L’AFFASCINANTE STORIA DELL’ALBERO DI NATALE -decima parte (altri “alberi dei desideri”)-

Nella parte precedente della nostra ricerca abbiamo incontrato l'”Albero dei desideri” nelle tradizioni religiose indiane; ma la credenza nel potere di determinati alberi -che di solito si distinguono per imponenza, collocazione in luoghi considerati sacri o loro specifiche peculiarità- di esaudire i desideri umani si riscontra negli ambiti più diversi e lontani nel tempo e nello spazio. Le virtù attribuite a tali alberi sono in genere dovute alla presenza in essi di una divinità o di uno spirito della natura (si pensi alle Driadi e alle Amadriadi, le ninfe degli alberi della mitologia greca).

Una particolare categoria di “alberi dei desideri” sono gli “alberi delle monete” (“Coin Trees”) che troviamo specificamente nelle isole britanniche: in questo caso l’esaudimento del desiderio o la risposta alla preghiera del “fedele” sono propiziati, -e subordinati-, all’offerta simbolica di una moneta (per lo più di modesto valore), che viene inserita nelle screpolature della corteccia o in incavi o pieghe naturali presenti nel tronco o nei rami.

Uno dei più famosi “alberi delle monete” è la quercia che si trova in un’isola sorgente nel lago “Maree” (“Loch Maree”), nei pressi della cittadina di Gairloch, nelle “Highlands”, in Scozia, il quale nel 1877 ricevette anche la visita della regina Vittoria, che descrisse questo suo “pellegrinaggio” nel diario personale da lei tenuto. Quest’isola fin dai tempi antichi è ritenuta un luogo di guarigione, soprattutto per la presenza di un pozzo sacro venerato dalla religione celtica, che in seguito fu adattato al culto cristiano da San Maelrubha (1). Costui, nato in Irlanda nel 642, si recò in Scozia nel 673 dove fondò una comunità monastica ad Applecross, ove morì nel 722. Sembra che nella sua opera di conversione al cristianesimo egli abbia consentito che gli abitanti conservassero alcune delle loro precedenti costumanze, come quella della venerazione per i pozzi sacri, alle cui acque venivano attribuite virtù terapeutiche, e presso i quali si celebravano sacrifici cruenti, in particolare di tori, che secondo alcune testimonianze continuarono fino al XVIII secolo. Per quanto riguarda il pozzo dell’isola Maree non si sa se abbia inaugurato lui stesso questa tradizione, o se abbia cristianizzato un culto precedente, e nemmeno se il santo abbia davvero visitato l’isola, o se il suo legame con essa e con il pozzo sia dovuto a una leggenda (2).

L’albero delle monete di Isle Maree (o meglio quanto ormane del suo tronco).

Il rituale di guarigione che vi si praticava contemplava, oltre il sacrificio dei buoi, libazioni di latte sulle rive del lago; dopo di che al paziente veniva fatta bere l’acqua del pozzo per essere poi immerso per tre volte nel pozzo medesimo. Codesto rito era ritenuto efficace soprattutto per la cura delle malattie mentali; non si sa fino a quando sia stato celebrato, ma di certo almeno fino alla fine del secolo XVIII. Nella seconda metà dell’800 però coloro che visitarono l’isola trovarono il pozzo completamente disseccato e la pietra piatta che serviva a coprirlo quando non veniva utilizzato accostata al bordo.

Nelle vicinanze dei pozzi sacri era quasi sempre piantato un albero, anch’esso reputato più o meno venerabile, a scopo di difesa occulta, poiché gli alberi, come abbiamo avuto modo di constatare nella presente ricerca, possiedono singolari virtù apotropaiche, specie nei confronti delle streghe e dei loro malefici. La Quercia poi, come ben sappiamo, è uno degli alberi più ricchi di simbolismo nelle tradizioni dei popoli indo-europei, e più legati al mondo celeste; le erano attribuite anche proprietà curative, specie contro mal di denti, diarrea, malaria e tricofizia, e si credeva che facendo passare il membro o la parte del corpo malata attraverso i rami della pianta, o inserendola in una fenditura del tronco, essa sarebbe guarita. Per tanto tra i due elementi che caratterizzano il luogo sacro, -pozzo e albero-, si instaurava una stretta relazione, così che le proprietà del pozzo cessavano di esistere qualora l’albero che gli stava accanto fosse stato abbattuto, come accadde alla pianta di Tasso che si trovava nei pressi del pozzo sacro nel forte di Easter Rarichie, ritenuto miracoloso per la cura di alcune forme di tubercolosi, in special modo quella ossea e delle giunture.

