BREVE STORIA DELLA GALLINA E DEL GALLO DOMESTICI -seconda parte-

La prima sicura testimonianza della presenza del pollo domestico nell’antico Egitto è ritenuta essere un graffito inciso su un blocco di pietra nel tempio scoperto a Medamoud, nei pressi di Tebe, nel quale compare il nome del faraone Sesostri III (1878-1840 a. C.), appartenente alla XII dinastia, durante la quale il regno nord-africano era legato alla Mesopotamia e all’India da intensi scambi commerciali. Nelle epoche seguenti non si riscontrano altre evidenti testimonianze iconografiche dei Gallinacei fino al regno di Tuthmosi III (1490-1436 a. C.), -XVIII dinastia-, il quale riuscì a conquistare la Siria e parte della Mesopotamia, espandendo il dominio egiziano fino all’Eufrate, mentre nell’area meridionale raggiunse la IV cateratta del Nilo, annettendo così il deserto nubiano.

L’assenza di notizie sul pollo durante questo lungo periodo si deve probabilmente alla dominazione degli Hyksos, che comportò la riduzione degli scambi commerciali con i paesi asiatici, che conobbero una nuova fase di espansione con il risorgere della potenza egiziana e la fondazione del “Nuovo Regno”, quando da tutti i territori conquistati o riconquistati, nonché da altri paesi non soggetti all’autorità del faraone, giungevano alla capitale e ai principali centri delle terre del Nilo i prodotti più svariati. Negli “Annali Reali” inscritti sui muri del Grande Tempio di Karnak, dove si narra della conquista della Mesopotamia da parte delle truppe egiziane, si trova una frase, incompleta ma ricostruita dagli studiosi, che dice: “quattro uccelli di questa terra; essi [depongono uova] ogni giorno”. Se la frase fosse intera, si potrebbe scoprire quale fosse la patria d’origine degli uccelli citati; ma si ha ragione di credere che si trovasse in un’area tra la Siria e Babilonia, e precisamente nella città di Arapha, -che sorgeva poco lungi dall’odierna Kirkuk-, ad oriente del fiume Tigri. Ed infatti nei pressi di codesta località sono stati rinvenuti alquanti sigilli e altri oggetti provenienti dalle città ove fioriva la “Civiltà della valle dell’Indo”, dove, come abbiano visto nella prima parte, l’allevamento dei gallinacei era già ampiamente sviluppato.

Senza dubbio più significativi ed importanti, rispetto alla citazione frammentaria sopra riportata, sono tre documenti pittorici: il più antico è un affresco murale proveniente dalla tomba di Rekhmara, ministro di Thutmosi III, databile al 1450 a.C. circa. Tale affresco, che purtroppo dopo la scoperta si è gravemente deteriorato, raffigurava una processione di cinquanta persone appartenenti a diverse razza, e dunque rappresentative di tutti popoli soggetti al dominio diretto o all’influenza del sovrano d’Egitto, le quali recavano in offerta a quest’ultimo animali di diverse specie, -quali leoni, leopardi, scimmie, giraffe e antilopi-, tra i quali si distingue chiaramente la testa di un gallo.

La seconda immagine è anch’essa di un gallo domestico, dipinto su un “òstrakon” (ossia un coccio), rivenuto nella tomba di Tutankhamon e forse coevo al periodo in cui furono celebrate le esequie del faraone nel 1327 a. C., la cui figura appare assai simile a un “Gallus gallus” (ovvero un Gallo Bankiva).

“Ostrakon” con gallo trovato nella tomba di Tutankhamon.

Il terzo reperto consiste in una coppa d’argento risalente al regno di Sethi II (1200-1194 a. C. o, secondo altra cronologia, 1202-1196 a. C.) sulla quale è incisa la figura di un gallo domestico, somigliante a quella dell'”ostrakon”, in mezzo ad oche e d altri uccelli. Tali raffigurazioni sembrano confermare le cronache dell’epoca le quali dicono nel paese del Nilo esservi un uccello che depone le uova a intervalli quasi quotidiani e che pertanto deve identificarsi come appartenente alla specie Gallus gallus o ad altra specie simile.

