I CONTINENTI SCOMPARSI TRA SCIENZA E MITO (seconda parte)

Un’altra delle fonti del mito dei regni sotterranei è il romanzo “Il dio fumoso” (1908) di Willis George Emerson, fittizia autobiografia di un marinaio norvegese chiamato Olaf Jansen. Emerson racconta di come il protagonista della sua storia abbia navigato insieme al padre all’interno della Terra entrandovi attraverso un’apertura situata presso il polo Nord; per due anni egli avrebbe vissuto insieme agli abitanti di questo regno ipoctonio illuminato da un “Sole centrale fumoso”. Il genitore dell’eroe di Emerson sarebbe rimasto ucciso durante il ritorno, mentre il figlio, -cioè Olaf Jansen-, una volta tornato sulla superficie terrestre sarebbe stato ricoverato in manicomio perchè ritenuto pazzo; uscito dall’ospedale, si sarebbe trasferito in California e lì, giunto all’età di 90 anni, avrebbe deciso di scrivere le sue memorie.

Sebbene nel racconto di Emerson non venga mai citato il nome d Agartha, esso viene attribuito a questo ipotetico regno, -o continente-, ipogeo in altre opere successive. Shambhala è il nome di una delle colonie, la maggiore, nelle quali era ripartito il regno ed in essa aveva sede la capitale. Mentre Shambhala consiste in un intero continente, le altre colonie minori e satelliti sono degli agglomerati più piccoli collocati all’interno della crosta terrestre o dentro le montagne. I cataclismi e le guerre avvenuti sulla superficie, avevano indotto il popolo di Agartha a stabilirsi nelle regioni sotterranee (avremmo quindi un’analogia con il romanzo, -e il film- “La macchina del tempo”, del quale abbiamo già parlato, pur se in questo caso l’umanità “ipogea” non ha subito quel grave processo di involuzione che si si riscontra nel romanzo di Wells; anzi, ha raggiunto un altissimo livello di organizzazione sociale e di progresso tecnologico).

I varchi che consentono l’accesso alle viscere cave della Terra e dunque al regno, o ai regni che vi avrebbero sede, dovrebbero trovarsi in corrispondenza dei poli terrestri: intorno ad essi non vi sono enormi calotte e lastroni di ghiaccio; al contrario, la temperatura è mite e intorno ad essi si aprono ampie cavità che conducono al centro del globo terracqueo, e alle popolazioni che vi abitano e sono dotate di una avanzatissima tecnologia (infatti questo è il vero luogo di provenienza di molti dischi volanti); ma soprattutto sono assai più progredite spiritualmente.

Tuttavia secondo altri non solo in prossimità dei poli sarebbero situate le aperture attraverso le quali entrare nelle regioni inesplorate che si celano nel sottosuolo: esiterebbero molti altri varchi che portano all’interno del pianeta, sparsi in varie regioni terrestri: nel deserto del Gobi, in Mongolia; tra le montagne del Tibet (delle quali abbiamo già trattato), nelle caverne del Kentuky, nel Mato Grosso in Brasile; sotto la grande piramide di Cheope o sotto la Sfinge nella pianura di Ghizeh in Egitto. e perfino in Italia, sul monte Epomeo, nell’isola di Ischia. Ma è probabile che altri ingressi si trovino in  prossimità dei tanti siti megalitici del mondo come Stonehenge, Angkor Vat e l’isola di Pasqua: questo spiegherebbe l’esistenza di grandi templi in quei luoghi e l’assenza delle città che dovrebbero circondarli.