E’ probabile che la devozione all’albero dei desideri dell’isola di Maree sia nata e si sia sviluppata a cagione del fatto che i pellegrini usavano appendere alla pianta abiti e oggetti di loro proprietà: tale usanza, sorta per necessità pratica, sarebbe poi stata inserita nel rituale di guarigione e le virtù del pozzo si sarebbero così estese anche all’albero che gli stava presso. Allorché i rituali di guarigione legati al pozzo di San Maelrubha caddero in disuso, la venerazione per l’albero continuò. Nella prima testimonianza che parla del culto dell’albero, risalente al 1775, non viene precisato quali oggetti i pellegrini vi depositassero, ma fonti più tarde riportano che fossero appesi o annodati ai suoi rami drappi, teli o capi di abbigliamento. Anche la regina Vittoria durante la sua citata visita nel 1877 ebbe modo di osservare cenci e nastri annodati alle fronde della quercia. Questo uso “magico” dei tessuti era comunemente attestato nelle isole britanniche per le loro supposte virtù terapeutiche: si credeva che i drappi assorbissero le afflizioni che il devoto intendeva curare, e che una volta appesi sull’albero il male si sarebbe trasferito in lui, secondo l’applicazione di un principio fondamentale di magia simpatica.

In seguito però ai tessuti e ai nastri furono aggiunti i chiodi e gli spilli e fu così che la quercia divenne un “albero di chiodi”: questo mutamento avrebbe avuto due motivazioni: da un lato esso fu dovuto alla circostanza che spesso i cenci e le vesti erano assicurati al tronco e ai rami per mezzo di chiodi o altri ausili metallici; dall’altro perché chiodi e spilli erano anch’essi ritenuti a loro volta efficaci strumenti per togliere il morbo o il dolore trasmettendolo all’oggetto nel quale vengano conficcati; ad esempio in Cornovaglia un rimedio ben conosciuto contro il mal di denti consisteva nel piantare chiodi sul tronco di una quercia: in  tal modo attraverso il chiodo il dolore veniva trasferito dal sofferente al povero albero che lo doveva subire al posto di colui. Pure gli spilli erano impiegati a tale scopo, ad esempio per combattere le verruche: piantando uno spillo in una verruca o in un’altra similare escrescenza dolorosa e poi conficcandolo nella corteccia di un frassino, si credeva che il male sarebbe stato assorbito dalla pianta.

Ma per quanto riguarda la quercia dell’isola Maree la modifica nel modo per ottenere dall’albero le sue “grazie” si ebbe soprattutto perchè si cominciò ad impiegare e simili strumenti per attaccare i drappi, le vesti e i nastri al tronco i quali vi avrebbero così meglio aderito. E poiché i chiodi metallici hanno senza dubbio una durata più lunga che non i tessuti, con l’andare del tempo si preferì tempestare quella infelice quercia direttamente di chiodi, senza più neppure adornarla con i drappi e i nastri, così che essa divenne un “albero dei chiodi”. Ma in breve ai chiodi si aggiunsero numerosi altri piccoli oggetti metallici, quali fibbie, viti, lame di coltelli, tanto che uno studioso che visitò l’isola nel 1890 segnala che per tutti i pellegrini era diventato quasi un obbligo inserire qualche elemento metallico nella corteccia dell’albero.

Peraltro tale discutibile costume non era esclusivamente applicato alla quercia dell’isola Maree, ma appare documentato per diversi alberi a cui si attribuivano virtù magiche e curative: ad esempio a Glasgow accanto al pozzo di Santa Thenew (3) sorgeva un albero sul cui tronco i pellegrini conficcavano pezzetti di latta e altri piccoli oggetti disposti in modo da creare un disegno della parte del corpo che si voleva fosse sanata dalle acque miracolose del pozzo.