Gli oltre cinque secoli che separano la morte di Sethi II dall’inizio della XXVI dinastia faraonica, detta “Saitica”, dalla città di Sais che fu la loro capitale, furono caratterizzati da un progressivo declino politico ed economico, -sebbene con qualche intervallo di effimera ripresa- e finora di tale lungo periodo non sono state trovate testimonianze di allevamento dei polli; si suppone inoltre che si siano alquanto diradate se non del tutto interrotte le relazioni commerciali con l’Asia meridionale, che conobbero una significativa ripresa e un rinnovato slancio solo dal VII sec. a. C. in poi. Nel corso della XXVI dinastia (663-525 a. C.), durata fino alla prima conquista e dominazione dei Persiani di Cambise, i rapporti non solo commerciali, ma anche politici e culturali con la Grecia divennero sempre più intensi, e per tale ragione l’allevamento dei polli domestici, -che come abbiamo visto nella parte precedente era già assai diffuso in Grecia-, non è ben chiaro se solo quali animali decorativi e da compagnia, o già vittime dello sfruttamento economico a scopo alimentare, conobbe una rapida espansione, specie nell’area del Delta del Nilo; quest’ultima a sua volta spiega la frequenza delle raffigurazioni del Gallo e della Gallina nell’arte egizia di questo periodo.

In quell’epoca in Egitto fu anche elaborato un metodo di incubazione artificiale per far schiudere le uova in una sorta di incubatrice alla quale accennano Aristotele (“Historia Animalium”, VI, 559b), Diodoro Siculo (“Bibliotheca historica”, I, 74, 4-5) e altri scrittori dell’antichità nelle loro opere. Su come funzionassero tali incubatrici però gli autori citati danno notizie scarse ed imprecise, forse perché loro stessi non le avevano viste con i loro occhi e riferiscono dunque solo quanto avevano sentito narrare. Si sa però che per compiere tale operazione veniva sfruttato principalmente lo sterco di dromedario al fine di ottenere il calore occorrente alla schiusa delle uova. Secondo Plinio il Vecchio invece, -il quale pure riporta anch’egli la notizia sull’impiego del letame (1)-, il metodo seguito abitualmente consisteva nel ricoprire le uova con paglia riscaldata grazie al tepore di un fuoco moderato che ardeva in una specie di forno (Nat. Hist. X, 153-154). Diodoro Siculo cita i metodi di riproduzione artificiale degli Uccelli scoperti dagli Egiziani tra gli esempi dell’ingegno dimostrato dai contadini e dagli allevatori del paese del Nilo, che ha come risultato “un numero di volatili straordinario a dirsi, poichè non  sono le galline a covare le uova, ma sono loro stessi che provvedono a far nascere i pulcini con il talenti e l’abilità naturale”. In effetti l’espressione usata dallo scrittore greco riferita agli allevatori egizi -“cheiroguntes”, cioè “che operano con le mani”-, fu talvolta equivocata e tradotta inesattamente come se Diodoro avesse voluto intendere che riscaldavano le uova tenendole in mano per farle schiudere, come si tramanda abbia fatto Livia Drusilla, -moglie di Ottaviano Augusto imperatore-, la quale avrebbe fatto schiudere un uovo scaldandolo in seno. In effetti l’insigne naturalista romano racconta che Drusilla -da lui chiamata Iulia Augusta, nome da ella ufficialmente assunto dopo il matrimonio con Augusto- durante la sua giovinezza, quando era gravida del suo primo marito Tiberio Cesare, e desiderando avere un figlio maschio (che fu poi il futuro imperatore Tiberio), per avere un responso sul sesso del nascituro si pose un uovo (di gallina) in seno, e quando fu costretta a toglierlo da quell’insolita sede, lo affidò a una nutrice, onde non si interrompesse l’irradiamento del tepore; né il responso si rivelò fallace (poiché, come il pulcino nato era un maschio, anch’ella partorì il pargolo bramato). Forse da tale episodio -aggiunge Plinio-, venne l’invenzione di far riscaldare con un fuoco moderato le uova adagiate sulla paglia, mentre una persona le rigira di quando in quando così che nel giorno stabilito nascano i pulcini (2)(3).

Al contrario è quasi certo che l’espressione dello storico greco corrisponda in modo esatto all’espressione poi impiegata da Plinio “homine versante”, volendo con essa indicare che una persona era addetta a rivoltare le uova ad intervalli regolari, affinché esse fossero uniformemente irradiate dal tepore che doveva portarle alla schiusa, pratica che probabilmente era diffusa in Egitto assai prima dell’esperimento di Drusilla.

