato il suo nome e veniva chiamato Mosè.

Quando furono trascorsi i tredici anni, Amenofi ricostituì le proprie forze militari e con l’aiuto di un secondo esercito guidato da suo figlio, attaccò gli Hyksos e gli “impuri”, li sconfisse duramente e li inseguì fino ai confini della Siria.

Questa è la storia narrata nell’opera perduta di Manetone qual è riferita da Giuseppe Flavio. Confrontandola con i dati offerti dalle testimonianze storiche, epigrafiche ed archeologiche, è evidente che non è da prendere alla lettera, ma ha senza dubbio un fondo di verità e, pur se tra molte deformazioni e inesattezze, -involontarie e/o volontarie-, nelle grandi linee offre una versione attendibile di quello che fu l'”esodo” degli Israeliti dall’Egitto, e l’origine dello stato ebraico. Inoltre la figura di Osarseph, sia o non sia da identificare con il Mosè biblico, ha indiscutibilmente molti punti di contatto con quest’ultimo: entrambi dimostrano determinazione, energia, volontà indomita spinta fino alla crudeltà, la capacità e l’intenzione di trasformare gruppi incoerenti ed eterogenei di individui in una vera nazione.

Ma vediamo di esaminare alcuni dei principali elementi che appaiono nel racconto di Manetone. Il faraone di cui si parla è chiamato Amenofi: sappiamo che vi furono quattro faraoni con tale nome (Amenhotep), dei quali l’ultimo fu Amenofi IV, meglio conosciuto come Ekhnaton o Akhenaton, il quale regnò all’incirca dal 1352 al 1338 a. C. (comunque nel XIV secolo a. C.), quando ormai gli Hyksos non comandavano più da almeno un secolo e mezzo; ma ben difficilmente può trattarsi anche di uno degli altri tre Amenofi, poiché il periodo in cui vissero è troppo lontano dall’arco temporale, – tra gli ultimi faraoni della XVIII dinastia e i primi della XIX (dal 1340 al 1200 a. C)- in cui tutti gli studiosi collocano la data dell'”esodo” (o della cacciata) degli Ebrei o dei loro antenati dall’Egitto (però l’ipotesi prevalente è, o era, quella che poneva tale evento negli ultimi anni di governo di Ramses II, intorno al 1220 a. C.). Peraltro il fatto che ad Amenofi sia attribuito come figlio Seti, che avrebbe avuto anche il nome di Ramesse, come suo nonno (cioè il padre di Amenofi), (si tenga presente però che Flavio Giuseppe chiama “Ramesses” il nipote e “Rampses” il nonno, distinguendo i due nomi!), induce a pensare che in realtà il faraone di cui si parla sia proprio uno dei primi della XIX dinastia: infatti dal 1295 al 1213 a. C. si succedettero sul trono d’Egitto Ramses I, Sethi I e Ramses II, tramettendosi la corona di padre in figlio.

Mosè si toglie i calzari davanti al "roveto ardente" (mosaico del VI secolo nelle basilica di San Vitale a Ravenna).
Mosè si toglie i calzari davanti al “roveto ardente” (mosaico del VI secolo nelle basilica di San Vitale a Ravenna).

Osserviamo poi che in codesta narrazione si asserisce che gli Hyksos o una parte di essi si era già stabilita in Palestina, -o meglio in quella che sarà poi chiamata Palestina dal nome dei Filistei (9)- e teneva il regno di Gerusalmme: dalla cosiddetta “Stele della Vittoria”, risalente al V anno di regno del faraone Merenptah, figlio di Ramses II (circa il 1208 a. c.), in cui il sovrano celebra la sua vittoria su diverse popolazioni in particolare i Libici, contro i quali aveva vinto un’importante campagna militare, si fa menzione per la prima volta, insieme ad altre popolazioni dell’area siro-palestinese, di un “regno di Israele” -di cui si dice che “è stato completamente raso al suolo, ma non il suo seme”-, che quindi sarebbe esistito ben prima di quanto si pensava, quando ancora secondo le ipotesi un tempo prevalenti gli Israeliti vagavano ancora nel deserto del Sinai. Com’è noto, la nascita del regno di Israele è concordemente collocata temporalmente intorno al 1030 a. C. quando il primo monarca, Saul, fu consacrato da Samuele; la capitale del regno poi divenne Gerusalemme solo intorno al 1000 a. C., allorché David, secondo re, conquistò la città. Ma anche ritenendo che la stele alluda non ad un regno vero e proprio ma a una popolazione seminomade quale doveva essere nel periodo dei Giudici, che sarebbe iniziato alla fine del XII secolo a. C., è chiaro che una parte della popolazione ebraica era già presente in Palestina.