Ma una testimonianza di eccezionale interesse e valore ci è offerta dall’ammiraglio Richard E. Byrd (1888-1957), esploratore ed aviatore di fama indiscussa, ai suoi tempi non inferiore di quella di C. Lindbergh, il quale in un suo diario segreto espose l’avventura strabiliante avuta durante una missione di volo al polo Sud da lui compiuta il 19 febbraio del 1947. In tale diario egli narra di essersi trovato a sorvolare una modesta catena di montagne, oltre le quali del tutto inaspettatatamente gli appare una ridente vallata con un ruscello che scorre nel mezzo.  “C’è qualcosa di assai strano e anormale qui! -scrive nel diario- Dovremmo vedere null’altro che ghiaccio e neve intorno a noi! I nostri strumenti di navigazione girano come se fossero impazziti!”. Dopo aver eseguito una virata, l’ammiraglio ha modo di esaminare più accuratamente la valle sottostante ed osserva che essa è verde e rigogliosa e vi prosperano muschi ed erbe assai folte, mentre sulla sinistra vaste foreste ricoprono i fianchi dei monti. La valle gli appare rivestita di una luminosità insolita, e alla fine anche il globo solare sembra essersi dileguato, L’aviatore racconta poi di aver avvistato dall’alto un grosso animale: dopo che egli è sceso a bassa quota per osservarlo meglio, l’animale si rivela essere un mammuth. Più avanti davanti a lui e ai suoi compagni di spedizione appare una città scintillante, mentre l’aereo sembra fluttuare per conto suo senza rispondere più ai comandi, come fosse guidato da una misteriosa forza esterna; all’intorno compaiono degli strani veicoli volanti simili a dischi, che irradiano una inspiegabile luce. Ricevono poi uno strano messaggio radio, nella loro lingua, dai misteriosi abitanti del luogo, che, nonostante si trovi ben al di là del circolo polare antartico, ed anzi in prossimità del polo terrestre meridionale, sembra godere di un clima assai mite. Essi danno loro il benvenuto e li avvertono che entro sette minuti l’aereo sarebbe stato fatto atterrare. Ed infatti poco dopo esso comincia a scendere verso il suolo come se si trovasse su un invisibile ascensore. Una volta atterrati, vedono alcune figure che si stanno dirigendo verso di loro e che vengono descritte come alte e bionde. L’ammiraglio ode una voce che gli intima di aprire la porta dell’aereo, ordine che viene tosto eseguito. In lontananza gli esploratori scorgono una grandiosa e luminosa città, -che già avevano intravvisto in precedenza durante il sorvolo-, che sembra fatta di cristallo, vibrante delle tinte di tutti i colori dell’iride, nella quale sono in seguito condotti. Qui, dopo essere scesi con una specie di ascensore in uno strano ambiente irrealmente illuminato da una tenue luce rosata,  incontrano un uomo anziano dall’aspetto venerabile, ma nello stesso tempo delicato e gentile, che si rivela essere il maestro e il sovrano di quel luogo straordinario.

La “città di cristallo”

Il Maestro lo accoglie con grande benevolenza e cortesia, e gli dichiara trovarsi, egli ed i membri della sua spedizione, nel “Mondo Sotterraneo della Terra”. Gli spiega che le ultime tragiche vicende accadute sulla superficie del pianeta, e in particolare l’esplosione delle prima bombe atomiche a Hiroshima e Nagasaki,  hanno riempito lui e il suo popolo di inquietudine e preoccupazione. In passato gli abitanti delle regioni sotterranee non avevano mai interferito con le azioni compiute nelle nazioni del mondo di sopra; ma ora, di fronte ai nuovi allarmanti sviluppi, si vedevano costretti ad intervenire: gli uomini infatti avevano cominciato a conoscere e manipolare energie e tecnologie, come quella atomica, che non erano affatto pronti ad usare, non avendo il livello di evoluzione morale e spirituale che consenta di poterle utilizzare e controllare nel modo più appropriato, con prudenza e saggezza.