Sembra invero che questo metodo di incubazione artificiale sia rimasto in uso nel Paese del Nilo ancora per parecchi secoli fino all’età moderna, ed anzi sia stata notevolmente sviluppata, raffinata e resa più efficace poiché diversi secoli dopo ne parlano Paolo Giovio -famoso umanista e storico di Como (1483-1552)- e Tragus Hieronymus Bock (“Gerolamo Caprone”) -naturalista tedesco (1498-1554)-: il primo afferma infatti (“Historiarum temporis sui Libri”, XVIII): “Apud Aegyptios magna copia est pullorum Gallinaceorum. Nam apud illos gallinae sua ova non incubant, sed es in clibanis, tepore sensim adhìbito, ita foventur ut mirabili arte compendioque pulli intra paucos dies progignantur, simul et educantur” (“Presso gli Egiziani si trova una grande abbondanza di polli: infatti presso di loro le Galline non covano le proprie uova, ma esse vengono riscaldate nei forni con un tepore dosato con opportuna moderazione di modo che con mirabile abilità e abbreviamento del tempo entro pochi giorni vengono fatti nascere i pulcini ed insieme vengono allevati”); mentre il secondo precisa che “In Aegypto circa Alcairum ova arte excluduntur: clibanum parant cum multis foraminibus, quibus ova diversa, Gallinarum, Anserum et aliarum Avium, imponunt, tum fimo calido integunt clibanum et, si opus fuerit, ignem circumque faciunt” (“In Egitto nei dintorni del Cairo le uova vengono fatte schiudere con metodi artificiali: preparano un forno dotato di molti fori sui quali posano diversi tipi di uova, di Gallina, di Oca e di altri Uccelli, quindi ricoprono il forno con letame caldo e, se si rendesse necessario, accendono pure un fuoco all’intorno”).

Secondo quanto è riportato da Ulisse Aldrovandi (4), Bolos di Mendes (III sec. a. C.)(5) consigliava, nel caso una Gallina non si mostrasse incline alla cova, il seguente procedimento: prima porre le uova sotto a una chioccia che cova (operazione che a prima vista sembrerebbe sufficiente per ottenere la schiusa delle uova; ma è evidente che lo scienziato intende riferirsi a un notevole numero di uova, che non potrebbero essere semplicemente aggiunte alla nidiata di un’altra gallina); indi prendere dello sterco essiccato di pollo, triturarlo e porlo entro recipienti panciuti, aggiungendovi all’intorno delle piume. Compiuta questa operazione, le uova verranno poste diritte con la parte appuntita rivolta verso l’alto e ricoperte con la medesima polvere di letame. Per due o tre giorni le uova rimarranno in tale posizione senza essere toccate; in seguito invece esse dovranno essere quotidianamente rigirate, affinchè si riscaldino in modo uniforme. Al ventunesimo giorno, quando le uova poste sotto la chioccia per essere covate in modo naturale cominceranno a schiudersi anche quelle poste nei recipienti concavi daranno alla luce i pulcini.

Osserviamo peraltro che l’Aldrovandi precisa di aver seguito l’interpretazione del passo di Bolos data da Andrès de Laguna (1499-1559), medico e umanista spagnolo, il quale tradusse la parola greca “gastràs” con “vasa ventricosa”, ma altri autori diedero interpretazioni diverse del passo anzidetto: ad es. Gerolamo Cardano (6) nel “De subtilitate” intese il termine come “cuscini” (“pulvinaria”) e così riportò le indicazioni dell’erudito greco: “Riempi due cuscini con sterco di gallina ridotto in polvere, quindi applica ad ambedue i cuscini, cucendovele, delle piume di gallina morbide e folte. Sopra a uno dei cuscini colloca le uova, con l’estremità più piccola rivolta in lato. Metti l’altro cuscino sulle uova e lasciale in luogo caldo senza toccarle per due giorni; poi fino al ventesimo giorno girale a intervalli regolari di modo che possano riscaldarsi da ogni lato in modo uniforme; infine al ventunesimo giorno farai uscire dall’uovo i pulcini già pigolanti” (7).

Ma solo nel XVIII secolo l’incubazione artificiale praticata in Egitto fu studiata in modo approfondito dallo scienziato francese René-Antoine de Réaumur (1683-1757), il quale espose in una sua opera dedicata all’incubazione artificiale delle uova e all’allevamento degli Uccelli i risultati delle sue ricerche e delle dirette osservazioni effettuate da coloro che avevano visitato il paese nord-africano e delle cui testimonianze si avvalse (poichè non risulta che egli abbia visitato personalmente l’Egitto).

Sezione trasversale di un incubatoio egiziano in un’immagine del trattato del Réaumur.

I dati che egli aveva raccolto appaiono invero discordanti sui numeri, forse perché le osservazioni riferite dalle sue fonti riguardavano incubatoi più o meno capienti. Gli addetti a questi incubatoi apprendevano un’arte che veniva gelosamente tramandata di padre in figlio e per nessuna ragione era concesso illustrare agli stranieri i particolari del metodo da essi seguito, pur essendo ammessi questi ultimi a visitare i forni, che assommavano a 386, presenti in tutto il paese. Una sola persona bastava per far funzionare un incubatoio, che era attivo in genere per sei mesi di seguito; il forno era costituito da una struttura di mattoni cotti con un corridoio centrale fornito di sfiatatoi, il quale dava accesso sui due lati ad alcuni scomparti a due piani (in media cinque per piano). Sia nel vano superiore sia in quello inferiore di ciascuno scomparto era praticata un’apertura che immetteva nel corridoio, abbastanza larga da consentire l’accesso a una persona.