A questo si aggiunga:

a) che nel periodo considerato, che è poi quello della massima espansione e potenza del regno egizio durante il “Nuovo Impero” i territori della Palestina e i piccoli stati che vi si erano costituiti erano nella sfera di influenza e sotto il controllo dell’Egitto, pur senza fare parte dello stato egiziano, e quindi una popolazione estranea e per di più fuggita dall’Egitto non avrebbe potuto insediarvisi senza il consenso del faraone, e dunque se era plausibile che i faraoni egiziani avessero tollerato l’insediamento di una parte degli Hyksos cacciati dall’Egitto in questo territorio, era abbastanza illogico che gli Ebrei volessero stanziarsi proprio in una terra appartenente ai loro nemici;

b) che i pochi autori antichi non ebrei, sempre di epoca tarda,-quali Tacito e Plutarco-, che trattano o accennano all’origine degli Ebrei non parlano mai di una fuga, o di un esodo, ma sempre di una cacciata da parte degli Egiziani di un gruppo, -in genere anch’esso di stirpe egizia- che per qualche ragione (malattia, ribellione) risultava indesiderato;

c) che nei testi storici, commemorativi o letterari finora giunti dall’Egizio faraonico non si accenna mai alla fuga o alla cacciata di un popolo, a parte gli Hyksos, -dei quali tuttavia è difficile stabilire se fossero stati cacciati o siano rimasti in condizioni di inferiorità-; l’ipotesi più probabile è che una parte, presumibilmente i capi, siano tornati nei luoghi di provenienza nella regione siro-palestinese e una parte, forse quella maggioritaria, sia rimasta in Egitto in condizioni di inferiorità (la “schiavitù egiziana”);

d) che, al di fuori dei testi appartenenti al “corpus”, canonico ed extra-canonico, degli scritti ebraici, nei documenti antichi dei popoli e dei regni del Vicino Oriente antico la presenza e le citazioni del popolo ebraico, o israelitico che dir si voglia, sono alquanto marginali e la sua importanza nel contesto politico e culturale della regione appare del tutto secondaria. Si pensi ad esempio che nell’opera di Erodoto, che pure descrive ampiamente, o quanto meno accenna, a quasi tutte le popolazioni che erano comprese nei confini dell’Impero Persiano, gli Ebrei, -o Israeliti- non vengono mai citati, nemmeno nelle parti ove ci si aspetterebbe di trovare qualche notizia su di essi (al contrario dei Filistei): ad es., nel capitolo (Storie, II, 141) dove lo storico parla della grande spedizione di Sennacherìb, re di Assiria dal 704 al 681 a. C., contro l’Egitto, che aveva sostenuto una ribellione degli staterelli siro-palestinesi contro il dominio assiro. A proposito di questo episodio, osserviamo che la ritirata del re, che nella Bibbia è attribuita ad un intervento divino, -un angelo che avrebbe sterminato gli assedianti (2Re, XIX, 35)-, per Erodoto è da attribuirsi ad un esercito di topi, i quali, riversatisi sull’esercito di Sennacherìb, avevano rosicchiato e distrutto le faretre, gli archi e i filatteri degli scudi, così che i soldati assiri, rimasti privi di difese dovettero fuggire (10). Solo dall’età ellenistica le testimonianze degli autori classici (Ecateo, Diodoro Siculo, Strabone,Tacito, Plutarco, Luciano, Porfirio) si fanno più frequenti e circostanziate; in specie è da rilevare la politica di protezione praticata verso gli Israeliti da parte dei Lagidi d’Egitto, -dai quali dipese la Palestina fino al 199 a. C.-, e che si concretò anche nella prima traduzione in greco dei libri biblici, quella detta “dei Settanta” (dal numero dei traduttori), versione che però fu ed è tuttora respinta dagli ebrei ortodossi, poiché considerata un adattamento all’ellenismo, e dunque estranea al puro “spirito” ebraico-jawistico.