Aggiunge che essi – gli abitanti del sottosuolo-, avevano già fatto pervenire importanti messaggi alle potenze de mondo, ma senza ricevere alcuna risposta. Per questo avevano deciso di manifestarsi a lui, nella speranza che alla fine i governanti e gli uomini del mondo di sopra riuscissero a capire come si fossero incamminati su una strada molto pericolosa, che avrebbe di certo condotto alla rovina.”Dal 1945 in poi -continua il Maestro- abbiamo tentato di entrare in contatto con la vostra civiltà, ma i nostri sforzi sono stati accolti con ostilità, fu fatto fuoco contro i nostri mezzi volanti. Sì, furono persino inseguiti con cattiveria e animosità con i vostri mezzi da combattimento!… Ora si profila una tremenda tempesta all’orizzonte per il vostro mondo, una furia nera che non si esaurirà per molti anni. Non ci sarà difesa nelle vostre armi, non ci sarà sicurezza nella vostra scienza….La recente guerra non è stata altro che un preludio a quanto dovrà avvenire…” Il Maestro conclude il suo discorso affermando che quando finalmente la tempesta che sta per approssimarsi sarà passata, essi -gli abitanti del mondo ipogeo- avrebbero aiutato i superstiti a risorgere dalle immani distruzioni e a riprendere il cammino della civiltà, augurandosi che attraverso la terribile esperienza gli uomini  avrebbero imparato a liberarsi dalle discordie, dall’avidità e dai folli egoismi che tanto dolore avevano loro arrecato. Prega poi l’ammiraglio di comunicare questo messaggio al mondo di superficie, dopo di che lo congeda facendo un gesto di pace.

Una volta tornato alla base, l’ufficiale riferisce ai superiori la sua straordinaria avventura e il messaggio ricevuto. Anche il presidente degli USA ne viene informato. Egli però, com’era prevedibile, viene sottoposto a un lunghissimo ed estenuante interrogatorio (che dura più di sei ore), nonchè a un’accurata visita medica, e gli viene intimato di mantenere il più assoluto silenzio su quanto gli è accaduto.

Questo è quanto l’ammiraglio Byrd scrisse nel suo diario; come gli era stato ordinato, aveva mantenuto il segreto sull’eccezionale esperienza che aveva vissuto e sul messaggio che gli era stato trasmesso. Ma in data 30 dicembre 1956 aggiunge un’ultima annotazione alla preziosa testimonianza che aveva riportato nel diario. Afferma di aver mantenuto il segreto pe il vincolo di  obbendienza che lo legava all’esercito USA e l’obbligava ad ottemperare agli ordini ricevuti; ma per fare questo aveva dovuto contravvenire ai suoi principi morali. “Ora -così termina il diario- sento avvicinarsi la grande notte [sarebbe morto di lì a pochi mesi] e questo segreto non morirà con me…come ogni verità, verrà il momento del suo trionfo! Questa è la sola speranza per il genere umano!”.

Non è dato sapere in quale considerazione sia stata tenuta questa testimonianza dai governanti degli Usa, e in generale da coloro che detengono, o credono di detenere, le “leve” del potere in questo mondo. Dal loro colpevole silenzio, e soprattutto dal fatto che abbiano continuato imperterriti, con un’incoscienza e un’irresponsabilità assolutamente autolesionistiche, oltre che imperdonabili, sulla via che il maestro del mondo sotterraneo aveva consigliato di lasciare, si deve dedurre che il messaggio sia stato sepolto sotto una greve coltre di ottuso opportunismo, di meschini e miopi interessi economici e politici, il che è davvero triste, e preoccupante…

Il regno di Agartha, sotterraneo, e quello di Shambhala, -il quale, per quanto la sua collocazione geografica non sia ben determinata, sembra comunque trovarsi sulla superficie del pianeta-, si potrebbero ritenere due manifestazioni di un’unica realtà, due espressioni della medesima civltà superiore, o addirittura due parti dello stesso regno. Si ricordi tra l’altro che nel racconto dell’ammiraglio Byrd che abbiamo testè riportato, gli esploratori vedono una grande città dall’aspetto imponente e scintillante alla supeficie, così come un mondo rigoglioso e mite in un luogo, -l’Antartide-, dove ci si aspetterbbe di trovare solo freddo e ghiacciai. Tra l’altro, questo particolare del clima temperato in terre che per la  latituidine ove sono poste dovrebbero essere desolate riocorda anche la mitica Thule (della quale già avemmo modo di parlare).

