ANIMALI NELLA STORIA E NELLA LETTERATURA (seconda parte)

LA LEPRE DELLA REGINA BUDICCA E I CONIGLI DI PASQUA

Secondo quanto riferisce lo storico Dione Cassio Cocceiano (155-235 circa), importante senatore e dignitario dell’Impero, nativo di Nicea in Bitinia, nell’Asia Minore, nella sua “Storia Romana” (LXII, 6), Budicca, regina della popolazione britannica degli Iceni, aveva una lepre dal cui comportamento ella traeva presagi ed oracoli.

Questa indomita sovrana della storia britannica, vissuta tra il 33 e il 61, già consorte del nobile Prasutago, capo degli Iceni e alleato dei Romani, alla morte del marito dovette subire un crudele ed umiliante trattamento da parte dei legionari del procuratore Quinto Petilio Ceriale, che disconosceva la sua autorità, poiché non aveva avuto prole maschile, ma due figlie femmine-, e voleva annettersi il suo regno per conto dell’imperatore Nerone.  Pertanto ella non esitò a ribellarsi e, chiamate a raccolta gran parte delle tribù celtiche della Britannia meridionale, nel 60 riuscì a sconfiggere i Romani in importanti battaglie, come quella di Camulòdunum e di Verulamium; l’anno seguente però dovette soccombere alle preponderanti forze nemiche e per non subire la terribile sorte che già aveva dovuto sperimentare alcuni anni prima preferì darsi la morte avvelenandosi (1).

Come abbiamo detto, nella sua grande opera storica Dione Cassio riporta l’appassionato discorso che la regina rivolse al suo popolo e ai suoi alleati prima della vittoriosa battaglia di Camulòdunum, nel quale ella si paragona a Nìtocris d’Egitto e a Semiramide di Assiria (2) e sferza con severo sarcasmo la mollezza dei costumi dei nobili romani dell’età imperiale (naturalmente questo discorso è in gran parte immaginato dallo storico, vissuto circa 150 dopo i fatti narrati, e che non nasconde la sua ammirazione per la valorosa condottiera) (3). Dopo aver pronunciato la sua esortazione, Budicca liberò la lepre che teneva in grembo per sapere se la sua impresa fosse assecondata dagli dei.lepre-italica1 Ed in effetti la regina si compiacque nel constatare che era assistita dalla protezione divina, poichè la lepre, sgusciando dalle sue vesti per il lato giusto, confermava l’esito per lei favorevole dell’imminente battaglia. Sebbene lo storico non lo dica espressamente, è probabile che la lepre si fosse diretta verso la destra, poiché è convinzione quasi universale che il lato destro sia quello di buon augurio. Oppure era un segno propizio il fatto che l’animaletto si fosse allontanato con lestezza dal suo grembo, -mentre se avesse esitato o avesse indugiato a correre via il presagio non sarebeb stato altrettanto fausto-.

Confortata dal responso propizio del vaticinio, la regina degli Iceni rivolse la sua preghiera di ringraziamento a una divinità, Andraste, della quale fino ad ora non si possiede alcuna altra informazione. Si è supposto però che fosse una divinità guerriera e la tempo stesso dispensatrice di responsi divinatori simile all’irlandese Mòrrigan, ben nota perché dalla sua figura probabilmente derivò quella di Morgana, la tenebrosa sorellastra di Artù nei poemi brètoni. Questa identificazione è confortata dal fatto che talvolta Morrigan (il cui nome dovrebbe significare “Grande regina”, oppure “Regina dei fantasmi”) era venerata anche con il nome di Anand, che mostra qualche assonanza con Andraste (4). Questa divinità peraltro, per quanto si sa finora, non aveva particolari legami con le lepri o i conigli, mentre suoi messaggeri erano considerati mucche, lupi e soprattutto corvi, che aleggiavano sui campi di battaglia per saziarsi dei cadaveri che vi si trovavano numerosi.