Ed infine anche la lingua depone a favore di una identificazione del popolo ebraico, -o meglio della sua componente più numerosa-, con gli Hyksos: infatti l’idioma ebraico e quello fenicio sono assai simili, tanto che dalla maggior parte dei linguisti vengono considerati i due rami di una medesima lingua, il cananeo, o cananaico, testimoniando così una primeva unità tra questi due gruppi (e di altri gruppi minori, quali Edomiti e Moabiti).

Un altro scrittore greco che trattò dell’origine e delle vicende del popolo ebraico, ma le cui opere sono andate purtroppo perdute (come quelle di moltissimi autori classici), è Ecateo di Abdera, vissuto tra il IV e il III secolo a. C. (da non confondere con l’omonimo Ecateo di Mileto -560- 490a. C. circa- autore di un’opera geografica, la “Periegesi”, citato più volte da Erodoto), il quale lasciò una Storia dell’Egitto, che conosciamo soltanto attraverso alcuni frammenti citati in opere posteriori. Secondo la testimonianza di Diodoro Siculo (Biblioteca Storica, XL, 3, 8), -a sua volta riassunta nella “Biblioteca”, o meglio “Myriobiblon”, di Fozio (820-890 circa), patriarca bizantino-, Ecateo scrisse che in Egitto era scoppiata una grave pestilenza. La causa di tale luttuoso evento fu attribuita alla presenza nel paese di numerosi stranieri (Hyksos?), i quali avevano costumi diversi da quelli del popolo egiziano e non ne rispettavano la religione.

Pertanto gli Egizi ritennero che per far cessare questo flagello fosse necessario espellere gli stranieri. I più intrepidi e valorosi, decisero di recarsi in Grecia ed ivi dimorare. I capi di costoro sarebbero stati Danao, Cadmo ed altri celebri condottieri; ma la maggior parte degli espulsi emigrò in Palestina, allora in gran parte spopolata. A guidarli era un uomo chiamato Mosè, di valore e saggezza rari.egyptian-gold-calf-god-yah Giunto in quella che sarebbe stata in futuro chiamata Giudea, avrebbe fondato diverse città, tra le quali Gerusalemme. Egli diede allora le leggi per governare la nazione e istituito i culti religiosi; Mosè divise inoltre il popolo in dodici tribù, ispirandosi al numero, considerato sacro, dei mesi.

In effetti, a differenza di quello di Manetone, il giudizio di Ecateo su Mosè appare molto positivo; ma si deve considerare che il brano in cui trattò l’argomento è conosciuto attraverso una esposizione di terza mano, quella di Fozio, il quale essendo un prelato cristiano, molto probabilmente accentuò il carattere lusinghiero della valutazione di Ecateo, dalla quale, nelle versione datane dal bizantino, traspare pertanto un vivo senso di ammirazione.

Gli elementi che caratterizzano questo racconto, assai più breve di quello di Manetone-Flavio Giuseppe (ma come si è detto si tratta di un riassunto molto posteriore dell’opera di Ecateo),- oltre al fatto che mancano del tutto la ribellione, la guerra e l’aiuto degli Hyksos-, sono la fondazione di Gerusalemme attribuita a Mosè, -mentre sappiamo (e su questo non v’alcun dubbio o discordanza tra gli studiosi) che la città esisteva ben prima dell’insediamento ebraico-; e la pretesa origine comune degli Israeliti e di alcune stirpi greche, o comunque ellenizzate, vale a dire quella di Danao e quella di Cadmo (11).

Per parte sua Diodoro Siculo afferma che dall’Egitto mossero Belo, progenie di Poseidone e di Libia, il quale si stabilì in Babilonia e fondò il sacerdozio dei Caldei, i cui membri, a somiglianza dei sacerdoti egiziani, si dedicavano all’osservazione degli astri e all’astrologia; e Danao, che approdò nel Peloponneso dove avrebbe fondato Argo, -città che in effetti era già esistente all’arrivo del profugo e di cui sarebbe divenuto re spodestando il precedente sovrano Gelànore-. Altri coloni di provenienza egiziana si stabilirono nella Colchide e in Giudea, portando seco costumanze della loro terra d’origine, come la circoncisione dei bambini (Biblioteca Storica, I, 28)(12).