Tra i molti oggetti metallici affissi agli alberi o gettati nei pozzi sacri britannici si riscontrano pure fibbie, bottoni e chiavi, nonchè ami da pesca; nelle isole britanniche, e in particolare in Scozia, infatti ai metalli sono attribuiti molteplici poteri, poiché li si presume in grado di sprigionare energie benefiche, sia sanatrici, sia protettrici; e di respingere, -specie il ferro, l’acciaio, lo stagno e l’argento-, gli influssi negativi provenienti da elfi, fate, folletti, gnomi e altre entità soprannaturali (4). Per tale ragione si infilavano o si cucivano aghi nei berretti dei bambini e chiodi di ferro venivano infissi nelle testiere dei letti, mentre ai neonati si offrivano da bere le loro prime sorsate di liquido da cucchiai d’argento onde evitare non fossero rapiti dalle fate; altri oggetti metallici quali falci e asce venivano collocati sotto il letto (5).

Dalle fonti che parlano sappiamo che per tutto il tempo in cui durò la venerazione per il pozzo e l’albero dell’isola Maree le monete comparivano di norma tra le offerte votive che venivano tributate dai pellegrini. Nel periodo in cui la quercia appariva essenzialmente come un “albero dei cenci”, le monete erano lasciate come offerta al pozzo e pegno per la realizzazione dei desideri. In seguito sempre più spesso cominciarono ad essere inserite nelle fenditure o incastrate nelle screpolature della corteccia dell’albero, anche in alternativa ai chiodi, che, come abbiano detto sopra, a loro volta erano spesso impiegati allo scopo di propiziare l’esaudimento delle richieste, e già al tempo della visita della regina Vittoria l’offerta di una moneta di rame che veniva inserita nel tronco era divenuta una tradizione ormai consolidata, tanto che la quercia cominciò ad essere chiamata l'”Albero delle monete”. Fin dai primi anni del 900 sull’albero non si notavano più né chiodi, né spilli, ma soltanto monete, tanto che il colonnello Edington, che nel 1927 visitò l’isola di Maree, nel suo diario giunse a paragonare la corteccia, ormai completamente ricoperta di monete, alla pelle di un drago rivestita di squame rilucenti.

L’ininterrotto e prolungato inserimento di elementi metallici arrecò, come è facile intuire, un grave danno all’albero, sia per le lacerazioni meccaniche prodotte dalle monete nel tronco, che danneggiavano i tessuti e favorivano l’insorgenza di infezioni batteriche, sia per l’avvelenamento da metalli da esse provocato, così che il povero albero è ormai defunto da quasi un secolo (almeno dal 1927 quando fu visitato dal suddetto colonnello Edington), a causa del trattamento riservatogli dallo stupido egoismo umano, a cui è stato sottoposto per molto decenni, per non dire secoli, prima con i chiodi e poi con le monete.

Ma la morte dell’albero non significò la fine della tradizione che l’aveva portato ad ammalarsi e  a morire; anzi, questo discutibile costume proliferò ulteriormente e si estese dal tronco della quercia, ormai del tutto ricoperto dalle monete, così che risultava difficile incastrarne altre, agli altri alberi circostanti, i quali in tal modo ebbero anch’essi la triste sorte di essere sottoposti ad una pratica aberrante (e tutt’altro che ecologica!), pratica che, come risulta dalle ultime ricognizioni effettuate, sembra ancora ben lungi dal declinare.