Nelle camere inferiori erano disposte, su stuoie o stoppa, le uova; esse comunicavano con i vani superiori tramite un’apertura centrale, di dimensioni sufficienti a consentire al calore proveniente dall’alto di irradiarsi sulle uova in incubazione. Nelle sezioni superiori veniva bruciato sterco bovino o di dromedario, che in precedenza era stato essiccato e mescolato con paglia e quindi ridotto in mattoncini; questi erano posti però in un canalicolo che circondava l’area pavimentale a contatto con il muro esterno (e dunque in modo che la fonte di colore non fosse collocata direttamente al di sopra delle uova). Gli addetti agli incubatoi impiegavano tale combustibile al fine di ottenere un fuoco non troppo vivace, che veniva acceso due volte al dì, -un’ora al mattino e una alla sera-, ma solo durante i primi dieci giorni di incubazione. Per impedire la dispersione del calore verso l’esterno erano applicati dei tamponi di stoppa agli sfiatatoi delle camere superiori; le uova venivano quotidianamente rivoltate e se necessario spostate in altri punti qualora giacessero in angoli non sufficientemente riscaldati ed anche traferite nel vano superiore quando il fuoco non veniva più acceso.

Poiché a detta del Réaumur in ciascun comparto dell’incubatoio erano collocate in media circa 4.500 uova, e i comparti erano in genere in numero di dieci, lo studioso calcola che ben 45.000 uova fossero poste in incubazione contemporaneamente; tuttavia l’addetto allo stabilimento aveva il compito e il dovere di assicurare la schiusa di almeno i due terzi delle uova, così che ogni covata si presume facesse venire al mondo non meno di 30.000 pulcini. Se si pensa poi che gli incubatoi erano, -al tempo dello scienziato francese-, 386 e che funzionavano per sei mesi all’anno, è facile dedurne che dovevano produrre una quantità davvero impressionante di piccoli esserini pigolanti!

Dobbiamo tuttavia precisare che l’incubazione artificiale delle uova, ovvero il riscaldamento dello stesso per ottenerne la schiusa non per mezzo della cova, con il tepore del corpo della chioccia o comunque di un volatile accovacciato sopra di esse, non è stato inventato dall’uomo ma esiste anche in natura tra alcune specie di Uccelli. In particolare un singolare metodo per far nascere i loro piccoli è stato escogitato dai membri della famiglia dei Megapodidi -ascritti all’ordine dei Galliformi-, che vivono tra le isole dell’Indonesia e l’Australia; essi sono Uccelli aventi dimensioni simili a quelle delle Galline o dei Fagiani, dal carattere timido, dolce e riservato, si nutrono principalmente di frutti, semi, erbe, Insetti e altri piccoli Invertebrati e non arrecano alcun disturbo ad alcuno. Oltre a quella suddetta delle modalità di incubazione, hanno la particolarità di deporre uova eccezionalmente grandi in rapporto alle loro dimensioni corporee: si consideri che esse possono arrivare al peso di 185 gr (mentre le uova di Gallina pesano in media 50-60 gr), sono provviste di un tuorlo assai voluminoso e di guscio molto sottile di colore bianchissimo. Alcune specie depongono le uova in prossimità di caldissime sorgenti di origine vulcanica e nella lava tiepida; altre sfruttano il calore prodotto dalla decomposizione di foglie e di altri detriti vegetali; altre ancora nascondono le uova nella sabbia in riva al mare in punti esposti ad una forte irradiazione solare.

Quest’ultima soluzione è stata adottata in particolare dal Maleo di Celebes (Macrocephalon Maleo) e dal Magapodio di Wallace (Eulipoa Wallacei); secondo alcuni osservatori, essi talora si recano anche nelle regioni interne e depongono la covata in terreni di natura vulcanica, che provvedono a fornire il calore necessario alla schiusa. Tale metodo è adottato anche da alcune specie del genere Megapodius in alcune zone di natura vulcanica del loro areale di distribuzione, -come la Nuova Britannia e le isole Salomone-, le quali scavano gallerie nel sottosuolo che possono essere profonde anche più di un metro. In altre regioni invece questi Uccelli innalzano grandi cumuli di foglie e terriccio sabbioso, che possono giungere ad avere il diametro di 12 metri e l’altezza di 5 metri. In quest’ultimo caso il calore occorrente per far sviluppare l’embrione viene fornito in parte dal Sole, e in parte dalla decomposizione del fogliame: nelle aree aperte più esposte all’irradiamento solare diretto i cumuli sono costituiti in prevalenza da terriccio, mentre nel folto della giungla, ove pochi sono i raggi solari che riescono a giungere al suolo, essi sono formati in via esclusiva da foglie e rametti.