Pertanto la versione di Ecateo e quella di Diodoro Siculo coincidono nell’attribuire agli Israeliti o Giudei un’origine comune con altre popolazioni, -in particolare con i Danai di Arrgo-, ma divergono quanto al fatto che mentre per il primo la stirpe da cui discesero era straniera in Egitto, per l’altro era egiziana. Ma soprattutto concordano tra di esse poiché, seguendo la tradizione mitica greca, tutte le popolazioni delle aree mesopotamica, siro-palestinese e dell’Africa nord-orientale (ovvero quelle camito-semitiche) sono attribuite alla discendenza di Inaco, padre di Io, il cui rampollo Epafo, fu il capostipite di Egizi, Libici e Assiro-Babilonesi.

A Mosè, -o qualunque altro nome avesse (o avessero poiché è possibile che in questa figura leggendaria si siano fusi diversi personaggi più o meno storici)-, riuscì quello che non era riuscito ad Akhenaton, soprattutto perché non dovette affrontare una classe sacerdotale potente e invadente che ostacolasse i suoi disegni e difendesse i propri privilegi; in effetti quello che egli instaurò fu un culto di stato incentrato sull’orgoglio nazionalistico, che a sua volta si sostanziava nella presunta protezione e predilezione di un dio: una ideologia, si potrebbe dire, più che una religione in senso stretto (13). In realtà il popolo, che poi diventerà ebraico, era nel complesso estraneo a questo dogmatismo ideologico e continuava a seguire le divinità semitiche ed egizie; i capi, -prima i giudici e poi i re- oscillavano tra il cercare di mantenere la monolatria del dio nazionale e l’accettazione e la condivisione della religione popolare, che non era affatto, come si dice nei libri biblici di Samuele, dei Re e delle Cronache (scritti in età molto posteriore ai fatti narrati, così come il Pentateuco, la cui redazione, almeno nella forma conosciuta, risale al periodo post-esilico, tra il VI e il V secolo a. C., se non oltre), l’effetto dell’influenza che avevano sugli Israeliti le nazioni circonvicine -e in particolare le spose dei sovrani dei regni di Israele e di Giuda di origine fenicia ed aramaica-, ma era propria degli Israeliti stessi.

Questa oscillazione è testimoniata dagli autori dei libri suddetti i quali, in modo alquanto semplicistico, e sulla base di ricordi presumibilmente imprecisi e tendenziosi, classificano i sovrani stessi a seconda della loro “purezza” ideologica nazionalistica (e costoro sono i “buoni”) o della loro indulgenza alla religione del popolo (e costoro sono i “reprobi”). D’altro canto i testi storico-apologetici e profetici accolti nell’eterogeneo corpus di scritti che fu poi definito ” Ta Biblia” (= “i libri” per eccellenza) narrano espressamente che pure nel tempio di Gerusalemme furono accolte e adorate altre diverse divinità, oltre a Yahwè, come Asherah, -la paredra di El, il quale, in quanto sommo dio celeste, a sua volta fu identificato con Yahwè- (2Re, XXIII, 4-16); Astarte (2Re, XXI, 3-7); Tammuz (Ezechiele, VIII, 14-15), ecc., oltre che ricevere culto nei recinti sacri definiti “alti luoghi” ove si trovavano stele ed are. Solo nel periodo post-esilico l’ebraismo divenne una vera religione salvifica, in cui affiorò l’aspetto del legame personale del fedele con la divinità, sebbene ancora nettamente subordinato al “patto” tra Yahwè e la nazione israelitica, ed ovviamente le concezioni di quell’epoca furono proiettate nelle vicende di età molto anteriori.

CONTINUA NELLA SETTIMA PARTE

Note

1)nella Bibbia (Genesi, 16), Kedar è il secondo dei dodici figli di Ismaele -a sua volta progenie di Abramo e della schiava egiziana Agar-. Da Kedar, secondo la tradizione islamica, sarebbe disceso Muhammad (Maometto).

2) il nome di Amman, -l’attuale capitale della Giordania-, non ha però alcuna relazione con questa divinità: essa infatti è l’antica Rabbath Ammon, la capitale del piccolo regno degli Ammoniti, stirpe discesa secondo la Genesi da Ammon rampollo incestuoso di Lot, nipote di Abramo, e di una delle sue figlie. In età ellenistica questa città fu rifondata e ripopolata con coloni macedoni e chiamata Philadelpheia Ammon in onore di Tolomeo II Filadelfo, re d’Egitto dal 283 al 246 a. C., dal quale dipendeva in quel periodo la Palestina, e che divenne poi una delle dieci città che costituivano la Decapoli palestinese, la confederazione di città ellenistiche alle quali Pompeo nel 63 a. C. dopo la conquista della Siria lasciò un certa autonomia politica e amministrativa.