Un’altra pianta che gode di indiscussa reputazione per le sue virtù taumaturgiche è un arbusto di biancospino che vive accanto all'”Ardmaddy House” ad Argyll, sempre in Scozia, il cui tronco e i cui rami sono ricoperti da centinaia di monetine che penetrano in profondità nel legno, poiché si crede che verrà esaudito un desiderio per ciascuna monetina offerta così che la gente non si perita di esagerare con le richieste (6). Anche in questo caso si tratta di un alberello contorto ormai defunto da lungo tempo, -in parte per vecchiaia, e in parte a causa del trattamento che gli è stato riservato-, e quindi privo di foglie, dall’aspetto triste e malinconico, nel cui tronco nodoso e piegato dal vento e dagli altri agenti atmosferici si stagliano centinaia di monete, molte di rame e d’argento, che ne hanno trasformato la corteccia in una sorta di corazza metallica. Nel 2013 furono effettuati scavi nel terreno intorno all’albero, ma non molto profondi, durante i quali vennero alla luce 691 monete che erano cadute o si erano staccate dalla corteccia in cui erano state collocate, risalenti all’ultimo secolo, circa dal 1914 in poi; tuttavia è probabile che se gli scavi fossero andati più in profondità si sarebbero trovate monete assai più antiche, poiché l’usanza nacque in tempi remoti.

In Scozia, in Irlanda e in Galles esistono molti altri “alberi dei desideri” sia nella variante degli “alberi delle monete”, sia in quella più innocua degli “alberi degli stracci”, -per propiziarsi l’aiuto dei quali si ricorre a una meno dolorosa e dannosa imposizione di tessuti e vecchi capi di abbigliamento-; tra essi ci limitiamo a segnalare, quale ultimo esempio nella nostra trattazione, l’acero (precisamente un esemplare di Acer psudoplatanus) , -anch’esso come si può immaginare alquanto malridotto-, che si trova presso il “pozzo di San Fintano” nei pressi della cittadina di Mountrath  nella repubblica d’Irlanda.

L’albero di San Fintano a Clonenagh.

Il San Fintano di cui trattasi (poiché esistono almeno altri due santi di tale nome, anch’essi di nazione irlandese) era un monaco vissuto nel VI secolo, -defunto nel 603-, il quale aveva stabilito la sua dimora nella località di Cluain Ednech (nome poi divenuto Clonenagh), nell’attuale contea di Laois (Irlanda centrale), ove poi nel 582 fondò un’abbazia (di cui rimangono ora solo poche rovine). In quel luogo scaturiva una sorgente che alimentava un pozzo, che, a causa della sua vicinanza all’edificio conventuale divenne oggetto di grande venerazione tra la gente di campagna. Più di un secolo fa il proprietario del fondo in cui si trovava il pozzo, il quale era protestante, infastidito dal continuo afflusso di pellegrini e visitatori che vi si recavano, ebbe l’idea di chiuderlo, riempiendolo di terra e di detriti e fece in modo che la polla d’acqua che lo alimentava si dirigesse oltre la strada che segnava il confine della sua proprietà verso. Da quel giorno la sorgente riaffiorò in una cavità in mezzo ai rami dell’albero ad un’altezza di circa tre metri. Pertanto le virtù miracolose del pozzo di san Fintano dovrebbero essersi trasferite all’acero così che molti vi si arrampicano per esprimere un desiderio bevendo quell’acqua benedetta e poi legano un cencio o un nastro a uno dei rami dell’albero.

Spostiamoci ora in Estremo Oriente, e precisamente ad Hong Kong, dove, nella località di Lam Tsuen, accanto al tempio della dea Tin Hau (7), crescono degli alberi di baniano (Ficus benghalensis) che si suppone siano abitati da divinità. Qui gli abitanti, nonché persone giunte anche da luoghi lontani, praticano una sorta di rito, detto “Bao Bai”, per ottenere l’esaudimento dei loro desideri: dopo aver acceso dei bastoncini di incenso, scrivono il loro nome e la loro data di nascita insieme all’evento che vorrebbero si avverasse su un foglietto di carta (di riso o di bambù); il foglietto viene a sua volta legato con un nastro ad un’arancia, la quale viene indi lanciata tra le fronde di uno degli alberi. Se il frutto con l’accluso biglietto rimane agganciato ad una fronda, si può star certi che il desiderio sarà esaudito; se invece esso cade per terra questo significa che la speranza di colui, o colei, che l’ha lanciato è eccessiva o infondata; tuttavia la tradizione afferma che dopo un certo tempo si potrà tentare un nuovo lancio (8).