Posto dalla maggior parte degli autori nella regione himalayana, Shambhala, il “Regno Nascosto”, è stato concepito sia come un’entità simbolica e metafisica, sia come un effettivo antico regno del Tibet: per questo l’idea di Shambhala contiene in sè un significato esterno, geografico; ed uno interno, spirituale e segreto. Il significato esterno descrive Shambala come un luogo fisico, una comunità di esseri illuminati che guidano l’evoluzione del genere umano; i significati interni e metafisici si riferiscono ad interpretazioni più sottili e sono tramandati in genere per via orale.

Sjambhala è un termine sanscrito (l’equivalente tibetano è “Bde Byung”) che significa “luogo di tranquillità” (o “di felicità”). Questo regno misterioso e affascinante è descritto come una società perfetta, i cui membri sono tutti “illuminati”, hanno cioè raggiunto un elevatissimo grado di evoluzione e di consapevolezza spirituale; la guerra e l’ingiustizia vi sono del tutto sconosciutee i suoi abitanti sono uomini e donne di straordinaria bellezza (ma in alcune versioni sarebbero esseri ermafroditi, poichè avrebbero raggiunto quell’integrazione tra “maschile” e “femminile” che consegue allo stadio superiore dell’evoluzione umana), che risiedono in magnifiche dimore. Esistono varie opinioni sul luogo ove si trovi questa società ideale, ma quella prevalenti la pongono in qualche remota vallata dell’Asia centrale a nord del Tibet. Antichi testi provenienti dallo Zhang-Zhung (regno del Tibet occidentale che fiorì prima dell’avvento del buddismo nella regione, e dove si praticava la religione Bon, l’antico culto autoctono di tipo fondamentalmente sciamanico dell’area himalayana) identificano Shambhala con la valla del fiume Sutlej nell’Himachal Pradesh; i Mongoli lo collocano invece in certe valli del sud della Siberia.

Il centro di questa terra felice è la celebre “Torre di Giada”, posta nella città di Kalapa, la capitale del regno, riscaldata dall’acqua calda proveniente da ruscelli sotterranei, i quali producono vapore che forma vaste e impenetrabili nubi, impedendo così di vedere la città stessa dall’alto. Diversi gruppi di esploratori recatisi sull’Himalaya hanno confermato di aver allestito campi nei pressi di sorgenti calde dove cresceva una ricca vegetazione, in contrasto con le ghiacciate e brulle zone circostanti. Oltre che i tibetani, anche russi, cinesi e indiani tramandano narrazioni riguardanti l’esistenza di una dimora segreta di donne e uomini perfetti che vivono alla costante presenza di energie di un altro mondo.

Come abbiamo detto, si parla del regno di Shambhala soprattutto nel Kalachakra, un testo mistico tibetano che si ritiene sia stato scritto proprio in questo luogo leggendario. Si tramanda che lo stesso Buddha abbia insegnato il Kalachakra per esaudire le preghiere del re Suchandra di Shambhala: i suoi insegnamenti originari, nonchè gli scritti che li contengono, sarebbero conservati nel mitico, e mistico, regno.

Questo sacro testo consta di tre livelli: uno “esterno” (che potremmo definire “exoterico”), uno “interno” (“esoterico”) e l’ultimo “alternativo”, che spiega le dottrine più segrete, nel quale sono contenute indicazioni più o meno enigmatiche che dovrebbero aiutare a comprendere il mistero di Shambala e il luogo ove esso si trovi.

Il monte Meru in una raffigurazione tibetana.