Gli appartenenti alle specie di Megapodidi rientranti nei generi Aepypodius (A. arfakianus, A. Brujnii), Alectura (A. Lathami) e Talegalla (T. Cuvieri, T. fuscirostris, T. jobiensis), -detti complessivamente “Tacchini di boscaglia”, sebbene non abbiano che una lontana parentela con i Tacchini veri e propri, i quali, pur appartenendo anch’essi all’ordine dei Galliformi, rientrano nella famiglia dei Meleagridi e si trovano allo stato selvatico solo nelle Americhe-, per l’incubazione delle loro uova si avvalgono invece solo del calore prodotto dalla decomposizione di detriti vegetali con cui questi uccelli costruiscono tumuli dalle ragguardevoli dimensioni nel folto della foresta. Servendosi delle robuste zampe il maschio raduna con lodevole pazienza grandi quantità di fogliame e ramaglie fino a formare un cumulo alto un metro e mezzo e largo tre metri; indi per alcuni giorni controlla accuratamente che il cumulo subisca un processo uniforme di inumidimento e di fermentazione spostando anche le foglie e i detriti, ovvero aggiungendone o togliendone se lo ritiene opportuno. Infine quando sembra che il “nido” così ottenuto sia nelle condizioni ideali, la femmina vi sale sopra e vi depone le uova, che sono in genere in numero di 10-12, -ma talora anche di più-, entro buche appositamente scavate in precedenza, che i due volatili esaminano con attenzione assicurandosi, infilandovi il becco, che l’interno di ciascuna nicchia abbia raggiunto la temperatura giusta. Durante tutto il periodo dell’incubazione, che dura dalla sette alle quattordici settimane, a seconda della specie , il maschio continua con ammirevole dedizione a raccogliere altri detriti vegetali e ad aggiungerli al cumulo, al fine di assicurare una ininterrotta produzione di calore. Inoltre per essere certo che la temperatura non si raffreddi, compromettendo così le possibilità di schiusa delle uova, egli scava dei fori nel mucchio introducendovi il capo: per tale ragione si ritiene che i Megapodidi abbiano i recettori termici nel becco (o comunque sulla testa).

Leipoa ocellata (Fagiano australiano).

Più difficile è portare a termine l’incubazione per la Leipoa ocellata (Fagiano australiano), la quale vive negli aridi territori delle regioni interne dell’Australia, ove assai forti sono le escursioni termiche, sia quelle annuali, sia quelle giornaliere. In codeste aree si trovano scarsi detriti organici, e quando la Leipoa riesce ad accumularne una sufficiente quantità, essi non si decompongono, ma ben presto, data l’aridità del clima, si seccano, venendo poi dispersi dal vento o distrutti dalle termiti e da altri insetti. Per tale ragione il paziente pennuto è costretto costruire il suo nido entro ampie buche scavate a una certa profondità nel terreno i modo che i detriti riescano a mantenere l’opportuna umidità. In inverno il maschio sceglie un ampio spazio dove provvede a scavare, rastrellando all’indietro la sabbia e il terriccio, la fossa, larga due-tre metri e profonda uno; quando giunge la primavera riempie la buca con tutte le foglie e i rami che riesce a reperire all’intorno: poiché in questa stagione le piogge sono di solito abbastanza frequenti, il materiale raccolto viene presto impregnato di umidità e allora l’uccello lo copre di sabbia, costruendovi sopra un tumulo che può avere un’ampiezza di cinque metri e un’altezza di un metro o un metro e mezzo. In tal modo il fogliame racchiuso nella fossa si decompone producendo calore; se le condizioni climatiche lo consentono, egli apre nel mezzo del tumulo una sorta di camera dove, tra settembre e febbraio, la mamma comincia a deporre le sue uova, -di solito due o tre-, operazione per la quale le abbisogna un tempo variabile tra i 5 e i 17 giorni. Prima della deposizione di ciascun singolo uovo, il maschio deve provvedere a spostare da uno a due metri cubi che ricoprono i detriti per far posto al “nido” che accoglierà l’uovo. Soltanto quando ha terminato la sua opera, -che richiede diverse ore-, la femmina può avvicinarsi e dopo aver esaminato la buca scavata dal compagno vi crea un piccolo avvallamento nel quale depone l’uovo; una volta che ha terminato la deposizione il compagno ricopre di nuovo la buca ridando al tumulo la forma originaria.

Tumulo costruito da un Megapodide (in un giardino zoologico).

Lo sviluppo dell’embrione è assai lungo e si protrae per sette mesi, o anche più, durante i quali la temperature esterna subisce notevoli variazioni, che potrebbero influenzare negativamente o addirittura impedire la nascita dei pulcini.