Tuttavia le Lepri e poi anche i Conigli godevano una particolare considerazione nel simbolismo mistico-religioso delle popolazioni celtiche e germaniche poiché sia per la loro prolificità, sia per il loro riapparire nei campi all’inizio della primavera dopo i rigori invernali erano ritenuti manifestazione del rinnovamento annuale della natura. Ad esempio Aveta, un dea della maternità e infanzia, venerata in particolare nelle aree tra Gallia e Germania superiore, dove sono state rinvenute iscrizioni a lei dedicate e statuette che la raffigurano, era rappresentata come una donna con in braccio bambini, piccoli animali, come cagnolini e conigli o cestini di frutta.

La dea Aveta,
La dea Aveta,

Ma la dea che sembra più legata a lepri e conigli è Eostre, di questa figura divina non si hanno molte attestazioni: in effetti essa viene citata soltanto nel “De temporum ratione”, un’opera dell’erudito sàssone Beda il venerabile (679-735) nella quale vengono descritti i mesi dell’antico calendario anglo-sàssone e i culti ad essi collegati, i quali spesso si sovrapponevano e si mescolavano a quelli celtici. Ella era venerata in particolare nel mese che da lei aveva tratto il nome di “Eosturmonath”, corrispondente a marzo-aprile, nel quale si celebrava l’equinozio di primavera e la festa principale della dea. A questa festa si sovrappose poi la Pasqua cristiana, che però nelle isole britanniche mantenne l’antico nome (da cui l’inglese “Easter” = Pasqua).

Jacob Grimm (5) nella sua “Mitologia Germanica”, pubblicata nel 1835, ipotizza che alla dea anglosassone Eostre corrispondesse presso i Germani continentali, o almeno alcune tribù di essi, la dea O’stara, che non risulta documentata come tale, ma della cui esistenza è indizio il nome del mese “Ostarmanoth”, mese dell’equinozio di primavera, equivalente all’Eosturmonath sassone, e il nome dato alla festa di Pasqua in Germania, “Ostern” derivato con tutta evidenza da Ostara.

Senza alcun dubbio questi nomi discendono dalla radice proto-indoeuropea *AUS, che significa “brillare, sfavillare, mandare luce e bagliori”; da codesta radice viene il nome della dea dell’alba, comune nelle sue caratteristiche fondamentali a tutti i gruppi indoeuropei, *HAEUSOS: a questo primordiale teonimo si possono far risalire tutti i nomi delle dee dell’alba e dell’aurora delle popolazioni ariane: l’Uscias indiana, l’Eos greca, l’Ausosa (poi divenuta Aurora, per rotacismo) latina, e una probabile forma *Austra germanica, evolutosi poi in Ostara ed Eostre.

Nel 1958 il ritrovamento in Germania nei pressi della cittadina di Morken-Harff di 150 iscrizioni votive romano-germaniche databili ad un periodo tra il 150 e il 250 e dedicate a una divinità femminile indicata con il nome di “Matrona Austriahenea” ha confermato la notizia di Beda sull’esistenza della dea Eostre, venerata in quella località in forma romanizzata. Peraltro “Matrona” è il nome originale di una grande dea madre gallica. -nota anche con qualche variante, ad esempio “Madron” in area irlandese- e non, come si potrebbe pensare, il termine latino “matrona”, che indica la nobildonna sposata, per quanto è più che probabile che sia poi avvenuto un accostamento tra i due nomi (6). Di solito al nome “Matrona” era associato uno specifico attributo proprio della località ove ella, o una delle sue ipostasi era venerata. “Matronae” erano poi chiamate tre figure divine femminili che costituivano una triade la quale godeva particolare venerazione nella Germania Inferiore, nella Gallia Belgica e in parte di quella Lugdunensis, dove i costumi e le credenze religiose celtiche e germaniche si mescolavano e si sovrapponevano.

Altorilievo che raffigura le "Matronae" rinvenuto nei pressi di Bonn in Germania.
Altorilievo che raffigura le “Matronae” rinvenuto nei pressi di Bonn in Germania.