Il primo livello è dedicato all’esposizione di insegnamenti e dottrine riguardanti l’astronomia, l’astrologia, la divinazione, la metafisica. In esso si descrivono la rotazione delle galassie e di tutto l’Universo intorno ad un asse che avrebbe l’aspetto di una montagna (o che comunque è assimilato ad esso in un’immagine simbolica), chiamata “Meru” (montagna e nome che ricorrono anche nella cosmologia indù); i continenti circondano questa montagna centrale rimanendo fermi, mentre il Sole, la Luna e gli altri pianeti e stelle vi ruotano intorno. La massa della Terra è divisa in dodici continenti, in corripsondenza con la divisione dell’eclittica nei 12 segni dello zodiaco. Sul fondamento dei calcoli esposti nel Kalachakra, Shambhala può essere identificata con la regione che circonda il monte Kailash, la vetta nel sud-ovest del Tibet sacra a Indù e buddisti: per i primi infatti il sacro monte Kailash è il trono di Siva, mentre per i secondi è la dimora principale di Heruka, una divinità importante nel buddismo tibetano. Ed in  effetti questa vetta, alta 6.638 metri è una della più imponenti e magnifiche che esistano al mondo, ed al solo vederla, anche in fotografia, ispira un senso di sacralità e di mistero. Shambhala viene immaginata e raffigurata come un fiore di loto ad otto petali perchè comprende otto regioni, ciascuna circondata da alte catene montuose.Al centro del cerchio più interno trovasi Kalapa, la capitale, ove si erge il palazzo del re, che è fabbricato in oro, diamanti, corallo ed altre pietre preziose.

Il sacro monte Kailash.

La capitale è circondata da montagne di ghiaccio, che risplendono di una luce cristallina. Si suppone che in questo regno esista una tecnologia assai avanzata: il palazzo reale contiene lucernari costruiti con enormi lenti che servono come telescopi di grande potenza utilizzati per studiare l’Universo e che consentono di osservare la vita extra-terrestre; da centinaia di anni gli abitanti di Shambhala usano veicoli meccanici ed aeromobili che li trasportano con incredibile velocità attraverso il fitto reticolo di cunicoli sotterranei. Sull via della loro spirituale illuminazione, gli abitanti di questo straordinario paese acquisiscono una sorta di “superpoteri”, come la chiaroveggenza, la precognizione, la capacità di smaterializzarsi o scomparire a volontà.

Heruka

Risulta abbastanza evidente dalla descrizione come la capitale di Shambhala sia sorprendentemente simile alla grande città di cristallo vista dall’ammiraglio Byrd nella sua avventura al polo Sud; così come non sarà sfuggito ai nostri più attenti lettori, come il paese di Shambhala mostri notevoli affinità anche con la mitica Atlantide, quale ci è stata descritta nelle opere di Platone e di altri autori (in particolare Diodoro Siculo): entrambe sono immaginate come costruite e strutturate in cerchi concentrici, per quanto l’una appaia legata al mare e dotata di una rigogliosa flora e fauna, mentre l’altra si presenta confinata nel regno delle più alte montagne, che sembrano quasi assurgere a simbolo di metafisica purezza, e nelle viscere della terra, per quanto non sia certo fredda, oscura e desolata; l’una  e l’altra appaiono dotate di una tecnologia di livello incomparabilmente superiore a quello degli altri paesi della Terra. Questo enigmatico luogo mostra punti di contatto pure con Thule: infatti ambedue si trovano in aree terrestri che, per latitudine o per altitudine, dovrebbero languire a causa della durezza di un  clima rigido, mentre al contrario godono di temperature assai miti.

Shambala è un luogo nascosto per definizione. Si pensa che sia protetta da una barriera di sottili energie psichiche, in modo che nessun ospite indesiderato possa entrarvi. Per secoli i lama tibertani hanno dedicato molti dei loro sforzi sulla via dello sviluppo spirituale per tentare di compiere un viaggio nella terra misteriosa, poichè coloro che cercano di accedervi senza essere graditi sono destinati ad essere divorati dai crepacci o travolti da valanghe. Uomini e animali giunti alla soglia dei suoi invisibili confini sono colti da un’ansia indefinibile e tremano come se fossero colpiti da potenti raggi cosmici.