Onde prevenire tale pericolo, durante la primavera, l’estate e l’autunno il maschio si adopera affinché la temperatura all’interno del tumulo non scenda mai al di sotto dei 33,5°: in primavera il calore deve essere superiore rispetto a quello dell’aria e del terreno; in estate invece la temperatura deve mantenersi più bassa di quella dell’ambiente circostante; mentre in autunno deve tornare ad innalzarsi. In primavera dunque pratica ogni giorno dei fori nel cumulo, in modo da favorire la dispersione del calore ed evitare l’eccessivo riscaldamento prodotto dall’intensità dei processi fermentativi, che si accelera durante questa stagione; d’estate aggiunge invece una notevole quantità di terriccio sopra il cono, così da proteggere le uova dall’esorbitante aumento della temperatura esterna che talora può sfiorare il 46°. Inoltre nelle settimane più torride l’accorto volatile, a intervalli di due giorni, alle prime luci dell’alba scava delle aperture nel tumulo e vi pone del terriccio raffreddatosi nelle ore notturne; in tal modo evita che il calore ardente che regna alla superficie penetri all’interno raggiungendo le uova. Quando si approssima l’autunno invece la temperatura all’interno della camera che accoglie le uova potrebbe scendere al di sotto dei 33,5°: allora il maschio al mattino provvede a togliere del materiale e ad appiattire il tumulo, così che le uova siano ricoperte solo da un strato di sabbia alto pochi centimetri che consenta ai declinanti raggi solari di baciare la sua futura progenie; al tramonto rinforza di nuovo la copertura aggiungendo della sabbia ancora tiepida a causa dell’intenso irradiamento solare subito, assicurandosi così che le uova si mantengano al caldo

Pulcino di Alectura lathami.

Tra i membri delle specie definite “Tacchini di boscaglia” (appartenenti come abbiamo dianzi detto ai generi Aepypodius, Alectura e Talegalla, e in particolare al genere Alectura lathami), anche alla femmina sono demandati importanti compiti nella costruzione e nel mantenimento del nido: ella provvede da sola a creare un incavo alla sommità del cumulo, dove depone l’uovo ricoprendolo poi con cura con terriccio. Poichè spesso nel cumulo di detriti vi sono diseguaglianze di temperatura tra una parte e l’altra, secondo il materiale usato e il grado di fermentazione, il pennuto scava diversi punti scegliendo poi il luogo che reputa più adatto alla deposizione. Per quanto riguarda il genere Megapodius e il Maleo di Celebes, entrambi i membri della coppia di uccelli provvedono di comune accordo a predisporre le cavità e a ricoprirle opportunamente. Mentre la maggior parte dei Megapodidi sono monogami e stringono tra di essi saldi e spesso indissolubili connubi, i Tacchini di boscaglia (ovvero gli appartenenti ai generi Aepypodius, Alectura e Telegalla), uniformandosi in questo al costume prevalente nei Galliformi, vivono in gruppi costituiti da un maschio dominante, da diverse femmine e il più delle volta anche da alcuni maschi giovani.

Sia i Tacchini di boscaglia, sia il Fagiano australiano sono legati ad un loro territorio che può avere un’estensione di 50 ettari, nel quale essi, di solito nella stagione invernale, scelgono l’area adatta per la costruzione del cumulo che serve loro come incubatrice, compito abitualmente svolto dal maschio, il quale non esita a difenderlo con fiera determinazione contro gli intrusi, e talora alla sua stessa compagna qualora giudichi non ancora venuto il momento adatto per la deposizione delle uova. Gli appartenenti al genere Megapodius, i quali costituiscono coppie legate da un vincolo stabile, sono invece assai meno legati ad una determinata area e collaborano nell’edificazione del nido.

L’inizio e la durata dell’incubazione delle uova dei Megapodidi, data la singolarità del metodo da essi adottato, -un “unicum” tra gli Uccelli-, sono strettamente legati alle condizioni climatiche, e in particolare della temperatura e dell’umidità, che possono propiziare o viceversa ostacolare, o addirittura impedire lo sviluppo e la schiusa dei pulcini. Le femmine dei Tacchini di boscaglia e i Fagiani australiani iniziano in genere a deporre le uova in settembre, -allorché nell’emisfero meridionale inizia la primavera- (ma il periodo della deposizione si può prolungare fino a febbraio), e la temperatura e il grado di decomposizione del cumulo che serve loro da nido ha raggiunto il valore desiderato. Se in primavera le piogge fossero per disgrazia carenti o assenti, e di conseguenza i materiali del tumulo non potessero decomporsi, questi volatili rimandano la deposizione delle uova, o talora rinunciano ad essa. A seconda che l’estate sia più o meno calda e secca, lo sviluppo embrionale risulta accelerato o rallentato. Alcune specie del genere Megapodius che vivono in luoghi ove la temperatura è costantemente elevata e le precipitazioni distribuite durante tutto l’anno non sono invece condizionate dalla mutevolezza del clima e dunque possono deporre le loro uova in qualsiasi periodo.