3) peraltro Allah (probabile contrazione di Al-Ilah), corrispondente all’El cananeo-palestinese, era già conosciuto e venerato dagli Arabi pre-islamici, che lo ritenevano padre delle tre grandi dee che erano al centro della loro pietà: Allàt, Manàt e al-Uzza.

4) il grammatico ed erudito greco-egizio Apione (25 a. C.-45 d. C. circa) aveva composto un’opera sulle antichità egiziane nella quale criticava aspramente gli Ebrei.

5) in effetti però questo termine, -come abbiamo detto nella trattazione sugli Hyksos-, deriva con assai maggiore probabilità dall’egizio “Heqa-Kasut” = “Sovrani dei paesi stranieri”. E’ tuttora dibattuto se esso sia da riferirsi unicamente alle dinastie regnanti o a tutto il popolo, -che a sua volta poteva essere unitario oppure un insieme di genti più o meno eterogenee-, da cui queste provenivano.

6) in effetti la distinzione tra “monoteismo”, “politeismo” ed “enoteismo” (concezione religiosa in cui si venera un unico dio supremo e assoluto pur ammettendone altri, -e dunque simile alla monolatria, nella quale la venerazione per un unico dio non è fondata sulla sua superiorità-) è alquanto artificiosa, poichè invero in tutte, o quasi, le dottrine religiose e filosofico-mistiche, anche quelle dei “primitivi” (salvo che nelle religioni “ateistiche”, come il Buddismo e il Giainismo, in cui non è contemplato un vero e proprio ente assoluto e eterno, nemmeno in forma impersonale), si concepisce un entità superiore, un Essere assoluto e incondizionato, da cui tutto immediatamente o mediatamente deriva (che può avere carattere impersonale o personale -ma anche in quest’ultimo caso non nel senso di una personalità umana-); questi però si manifesta e si esprime attraverso entità intermedie (dei, demoni, angeli), che possono essere considerate sue ipostasi, personificazioni di energie immanenti nella natura e nell’uomo, o creature spirituali. Pertanto anche nelle religioni cosiddette “politeistiche” (le quali in effetti il più delle volte si possono considerare più esattamente panteistiche) esiste sempre un principio assoluto, così come in quelle “monoteistiche” sono sempre presenti entità spirituali intermedie positive e negative.

7) in questo caso, l’Esodo sarebbe avvenuto assai prima di quanto si suppone di solito, -ovvero verso la fine del regno di Ramses II, intorno al 1220 a. C. Akhenaton fu faraone dal 1352 al 1338 a. C.; a lui succedettero prima Smenkhkara, -probabilmente già associato al trono- (1338-1336), indi Tutankhamon (1336-1327) e in seguito Ay (1327-1323). Ramses I, fondatore della  XIX dinastia, sarebbe asceso al trono nel 1295 a. C., dopo il regno di Horemheb (1323-1295). Tuttavia si deve tenere presente che la cronologia delle antiche dinastie è sempre molto incerta e varia spesso da autore ad autore (quella qui riportata si trova nella “Storia dell’Antico Egitto” di Nicolas Grimal).

8) in altri autori compare pure la forma “Rampsinitos”, come in Erodoto, -in Storie, II, 121-124-, il quale narra al riguardo di tale re una famosa novella. E’ dunque possibile che i numerosi faraoni (undici) della XIX e XX dinastia noti con il nome italiano di Ramses, o Ramesse, o Ramsete, avessero in realtà nomi diversi, pur se simili.

9) i Filistei erano una popolazione di incerta origine, ma di solito ascritta al gruppo dei cosiddetti “Popoli del Mare”, che nel corso del XII secolo a. C. devastarono più volte le coste del Mar Mediterraneo orientale tra l’Egitto, la Siria e l’Anatolia, e, pur senza fondare stati importanti per estensione e influenza, determinarono o favorirono profondi rivolgimenti negli equilibri politici della regione, in particolare sono considerati la causa iniziale e scatenante del crollo dell’Impero Ittita. Stabilitisi sulle coste meridionali della “terra di Canaan” quasi contemporaneamente agli Israeliti, diedero il loro nome a tutta la regione: infatti il nome “Siria Palestina” è già attestato nelle “Storie” di Erodoto (I, 105; III, 5; IV, 39).