Si ritiene che queste tre dee fossero delle divinità del destino, simili alle Norne, -prettamente germaniche-, alle Moire greche e alle Parche romane, ma pure della fertilità e dell’abbondanza, della “buona fortuna” in generale. E’ singolare il fatto che nella maggior parte delle testimonianze plastiche che ne rimangono, -soprattutto statuette fittili che venivano collocate sulle pareti delle case o delle stalle nelle fattorie, onde impetrarne la protezione per gli abitanti- due delle tre sono raffigurate come donne piuttosto anziane con ampi copricapi, mente la terza, assisa in mezzo alle due precedenti, -il che induce a pensare che sia la più potente-, appare giovane e graziosa e con il capo scoperto (7).

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La processione della dea Nerthus in un quadro del 1905 del pittore Emil Doepler. Questo dipinto non offre un’idea verosimile del rito poiché l’immagine della divinità non aveva aspetto antropomorfo.

E’ comunque assai probabile che Eostre, -o Ostara-, sia una ipostasi germanica, o semplicemente un nome locale, della Grande Dea Madre, che incarna ed esprime la forza generatrice e protettiva della Terra e della Natura. Lo storico romano Tacito, nella sua opera “Germania” che descrive con accurata precisione i costumi delle varie stirpi germaniche, nel capitolo XL afferma che questa dea, ovvero la Madre Terra, era chiamata Nerthus, ed era particolarmente venerata da un gruppo di tribù, -tra le quali anche quella degli Angli-, Lo storico prosegue dicendo che in un’isola dell’Oceano (che qui è da intendere come il Mare del Nord o il Mar Baltico) (8), esisteva un venerato bosco a Lei consacrato, nel mezzo del quale si trovava un carro ricoperto da un drappo, che solo al sacerdote era concesso toccare. Egli percepisce l’arcana presenza della dea nei penetrali del tempio e con profonda reverenza conduce sul carro, trainato da bianche giovenche, il suo simulacro, trasportandolo per le contrade all’intorno. Quelli sono giorni di festa e di letizia per tutti, e dovunque la dea vada viene onorata e ricevuta con infinito rispetto. Nessuno di loro va in guerra, non risuonano le armi, le lame guerriere in quel tempo di quiete sono tenute rinchiuse nei forzieri, Allora soltanto la pace e l’armonia sono amate e ricercate da quelle genti bellicose e violente, fino a quando il sacerdote, conclusa la sua visita ispirata dalla pietà. riporta il divino simulacro nel santuario. Infine il carro, il drappo e la statua (9) sono lavati in un lago appartato da alcuni schiavi, i quali venivano a loro volta sacrificati per immersione nelle acque del lago stesso. Da questo rito nasce un religioso terrore e la volontà di ignorare quanto è concesso di vedere soltanto a coloro che sono destinati a perire.

ostara
Ostara in un disegno di Johannes Gehrts del 1884. Come si può osservare la dea è circondata da animali simbolo della primavera, come la cicogna e la lepre.

La notizia data dallo storico romano è stata confermata da numerosi ritrovamenti archeologici in diverse aree dell’Europa centro-settentrionale di carri a quattro ruote sormontati da una sorta di trono, i quali attestano pure che la processione e il rito descritto in modo succinto da Tacito dovevano essere celebrati in molti luoghi e non solo nell’isola (di incerta identificazione) da lui indicata, presumibilmente nella ricorrenza dell’equinozio di primavera, o in una data ad esso prossima.

Jacob Grimm, nell’opera citata, sostiene che questa dea fosse adorata, a seconda dei luoghi, pure con i nomi di Ertha, Erda, Jord e ritiene che si possa identificare forse anche con Fjorgyn, la madre di Thor, anch’essa dea della Terra e della fertilità.