Uno degli alberi dei desideri di Lam-Tsuen, con i “bao dai” appesi ai suoi rami.

Secondo una leggenda questo rito oracolare nacque dopo che una donna che si era ammalata sognò una divinità che le diceva di recarsi a Lam Tsuen e di tirare un biglietto che conteneva la sua preghiera tra le fronde di uno degli alberi che colà trovavansi. Ella seguì le istruzioni e in tal modo fu sanata.

Ai due baniani originari è stato aggiunto poi un terzo albero, di canfora, e ciascuno di essi è “specializzato” in un determinato campo d’azione: il primo è interrogato per questioni riguardanti gli studi, la carriera e il denaro; il secondo per matrimonio, maternità e figli; mentre al terzo ci si rivolge per altri desideri di vario genere che non rientrino nelle categorie sopraddette. Infine v’è un quarto albero finto il cui inserimento è dovuto ad un incidente verificatosi il 12 febbraio 2005, allorchè un ramo si spezzò, -forse a causa del peso dei frutti che sosteneva-, e cadde sopra alcune persone causandone il ferimento. Per tale ragione i lanci sugli alberi furono temporaneamente proibiti e fu installato l’albero artificiale che doveva sostituire quelli veri, -surrogato che invero non poteva certo possedere la forza spirituale di questi ultimi-.

In onore degli alberi di Lam Tsuen nelle prime due settimane dell’anno cinese (che, com’è noto, ha inizio dalla prima Luna Nuova nel segno dell’Acquario) si tiene un colorito festival durante il quale hanno luogo danze e manifestazioni folkloristiche tradizionali.

Una notevole importanza hanno gli alberi sacri in Siberia e in Mongolia: in particolare un albero che si eleva solitario, -detto “Gants Mod”-, è reputato essere la dimora di un potente spirito, il quale gli consente di svilupparsi e prosperare in condizioni che altre piante non potrebbero sopportare. Anche gli alberi che crescono presso sorgenti o all’imboccatura di passi montani, o in un’insolita collocazione sono detti “Ongon Mod” (“albero dello sciamano”) e sono venerati come una sorta di santuari naturali; talvolta ai loro rami vengono annodati nastri o fasce di seta, in genere bianche o azzurre, -dette “kahdag”-, ai quali è demandato il compito di propiziare la realizzazione di un desiderio: in questo caso l’albero viene chiamato “Barisaa” e alle sue radici vengono lasciate offerte di monete, cibarie e altri oggetti.

Un albero sacro in Mongolia.

Pure gli alberi colpiti da un fulmine sono considerati sacri poiché si crede che in essi si sia manifestata la potenza di Tengri, il sommo nume adorato dalle tribù mongole e siberiane; ma un albero viene riconosciuto come “albero dello sciamano” (o meglio “albero-sciamano”) soprattutto quando mostri alcune peculiari caratteristiche nella crescita e nello sviluppo, ovvero quando i suoi rami principiali si dipartono dal tronco a breve distanza da terra e le fronde si dispongano in alto in modo da formare una specie di coppa; oppure quando un ramo ha assunto una forma simile ad una “esse”.

Alcune specie di alberi rivestono un significato sacrale nello sciamanesimo mongolo: presso i Dagur dodici sono gli alberi considerati sacri, a cui si dà il nome di “Duwalang”, ciascuno dei quali è associato ad uno specifico uccello; ma in generale il loro numero è inferiore. Al Pino (Pinus sylvestris e Pinus sibirica, le due specie di pino più diffuse in Siberia e in Mongolia) è attribuita una profonda sacralità poiché è dotato di “sangue” e quando si incida la sua corteccia sembra sanguinare: per questo tagliare o incidere un pino è un tabù di particolare gravità e, secondo la credenza dei Buriati, chi commetta tale peccato vedrà il tempo della sua vita notevolmente abbreviato. In passato il tronco di un pino era impiegato come un vivente sarcofago per la sepoltura degli sciamani: dapprima la corteccia era asportata con cura, indi veniva scavato nel legno un incavo nel quale era collocata la salma dello sciamano. Dopo la tumulazione la corteccia veniva rimessa al suo posto e nel giro di alcuni anni il corpo era completamente compenetrato nel tronco dell’albero (che, -fatto strano-, sembrava non subire alcun rilevante danno dal trattamento che gli veniva inferto)(9). In seguito a questa operazione l’anima dello sciamano diviene l'”ezen”, lo spirito dell’albero, a cui viene tributato un culto devoto.