10) secondo Flavio Giuseppe (Contra Apionem, I, 22) Erodoto, pur senza citarli espressamente alluderebbe agli Ebrei in “Storie”, II, 104 dove, parlando dei popoli che praticano la circoncisione, nomina i “Siri di Palestina”. Questi ultimi, così come i Fenici, ai quali sono accostati, avrebbero appreso l’uso della circoncisione dagli Egizi. Ma in effetti quelli che nella sua opera Erodoto chiama “Siri di Palestina” sono sempre i Filistei, -i quali peraltro, non essendo di origine semitica, non praticavano la circoncisione (in seguito però acquisirono molti dei costumi delle popolazioni circonvicine, in particolare dai Fenici). Quanto agli Egizi, praticavano sì la circoncisione, ma non in modo generalizzato, poiché solo i sacerdoti e i membri delle stirpi più nobili venivano circoncisi.

11) per quanto riguarda Danao, egli era comunemente reputato il progenitore degli abitanti dell’Argolide nel Peloponneso. Egli nella tradizione più attestata era figlio di Belo e di Anchinoe, e fratello di Egitto e di Cefeo; Belo (nome che senza dubbio adombra il dio mesopotamico Bel, corrispondente al Baal dei semiti occidentali) a sua volta era discendente di Epafo, il figlio che Zeus aveva avuto da Io (di solito identificata con l’egizia Iside). A Egitto era stato in origine assegnato il dominio dell’Arabia, ma egli volle impadronirsi anche dell’Egitto, ed entrò così in conflitto con il fratello Danao, sovrano della Libia; in seguito a tale conflitto Danao emigrò con le 50 figlie in Grecia (ora non ci dilunghiamo nella narrazione di tutto il mito che comprende il matrimonio delle Danaidi con i figli di Egitto e la loro successiva uccisione ad opera delle mogli). Quanto a Cadmo, egli era uno dei figli di Agenore, re di Tiro, -il quale era a sua volta fratello di Belo, di modo che era cugino di Danao- e fratello di Europa. Partito da Tiro in cerca della sorella, -rapita da Zeus e condotta a Creta dove divenne madre di Minosse-, giunse anch’egli in Grecia, nella Beozia, dove fondò la città di Tebe. Osserviamo peraltro che secondo Diodoro Siculo Cadmo sarebbe stato il monarca non già di Tebe in Beozia, bensì delle Tebe egiziana (B. H. I, 23); sarebbe stato poi Orfeo, che, grandemente onorato dei Tebani, avrebbe dichiarato che Cadmo era stato loro re. Iniziato in Egitto ai misteri di Osiride, -che i Greci identificavano con Dioniso-, il leggendario cantore e profeta tracio avrebbe poi trasportato la nascita di questo dio a Tebe in Beozia, facendolo diventare nipote di Cadmo -per il tramite della figlia di lui Semele, che lo concepì da Zeus-.

12) nell’antico Egitto la circoncisione, -come abbiamo detto sopra-, era costume abituale presso i sacerdoti e presso i nobili, ma non era praticata indistintamente da tutta la popolazione: essa era quindi un segno di superiorità sociale e di appartenenza alla stirpe sacerdotale. In modo più o meno esteso tale consuetudine appare in uso presso molte popolazioni semitiche (anche se di solito non in modo generalizzato) -Arabi, Cananei, Aramei- e pure dell’Africa nera; è incerta l’origine di tale usanza che nei tempi più antichi non doveva avere un significato e una valenza religiosi, ma li assunse in seguito, divenendo segno di distinzione religiosa in particolare presso Ebrei e Musulmani.

13) la “religione” fondata da Mosè, o da colui o coloro che diedero inizio alla nazione ebraica, potrebbesi in certo modo paragonare all'”islamismo politico” dei giorni nostri: questo risulta più che evidente dalla stessa lettura dei libri “storici” della Bibbia, se fatta senza schemi ideologici e pregiudizi religiosi: il dio di Israele pretende la più assoluta intolleranza e comanda di sterminare senza pietà i nemici suoi e del “suo” popolo.

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