Tuttavia strani incontri ed avvistamenti nell’area dove si presume sia da collocare Shambhala sembrano fornire una prova della sua esistenza. Ai primi del XX secolo, un articolo su un giornale indiano in lingua inglese, lo “Statesman”, parlò di un ufficiale britannico il quale, essendosi accampato sull’Himalaya, vide un uomo alto, con lunghi capelli, vestito di indumenti non pesanti quanto ci si sarebbe aspettati in quel luogo. Accortosi di essere osservato, l’uomo saltò in basso lungo una parete verticale e scomparve. Con grande stupore dell’ufficiale, i tibetani con i quali era accampato non mostrarono alcuna meraviglia nell’udire il suo racconto: essi gli spiegarono che aveva visto uno degli “uomini dele nevi” che sorvegliano la terra sacra.

Un racconto più ricco di particolari sugli “uomini delle nevi” fu fatto da Alexandra David-Neel, un’esploratrice che trascorse 14 anni in Tibet. Mentre percorreva le strade tra le vette dell’Himalaya, ella si imbattè in una figura umana che si moveva ad una velocità straordinaria e la descrisse nel modo seguente: “Potei chiaramente vedere il suo volto calmo e impassibile ed i suoi grandi occhi con lo sguardo fisso su qualche invisibile e distate oggetto situato da qualche parte nello spazio. L’uomo non correva, sembrava sollevato dal terreno procedendo a balzi. Appariva dotato dell’elasticità di una palla di gomma e rimbalzava ogni volta che i suoi piedi toccavano il suolo. I suoi passi avevano la regolarità di un pendolo”.

Sebbene nel corso dei secoli molti abbiano cercato di raggiungere Shambhalla, coloro che intrapresero il cammino verso il regno nascosto spesso non sono tornati, o perchè trovata la terra sacra preferirono rimanervi, o perchè periti durante il difficile percorso.

E’ degno di nota un evento che sembra precorrere gli avvistamenti di UFO riferito dall’esploratore russo Nikolaj K. Roerich nel 1929, 18 anni prima del famoso rapporto del pilota Kenneth Arnold, che indusse la stampa di allora a coniare il termine “dischi volanti” -per quanto improprio in base alla descrizione che di tali veicoli diede il protagonista della vicenda-. Nella regione dell’Altai, in una valle tra la Mongolia e il Tibet, una squadra di esploratori accompagnati da alcuni “sherpa” nativi del luogo, avevano completato la costruzione di un accampamento. “Il 5 agosto -queste sono le parole che si leggono nel diario di Roerich- accadde qualcosa di straordinario. Ci trovavamo nel nostro campo nel distretto di Kok-i-noor, non lontano dalla catena montuosa di Humboldt. Nella mattinata, circa alle nove e mezza, alcuni dei portatori notarono una grande aquila nera volare sopra di noi. Essi iniziarono ad osservare questo insolito uccello; in quello stesso momento un altro dei portatori fece notare: “C’è qualcosa di più lontano sopra l’uccello!”. E gridò di stupore. Noi tutti vedemmo un oggetto grande e splendente che rifletteva il Sole, simile a un enorme ovale che si moveva a notevole velocità in direzione da nord a sud. Passando sopra il nostro campo la “cosa” cambiò la direzione verso la quale si dirigeva da sud a sud-ovest, e poi la vedemmo scomparire nel cielo azzurro intenso”. Secondo un lama, l’ovale risplendente -che ovviamente ai giorni nostri sarebbe stato sicuramente classificato come un UFO- non era altro che una “forma radiante di materia” proveniente da Shambhala: si trattava, egli disse, di una forza di protezione che era sempre presente in quei luoghi, ma non sempre poteva essere percepita. In effetti il buddismo, -ma non solo esso, molte altre concezioni metafisiche e dottrine teosofiche-, considera la materia “uno sviluppo del pensiero, energia mentale cristallizzata” (così come le emozioni e i pensieri sono a loro volta considerati delle forme di materia, sebbene molto più sottili di quella fisica).

CONTINUA NELLA TERZA PARTE

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