Gli Olmi (“Uliaas”) sono un’altra specie di albero venerata nella Mongolia interna, specie quelli dotati di ampie e larghe chiome: un tale olmo è chiamato “grande albero frondoso”. Gli olmi cosìffatti erano distinti in tre categorie, destinate a tre tipi di cerimonie: una è sacra alla Madre Terra e intorno ad esso si celebrano riti in suo onore; gli olmi compresi nella seconda, detti “alberi del Cielo”, sono consacrati al culto del Padre Celeste (Tengri); col terzo tipo vengono officiati riti propiziatori della fertilità e ad essi ci si rivolge con l’affettuoso appellativo di “albero nonna”, poichè sono immagine di Umai, la dea celeste paredra di Tengri.

Anche la Betulla, il più frequente albero di alto fusto in Siberia, riveste una considerevole importanza nelle credenze e nelle cerimonie sciamaniche, e il suo legno ha parecchi impieghi rituali: dalla fabbricazione dei “Serge” e dei “Turge”, -pali intagliati, paragonabili ai “totem” dei Pellirosse nordamericani che simbolizzano l’albero cosmico-, agli arnesi per eseguire sacrifici. I Buriati si rivolgono alla betulla come “Albero Madre” (“Eskhemodon”) e la trattano con somma venerazione e, -come altre tribù di Mongoli-, reputano l’abbattimento non strettamente necessario di un albero un grave tabù e ritengono che qualunque comportamento irriguardoso verso di essi porterà disgrazia e abbrevierà la vita di coloro che se ne siano resi colpevoli -come abbiano già accennato sopra a proposito del Pino e del suo sanguinamento-.

Nel complesso nelle religioni delle popolazioni mongole e siberiane gli alberi manifestano il potere generativo e nutritivo della Madre Terra e sono un simbolo del legame di ciascun essere vivente con il Padre Celeste, verso il quale la pianta eleva la chioma, e con la Madre Terra, nella quale affonda le radici. Inoltre l’albero, in particolare il “Toroo”, è anche un richiamo all’alternarsi di morte e rigenerazione, poichè l’insieme sotterraneo delle radici corrisponde alla chioma aerea: mentre le prime indietro nel tempo, la chioma si estende verso l’alto, come per aprirsi al futuro (10).

Presso i Circassi invece è il Pero l’albero che gode della maggiore considerazione per le sue virtù di propiziare prosperità e buona fortuna, come protettore della casa e soprattutto del bestiame: a tal fine un giovane albero viene (o veniva) tagliato e sfrondato, e indi trasportato nel cortile delle abitazioni ove viene riverito da tutta la famiglia. Nel giorno dell’equinozio di autunno è trasferito nella sala principale e ornato con candele, nastri e altri ornamenti e si fa una grande festa in suo onore con canti e danze. Terminata la festa però viene riportato nel cortile e lì lasciato senza più ricevere alcun segno di considerazione, fino a quando l’anno seguente viene sostituito da un altro che segue la medesima sorte.