Come la maggior parte dei nidiacei degli Uccelli di qualunque specie, i piccoli Megapodidi sono dotati di una minuscola escrescenza appuntita sul becco, -detta “diamante”-, con l’ausilio della quale di solito i pulcini rompono il guscio dell’uovo che li aveva ospitati; ma essi non se ne servono a questo scopo, poiché escono dal guscio esercitando una forte pressione con le zampette e con il collo. Poiché le nicchie adibite all’incubazione sono situate a una profondità sotto lo superficie, che talora può essere anche di un  metro, i piccoli devono faticare alquanto per poter raggiungere l’aria aperta e tale operazione, oltre che lunga, risulta spesso anche pericolosa, poiché rischiano di soffocare sotto la sabbia e i detriti – e purtroppo non sono pochi quelli che non riescono a risalire alla superficie-; e quando alla fine riescono ad uscire all’aperto, sono sfiniti e occorre loro un bel po’ di tempo per riprendere le forze, per cui cercano di trovare al più presto un nascondiglio sicuro ove potersi riposare prima di cominciare a esplorare la foresta.

Quest’operazione di risalita all’esterno è invece meno complicata per i piccoli dei Tacchini di boscaglia, i quali devono aprirsi un varco tra le foglie, ancorché umide, e quindi la fatica che sono costretti a compiere è minore, così che quando sono giunti alla sommità del cumulo non hanno bisogno di un lungo riposo.

Il padre e la madre, che avevano dedicato tanti e tanto prolungati sforzi per la nascita della loro prole, una volta che i pulcini sono nati, non si occupano più di essi; questi ultimi tuttavia sono i piccoli più precoci di tutta la classe degli Uccelli e già subito dopo la schiusa sono in grado di procurarsi il cibo da soli e pure di spiccare brevi voli (questi uccelli, come quasi tutti i Galliformi, non sono abilissimi volatori). I piccoli Megapodidi sono rivestiti di morbido piumino, mentre le penne delle ali hanno il vessillo ancora chiuso e sono avvolte da un involucro gelatinoso che scompare durante l’ascesa verso la sommità del cumulo: così quando i pulcini giungono all’esterno le loro ali sono asciutte e possono sostenerli nel primo volo.

Le prime notizie sull’esistenza di uccelli simili a Fagiani che deponevano uova assai grandi che venivano fatte schiudere entro cumuli di foglie giunsero in Europa, riportate da un frate domenicano spagnolo, un certo Navarrete, già alcuni anni la circumnavigazione del globo terracqueo compiuta da Ferdinando Magellano, ma non furono credute. Quando i primi colonizzatori europei giunsero in Australia e videro questi enormi tumuli, li credettero costruzioni umane, addirittura monumenti sepolcrali. Solo nel 1840 il naturalista John Gilbert potè dimostrare che, come affermavano gli indigeni, quei grandi mucchi di fogliame erano nidi dove era poste ad incubare le uova di alcuni Uccelli.

Il comportamento e soprattutto le strane modalità di riproduzione dei Megapodidi poterono essere conosciuti abbastanza bene allorché alcuni esemplari di questa famiglia di Galliformi cominciarono ad essere allevati e in seguito a riprodursi in cattività. La prima nascita documentata non allo stato naturale avvenne nel 1872 allo zoo di Berlino, ma rimase per molto tempo un evento isolato, che si ripetè solo a distanza di molti anni nel 1932 presso lo zoo di Francoforte e in modo del tutto inaspettato. Una mattina infatti un guardiano rinvenne sotto una scala una creaturina grigia che egli in un primo momento scambiò per un topo, forse anche perché il luogo dove la scorse si trovava a una notevole distanza dalla voliera ove erano ospitati i Tacchini di boscaglia (poiché in effetti si trattava di un piccolo esemplare di Alectura Lathami). Negli anni successivi nello zoo di Francoforte vennero alla luce complessivamente trenta pulcini, i quali in un anno raggiunsero l’età adulta dedicandosi a loro volta alla costruzione di cumuli-nidi. Nell’ambito di un giardino zoologico però tale operazione è alquanto difficoltosa, poiché a questi Uccelli necessita una quantità enorme di fogliame, tanto che in meno di mezza giornata uno di essi può utilizzare l’intero carico di detriti vegetali portatogli da un autocarro.

Ricordiamo infine che molte specie di Megapodidi, a causa della perdita dei loro habitat, dell’inquinamento, della caccia sconsiderata e della sottrazione indebita delle uova che alcuni indigeni praticano spinti dalla loro stolta avidità, oltre che per l’elevata mortalità infantile, sono inscritte nella lista rossa CITES tra le specie vulnerabili o in pericolo critico di estinzione (in particolare tra queste ultime rientra la Leipoa ocellata).