Altri hanno ipotizzato un collegamento o addirittura un’identità di Eostre con Freyja, la dea della fecondità primaverile, la quale però aveva come animali sacri gli Uccelli, in particolare il Falco e il Cuculo che con i suoi richiami annunciava la primavera, e soprattutto il Gatto: il suo carro era trainato da una coppia di gatti. E’ possibile peraltro che in età più antica al posto dei gatti ci fossero delle lepri, tenendo pure conto del fatto che nell’Europa settentrionale il gatto come animale domestico fu conosciuto in epoca assai tarda. Secondo una leggenda tarda i gatti che trainavano il suo carro trionfale erano due: uno bianco e uno nero, ed avrebbero simboleggiato rispettivamente la Luna Piena e la Luna Nuova. Secondo un’altra leggenda invece sarebbero stati donati alla dea dal dio Thor, il quale aveva trovato una covata di micetti miagolanti, di colore grigio-argenteo insieme a un gatto che lo pregò di affidarli alle cure di una persona di buon cuore.

coniglio pasquale
Coniglio pasquale in una cartolina illustrata dei primi anni del XX secolo.

In ogni casi il legame delle Lepri e dei Conigli con l’Equinozio di Primavera, ovvero la festa di Ostara, rimase e fu assorbito nel simbolismo della Pasqua che, dopo la diffusione del cristianesimo, nelle contrade nordiche aveva sostituito l’antica festa germanico-celtica, ereditandone espressioni e simboli. Per questo in Germania, in Gran Bretagna e nei Paesi scandinavi il coniglio è uno degli animali divenuti emblema della Pasqua, insieme al pulcino e all’agnello (10); nonché all’uovo, che pur essendo conosciuto presso le più svariate civiltà e religioni quale immagine per eccellenza della nascita e della rigenerazione, aveva anch’esso un particolare significato nelle tradizioni celtiche legate alla primavera.

In moltissime cosmogonie (quella orfica e quella pelasgica nel mondo ellenico; nella “teologia menfita” in quello egizio, -nella quale l’uovo plasmato dal dio creatore Ptah viene covato da un’Oca; presso gli Indù, ecc.) l’Universo nasce da un uovo (detto appunto “Uovo Cosmico”); anche secondo i Druidi il mondo si era sviluppato da un grande uovo rossastro, -chiamato “Glain”-, deposto sulla riva del mare primordiale dal serpente cosmico (che ricorda l'”Ouroboros” -il “Serpente che si morde la coda”-. simbolo della concezione ciclica del tempo e dell’Uno-Tutto nella tradizione ermetica)

Pertanto nel periodo primaverile era uso presso varie popolazioni di questo ramo della famiglia indo-europea scambiarsi uova colorate, soprattutto di rosso, e far rotolare delle uova dalla cima di una collina, ad imitazione del movimento del Sole nel Cielo ( in questo rito si può vedere una significativa somiglianza con il mito ellenico di Sisifo, il quale fu condannato in perpetuo a spingere sopra un monte un enorme masso, che una volta arrivato immancabilmente ricadeva verso il fondo, mito al quale pure si attribuisce un significato allusivo al moto solare). Queste costumanze erano abituali massime durante la festa di “Beltane”, che cadeva all’incirca il 30 aprile (e che poi quando gli antichi culti furono disconosciuti e perseguitati decadde a festa delle streghe -la “notte di Walburga”)(11).

Curiosa e insolita è poi l’associazione tra conigli e uova stabilitasi in Germania: in quel paese infatti è consuetudine che la mattina di Pasqua i bambini vadano a cercare sotto gli alberi nei giardini le uova che il “Coniglio Pasquale” vi ha nascosto la notte precedente. Una poetica leggenda narra che durante un inverno assai freddo la dea Eostre rinvenne un uccello stremato e ferito in mezzo alla neve e per aiutarlo a superare i rigori della cattiva stagione lo trasformò in coniglio (o lepre), il quale tuttavia conservò la capacità di deporre le uova. L’animale per mostrare la sua riconoscenza alla dea le donò le prime uova da lui deposte al ritorno della primavera.