Anche in Thailandia ritroviamo la diffusa credenza che alcuni alberi, specie di grandi dimensioni, con radici assai ramificate, che vivono centinaia di anni, e in particolare gli esemplari di Hopea odorata, albero di alto fusto (può arrivare ai 45 metri) appartenente alla famiglia delle Dipterocarpacee, dai fiori bianco-giallastri emananti un intenso profumo, siano dimora di spiriti e fate, conosciuti con il nome di “Nang Ta-khian”; talora questi geni sono indicati con il nome di “Nang Mai” (“Signore dell’Albero”), quando appaiono con le sembianze di leggiadre fanciulle -e sono quindi paragonabili alla “Yàkshini” della mitologia indù-, abbigliate con le tradizionali vesti siamesi, di solito nelle tonalità del bruno e del rosso, mentre i “Nang Tani”, -un’altra classe di spiriti legati al mondo vegetale-, frequentano i banani e prediligono gli abiti verdi. Sia gli uni che gli altri gradiscono assai l’offerta di tessuti colorati e pertanto gli alberi dove dimorano sono meta di pellegrinaggi e su di essi vengono lasciati drappi e fasce di seta, anche quale pegno per l’esaudimento di un desiderio.  Ai giorni nostri però la devozione verso i “Nang Ta-khian” è spesso decaduta in richieste bassamente materiali, come la vincita alle lotterie.

Questi spiriti silvestri non rimangono però sempre confinati nella pianta con cui sono nati, o che hanno adottato, ma possono aggirarsi anche nei dintorni e talvolta possono scegliere come loro stabile dimora una casa in cui vi siano travi, pali, porte fatti con il legno del loro albero: infatti i poteri e i miracoli dei Nang Ta-Khian sono attribuiti non solo agli alberi viventi, ma pure a manufatti costruiti con i tronchi degli alberi che essi abitavano, ove si ritiene che lo spirito continui a vivere, e che pertanto divengono anch’essi oggetto di devozione. E’ stimata per essi una grave offesa che una persona disonesta o malvagia si appropinqui alla loro sede, mentre le persone rette e pure di cuore lo possono fare senza alcun timore.

Per salvaguardare le foreste dall’abbattimento alcuni monaci buddisti consacrano  gli alberi avvolgendone il tronco e i remi con drappi color arancio: così essi sono considerati sacri e per i devoti buddisti non è lecito arrecare loro dei danni. Infatti un albero ritenuto abitato da uno spirito non viene mai tagliato, perché con tale atto si susciterebbe la sua ira e continuerebbe a perseguitare i colpevoli dell’abbattimento della sua dimora. Il legno di un albero sacro può essere impiegato solo in un tempio o un monastero buddista, poiché si pensa che il merito e la virtù dei monaci ammansiscano lo spirito che vi ha preso dimora, e prima di procedere al taglio o all’abbattimento deve essere eseguita un’apposita cerimonia per chiedere il consenso dello spirito che lo abita.

Tra le virtù attribuite agli alberi, o meglio agli spiriti che vi dimorano, si annovera pure quella di assicurare un parto felice: ad esempio in Svezia nelle fattorie un tempo si trovava sempre un “Bard-trad”, un “albero custode” (in genere un Tiglio, un Frassino o un Olmo), che le donne in attesa di un figlio usavano abbracciare per allontanare qualunque inconveniente da sè e dal nascituro. Il fatto che nel mito ellenico Latona nell’imminenza di sgravarsi di Apollo e Artemide si era aggrappata a due alberi, e precisamente a una Palma e a un Ulivo, oppure a due Lauri, testimonia come tale credenza fosse presente anche in Grecia e come gli alberi siano sempre stati reputati una fonte di forza vitale e di “energia positiva”.

CONTINUA NELL’UNDICESIMA PARTE

Note

1) questo nome significa in  gaelico “sacerdote rosso”, per cui talvolta è stato tradotto in latino con “Rufus”. E’ nota anche una forma latinizzata “Maelrubius”, da cui l’italiano “san Melrubio” (sebbene il culto di questo santo abbia scarsissime attestazioni al di fuori delle isole britanniche). Sulla cristianizzazione di luoghi sacri, riti e simboli religiosi nei paesi dell’Europa settentrionale nei primi secoli del ME si veda quanto abbiamo scritto a proposito delle leggende sull’origine dell’albero di Natale, e in specie quella attribuita a S. Bonifacio di Magonza nella seconda parte della presente ricerca (25 dicembre 2017).

2) da ricerche compiute negli anni ’50 e ’60 si stima che esistano non meno di 1.179 pozzi sacri in Galles e di 3.000 in Scozia, la maggior parte dei quali oggetto di culto già in età celtica e dedicati a divinità del pantheon britannico e scotico. Dopo la cristianizzazione furono riconsacrati a santi cristiani, nei quali, e nelle leggende ad essi legate, rivivevano però spesso le figure delle prische divinità ed i loro miti.