CONTINUA NELLA TERZA PARTE

Note

1) “Quaedam autem et circa incubitum sponte naturae gignuntur, ut in Aegypti fimetis” (Naturalis Historia, X, 75).

2) “Iulia Augusta prima sua iuventa Tiberio Caesare ex Nerone gravida, cum parere virilem sexum admodum cuperet, hoc usa est puellari augurio, ovum in sinu fovendo atque cum deponendum haberet, nutrici per sinum tradendo, ne intermitteretur tepor; nec falso augurata proditur: nuper inde fortassis inventum, ut ova calido in loco imposita paleis igne modico foverentur homine versante, pariterque et stato die erumperet fetus” (Nat. Hist., X, 76).

3) a Livia Drusilla è legato un altro evento che ha per protagonista una gallina: infatti Svetonio (“De vita duodecim Caesarum”, Vita di Galba, 1) riferisce che subito dopo il suo matrimonio con Augusto, mentre visitava la sua villa di Veio, un’Aquila, dopo aver ghermito una gallina bianca che teneva nel becco un ramoscello di lauro, gliela aveva lasciata cadere in grembo. Livia allora aveva fatto allevare la gallina, la quale aveva avuto una discendenza così numerosa che la villa prese il nome di “Gallinae”, e aveva piantato il ramoscello, dal quale si sviluppò in seguito un albero imponente  dal quale i Cesari traevano gli allori per celebrare i loro trionfi. Divenne allora consuetudine per essi piantare altri lauri in quel luogo e si notò che allorquando uno di loro periva, si seccava l’albero da lui piantato. Accadde che nell’anno della morte di Nerone (l’ultimo imperatore della dinastia Giulio-Claudia) inaridì tutto il laureto e morirono tutte le galline. Questo episodio è narrato anche da Plinio (Nat. Hist. XV, 136-137) e Dione Cassio Cocceiano (Storia Romana, XLVIII, 52, 3-4).

4) di Ulisse Aldrovandi (1522-1605) e dei suoi studi specialmente nel campo della classificazione animale abbiamo parlato nella prima parte della “Tassonomia delle specie animali e vegetali” del 20 marzo 2017. Di Galli e Galline egli tratta in particolare nel XIV libro del secondo tomo della sua opera principale “Ornithologia”, dedicato alla descrizione delle caratteristiche anatomiche, morfologiche e comportamentali dei “Pulverizantes”, gli Uccelli che amano fare il bagno e scuotersi nella polvere per pulirsi le penne e le piume, e che corrispondono in larga parte ai Gallinacei e poi ai Galliformes delle successive classificazioni.

5) Bolos di Mendes (capoluogo del XVI nomo del Basso Egitto), erudito e scienziato greco-egizio vissuto nel III secolo a. C., il quale scrisse diverse opere su svariate materie (agricoltura, astrologia, medicina, farmacognostica e soprattutto alchimia, di cui egli è considerato uno dei fondatori, ma di cui rimangono solo frammenti e citazioni), a volte designato con l’appellativo di “pseudo-Democrito”, poiché molti dei suoi trattati furono attribuiti al filosofo greco dagli eruditi posteriori, quali Varrone (116-27 a. C.), Columella (4-70 d. C.) e Cassiano Basso (VI-VII secolo). Tra le sue opere più celebri il trattato di alchimia in 14 libri “Cheirocmeta” (“manu ficta”) e il “De sympatheticis et antipatheticis” (ovvero delle reciproche interrelazioni positive e negative degli elementi e degli enti naturali).

6) insigne scienziato e filosofo (1501-1576), che abbiamo già citato nella seconda parte di “Le frasi palindrome in greco e in latino” del 15 febbraio 2018.

7) l’Aldrovandi nella sua trattazione riprendeva quanto aveva già scritto il celebre naturalista tedesco Conrad Gesner (1516-1565) nel III libro (“De natura Avium”) della sua reputatissima “Historia Animalium”, -nel capitolo “De Gallina”-, il quale aveva invero aggiunto alle fonti poi citate anche dal  naturalista bolognese (Aristotele, Diodoro Siculo, Paolo Giovio, Gerolamo “Caprone”, pseudo-Democrito) sull’argomento all’incubazione artificiale delle uova anche il giurista ed erudito Piero de’ Crescenzi (1233-1320 circa), autore di una rinomata opera sull’agricoltura, il “Ruralium commodorum opus libri XII” (di cui il nono libro è dedicato agli animali), il quale pure alludeva ai metodi di incubazione praticati in Egitto, specie al Cairo.

 

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