Di certo non ignorava le credenze e le leggende riguardanti Lepri e Conigli lo scrittore e matematico inglese Lewis Dodgson Carroll (1832-1898), il quale in “Alice nel Paese delle Meraviglie” ci diede due strani personaggi che sono tra i più noti Lagomorfi (l’ordine di Mammiferi al quale appartengono Conigli e Lepri, un tempo compresi nei Roditori) della letteratura: White Rabbit -il Coniglio Bianco (talora tradotto in italiano con “Messer Bianconiglio”, poiché in effetti sembra che “White” sia il nome e “Rabbit” il cognome)-, e “March Hare” (“Lepre Marzolina”).Down_the_Rabbit_Hole

Il nome della seconda allude chiaramente al suo legame con l’equinozio di primavera, che cade in marzo; la conversazione in apparenza alquanto stramba che lei e i suoi bizzarri compagni, -il “Cappellaio Matto” e il Ghiro-, intrattengono con Alice nel settimo capitolo del romanzo in realtà vertono sul Tempo, nel suo significato sia psicologico, fluire di sensazioni, impressioni e pensieri soggettivi, sia come alternanza di cicli cosmici, scanditi appunto dagli eventi astronomici. I nomi delle cose che le tre sorelline di uno sconclusionato racconto del Ghiro tirano fuori da un pozzo cominciano tutti con la M, -dunque come “March Hare”-: “Moon”, “Memory”, “Muchness”… ovvero la Luna, la Memoria, la Pienezza (o la “moltitudine”), tutte cose che hanno un significato cosmico e che sono legate al trascorrere del tempo (12)(13). Nel processo che conclude la storia di Alice nel Paese delle Meraviglie il Cappellaio, la Lepre e il Ghiro affermano di aver cominciato a bere il tè in marzo, -di avere quindi iniziato il ciclo annuale-, i giurati sono dodici (i dodici mesi?); in questo strano giudizio l’imputato per il crimine di aver rubato alcune torte (il tempo che sottrae ogni cosa?) è il Fante di Cuori.

Quanto a Messer Bianconiglio, egli svolge l’onorevole mansione di araldo alla corte della Regina di Cuori; in quest’ultima si può vedere senza dubbio, nonostante il suo carattere in apparenza altezzoso e bisbetico (ma forse anche per questo), una lontana discendenza dalle dee della Primavera, della Natura e della Terra, alle quali erano sacri lepri e conigli, e che erano sì vivificatrici, protettrici e benefiche, ma talvolta anche possessive, gelose e permalose. Il Fante di Cuori potrebbe a sua volta essere considerato, su scala di racconto infantile, il Figlio che deve essere sacrificato, o si sacrifica volontariamente, per assicurare la resurrezione della Natura e rinascere a una nuova e “vera” vita.

IL MULO DEL PARTENONE

Quando Pericle ordinò la costruzione del Partenone, il maestoso tempio dedicato ad Atena, la divina protettrice di Atene, molte coppie di animali da tiro, soprattutto di muli, furono adibite al faticoso compito di trasportare le pietre necessarie ad innalzare l’insigne monumento. A quanto riferiscono diversi autori antichi, -tra i quali Aristotele (Historia Animalium”, 577, b), Plinio il Vecchio (“Naturalis Historia”, VIII, 68), Plutarco di Cheronea (“De sollertia animalium”, 13), Claudio Eliano (“Περì των ζωων υδιοτετòς”, VI, 49)-, uno dei muli che avevano sopportato per lungo tempo quella dura fatica, ma, a causa dell’età ormai avanzata ne era stato dispensato, continuava di sua spontanea volontà a recarsi al Ceramico (14) ad assistere i suoi ex-compagni più giovani, camminando al loro fianco per rincuorarli e sostenerli; quasi, -così afferma Eliano-, come un anziano artefice, il quale, dopo aver smesso la sua attività, voglia aiutare i suoi apprendisti e colleghi neofiti con la sua esperienza e i suoi affettuosi consigli.

Il popolo ateniese, stupito dalla generosità mostrata dall’animale, decretò pertanto che il mulo, -di cui purtroppo non si tramanda il nome-, fosse mantenuto a spese dello stato, come un costretto al riposo dallo scemare delle forze.mulo_nuovo Secondo Plinio, -per il quale il mulo sarebbe giunto alla rispettabile età di ottant’anni,- il privilegio concesso all’animale sarebbe consistito nel permesso di saziarsi ai banchi di venditori di cereali, senza che questi ultimi potessero scacciarlo -ricevendo però, a detta di Eliano un indennizzo per quanto il mulo avesse consumato-.

Questo episodio dovrebbe di esempio e di insegnamento valido anche ai giorni nostri, poiché ancora troppe volte gli animali “da soma” e “da lavoro” vengono sfruttati senza pietà fino allo stremo della forze e poi eliminati con vergognosa ingratitudine quando non possono più offrire i loro preziosi servigi. Ci auguriamo vivamente che gli animali possano al fine ricevere tutto l’affetto, il rispetto e la protezione che essi meritano e che cessino al più presto i maltrattamenti, le crudeltà e l’ignobile sfruttamento che troppo spesso gli umani riservano agli altri esseri viventi.

Note

1) della rivolta dei Britanni e della figura di Budicca parla anche Tacito in Annali, XIV, 29-39.

2) Nìtocris fu l’ultima sovrana della VI dimastia e la prima donna a ricoprire ufficialmente la dignità di faraone dell’Alto e Basso Egitto, salita al trono nel 2190 a. C, circa. Di lei parla anche Erodoto in Storie, II, 100. Semiramide è una leggendaria regina assira della cui vita trattarono diversi autori greci tra cui Erodoto e Diodoro Siculo; probabilmente la sua figura è da identificare in quella della regina Shammùramat, sposa di Shamshi-Adad V, la quale regnò dall’823 all’810 a. C. , e che fu poi reggente per il figlio Adad-nirari dall’809 all’806.

3) dell’opera storica di Dione Cassio Cocceiano, che comprendeva ottanta libri sono giunti integri solo i libri dal 36° al 60°, nonchè il 79° e l’80°. Degli altri libri si conservano solo i riassunti compilati da due eruditi bizantini vissuti tra l’XI e il XII secolo, Giovanni Xifilino e Giovanni Zonara. Pertanto la narrazione delle vicende di Budicca, che si trovava nel LXII libro di Dione, è ora conosciuta solo tramite l’epitome di Zonara: è dunque probabile che lo scrittore greco-romano avesse inserito un maggior numero di particolari anche al riguardo della lepre e delle credenze religiose della regina e della tribù degli Iceni.

4) sembra che il nome “Budicca” (o “Boudica”) dalla parola celtica “bouda”, avente il significato di “gloria”, “vittoria”, e attestata in varie iscrizioni in Gallia, in Lusitania e in altre regioni iberiche: per questo si è da taluni supposto che fosse anch’esso l’attributo, se non l’appellativo di una divinità. Quanto a Morrigan, tale divinità era concepita e venerata in tre forme o ipostasi, -e pertanto potrebbe paragonarsi alla triplice Ecate greca-: la vergine Ana,-detta  anche Neiman-, patrona della fertilità; Babd, sua madre, colei che accudisce il calderone nel quale ribolle e si produce la via; e Macha, l’anziana, la “nonna”, la grande madre dei fantasmi.

5) insigne filologo tedesco (1785-1863), noto soprattutto per essere l’autore, insieme con il fratello Wilhelm (1786-1859), della celeberrima raccolta di fiabe “Racconti per bambini e famiglie”.

6) da “Matrona” derivò il nome moderno del fiume Marna, nella Francia settentrionale, di cui tale divinità era protettrice. Da questa evoluzione fonetica si evince che il nome della dea Matrona era una parola sdrucciola e non piana (e dunque “Màtrona” e non “Matròna”).

7) queste rappresentazioni, specie quelle delle “Matronae” laterali, ricordano le “Fate” delle tradizioni folkloriche e fiabistiche, con le quali hanno peraltro un sicuro legame. Com’è noto, il nome delle Fate deriva da “Fatum”, il destino: nelle loro figure in effetti si continuano quelle delle antiche dee del destino: le Norne, le Moire, le Parche, le quali nelle tarda latinità furono spesso designate con il nome di “Fatae”. E la loro funzione di personificazioni del destino è più che evidente anche nelle numerose fiabe in cui esse compaiono -si ricordi che le fate non sempre e non necessariamente sono protettrici e benefiche: talora possono mostrarsi ostili e dispotiche (come ad esempio la fata non invitata al battesimo di Rosaspina che pronuncia la fatidica maledizione, poi corretta da un’altra fata, che condannerà la fanciulla ad un lunghissimo sonno; o diverse fate dei “Racconti delle fate” di M.me D’Aulnoy, come nella “Gatta Bianca” che abbiamo parlato in precedenza).

8) l’Oceano, come abbiano detto altre volte, era immaginato dagli antichi quale un grande fiume che circonda tutte le terre emerse.

9) si intende che questa statua non aveva aspetto antropomorfo, era un  mero simbolo della divinità, poiché le popolazioni germaniche, tranne quelle influenzate dalla civiltà e dai costumi romani. o romano-celtici, non rappresentavano le divinità in forma umana.

10) a questi animali, data la loro importanza, appena mi sarà possibile, dedicherò una specifica trattazione.

11) nel calendario celtico le feste più importanti erano quelle che si celebravano a metà dei periodi che intercorrevano tra gli equinozi e i solstizi, -quindi corrispondenti ai gradi centrali dei “segni fissi” (Toro, Leone, Scorpione, Acquario)-: nell’ordine Sahmain, il primo novembre, data di inizio dell’anno, -che fu poi cristianizzata come festa di Tutti i Santi-. Imbolc, Beltane e Lughnasadh. Nel calendario germanico invece le ricorrenze principali erano quelle che cadevano ai solstizi e agli equinozi: Yule, -il solstizio d’inverno- con il quale cominciava l’anno, e poi Ostara. Litha e Mabon. In seguito però in diverse aree nordiche i due calendari finirono per fondersi, come è dimostrato dal nome della festa dell’equinozio d’autunno, -Mabon-, che deriva da “Màponos” il dio della giovinezza figlio di Matrona, Grande Dea Madre, e soprattutto dal fatto che nell’835 papa Gregorio IV dedicò alla venerazione di tutti i santi cristiani il I° novembre, nel tentativo di cancellare la festività di Sahmain che continuava a celebrarsi in tutta l’Europa centro-settentrionale, specie in Germania e in Britannia, sebbene cristianizzate.

12) com’è ovvio, nelle traduzioni italiane per mantenere la comunanza della lettera iniziale di solito vengono introdotte, spesso in modo arbitrario, altre parole che comincino per M nella nostra lingua. In effetti sarebbe bene, quando sia possibile e si abbia una minima conoscenza della lingua originale, servirsi sempre di edizioni con testo a fronte; oppure di traduzioni corredate da un adeguato apparato di note che rendano ragione delle scelte operate dal traduttore e spieghino come sia in realtà il testo originale.

13) si tenga presente che, almeno in origine, il nome della Luna in quasi tutte le lingue indo-europee la parola che designava l’astro notturno (in greco e latino “Mene” -donde “mensis”, la durata di una lunazione-; il luvio “Men”; il persiano “Mah”; l’antico germanico “Mona”, -da cui il tedesco “Mond” e l’inglese “Moon”-, ecc.)  esprimeva l’idea della misurazione del tempo che essa scandiva con le sue cicliche fasi, e poi della misurazione in generale. La memoria, oltre a presupporre una progressione temporale, ha la stessa etimologia di “mente” (latino “mens”) che a sua volta si lega al “misurare”, al “ponderare”. Il termine Luna si riconnette invece alla radice “*-lu”, -da cui derivano anche “lux”, il greco “leukos” =”bianco”, il nome del dio celtico della luce Lugh, ecc.- che esprime l’idea di splendore e chiarezza.

14) quartiere di Atene che si estendeva ai piedi dell’Acropoli, divenuto famoso soprattutto per essere residenza dei vasai. Per questo dal nome del quartiere è derivato il sostantivo “Ceramica”, per indicare sia l’arte di produrre e decorare manufatti fittili, sia i manufatti stessi. Aveva preso il nome da Ceramo, presunto figlio di Dioniso e Arianna ed in esso si trovavano numerosi dipinti e statue di divinità ed eroi.

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