3) Thenew, -nota anche con le varianti Thaney, Teneu Thanea ed altre-, è una leggendaria santa cristiana vissuta agli inizi del VI secolo, presunta madre di San Kentigern (518-603 circa), apostolo dei Britanni dell’antico regno di Strathclyde, posto a cavallo tra la Scozia in senso stretto e la Cumbria (nell’odierna Inghilterra settentrionale), nonché fondatore della città di Glas Ghu -o Glas Gau- (nome che significa “Valle verde”), l’attuale Glasgow. Secondo la leggenda fu rapita da un principe gallese Owain mab Urien (=figlio di Urien), il quale per assoggettarla alle sue brame libidinose si era travestito da donna. Dopo aver scoperto che la figlia era in stato interessante, suo padre, Lleuddun, re di Lothian, la condannò a morte, facendola gettare dalla rupe di Traprain (che aveva la funzione della rupe Tarpea per gli antichi Romani), ma ella sopravvisse miracolosamente alla caduta e salita su un “coracle”, -un’imbarcazione di vimini rivestita di materiale isolante, tipica dei pescatori gallesi e irlandesi- dalla foce del fiume Forth giunse al villaggio scozzese di Cuileann Ross, ove trovò accoglienza nel monastero di san Servano (o Serf), altro santo leggendario, che sarebbe pervenuto nelle isole britanniche dal Vicino Oriente. In questo luogo di pace ella diede alla luce ed allevò suo figlio Kentigern, che Servano chiamò con l’appellativo di “Mungo” (“Diletto”), con il quale è più conosciuto.

4) si tenga presente peraltro che possedendo i metalli una carica elettro-magnetica più o meno forte, essi possono interferire anche in modo negativo con i campi elettromagnetici umani, e dunque persone sensibili possono derivare effetti sgradevoli, specie se gli oggetti metallici siano posti a contatto con l’epidermide.

5) nell’ambito di queste credenze rientra poi il valore apotropaico (contro il malocchio) comunemente attribuito al ferro di cavallo anche al di fuori delle isole britanniche.

6) il Biancospino è una pianta che nel mondo celtico gode la reputazione di possedere magiche virtù, e soprattutto di essere dimora di fate, elfi e folletti, di cui ci si può ingraziare la protezione con i favori resi alla pianta medesima (si veda al riguardo l’articolo sul Biancospino compreso in “Katà leptòn” del 19 aprile 2014). In questo caso peraltro il conficcare elementi metallici nella corteccia del biancospino non si può certo considerare una grazia per l’albero, ma è, -o era-, visto come un’offerta ai suoi occulti abitatori.

7) il tempio venne edificato nel 1768 durante il regno dell’imperatore Chen-Long (1711-1796) e dedicato a Tin Hau, dea del mare, per ingraziarsi la sua protezione a favore di marinai e pescatori. gli abitanti del villaggio non disponevano dapprima di sufficienti risorse economiche per portare a termine la costruzione, ma un ricco possidente, di nome Tang, si offrì di provvedere alle spese, e così pe riconoscenza essi gli elevarono un monumento nel tempio, ove, a intervalli di nove anni, si celebra una grande festa.

8) questo rito ha dunque una valenza oracolare, poiché mira a conoscere se gli dei approvino quanto intende fare o spera di ottenere il consultante, ovvero tradotto in termini “laici”, se è quello che egli vuole davvero ed è in accordo con la sua natura.

9) in effetti sembra abbastanza incredibile che l’albero, per quanto robusto fosse, potesse sopravvivere una volta che il tronco fosse stato scavato internamente tanto da poter contenere un cadavere; tuttavia “relata refero”, ovvero riporto quanto ho trovato nelle mie ricerche.

10) sul culto degli alberi e l'”Albero Cosmico” presso le popolazioni siberiane si veda quanto abbiamo riportato nella terza parte della presente trattazione.

/ 5
Grazie per aver votato!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *