SUGLI ANGELI E SUI DEMONI (settima parte -Lilith)*

*(NB: per motivi tecnici la sesta parte verrà pubblicata più avanti).

Il timore per l’autonomia femminile e la contrapposizione, potenziale o attuale, tra figure muliebri indipendenti con il mondo androcentrico e la supremazia maschile, che relega le donne ad una funzione subordinata a quella dell’uomo, si concreta talvolta in inquietanti e pericolose “demonesse”, le quali sono spesso antiche dee scadute a entità demoniache per il loro carattere poco in linea con la cultura dominante, o residuo di concezioni sociali poi travolte dall’imporsi della civiltà patriarcale.

Tra di esse una delle più importanti, sia per l’estensione nello spazio e nel tempo delle credenze a lei legate, sia per i simbolismi, a volte astrusi, di cui è stata caricata nell’età moderna è LILITH (alla quale abbiamo già accennato nella nota n. 10 della terza parte della presente ricerca).

Questa misteriosa entità demoniaca fa la sua apparizione nell’antica Mesopotamia, e in particolare nella regione abitata dai Sùmeri, fin dai tempi più remoti: a Babilonia e in Assiria, dove aveva il nome di Lilitu, era assai temuta. Le si attribuivano un compagno, LILU, e un’ancella ARDAT-LILI (la “serva di Lilu”), che costituivano una sorta di trade malefica; essi probabilmente all’inizio incarnavano i venti meridionali provenienti dal Golfo Persico, apportatori di tempeste e talora di malattie. Lo stretto legame di codeste entità demoniache con i venti tempestosi è attestato dalla radice  “lil-“, che compare nei loro nomi, e che significava “vento, soffio, alito”.

In seguito però le due figure femminili, e soprattutto Lilitu, la più potente e pericolosa, furono considerate delle diavolesse tentatrici che suscitavano un’inestinguibile lussuria nei maschi, esaurendone le forze e distraendoli dai loro compiti; ma, oltre a questo, avevano la detestabile abitudine di rapire i bambini piccoli, attività peraltro nella quale avevano come temibile “concorrente” un’altra demonessa, chiamata Lamastu, o Labartu, rappresentata come un essere orribile con tratti al tempo stesso leonini e asinini, lunghi capelli scarmigliati e possenti artigli, con i quali non solo rapiva gli infanti, ma li divorava pure.

Nella denominazione di queste entità demoniache potrebbe essere contenuta, secondo una differente ipotesi etimologica, l’idea di oscurità e di tenebra, presente nella radice semitica “lyl”, -che si ritrova ad esempio nell’arabo “layla” = “notte”-; è peraltro possibile che questa seconda etimologia si sia sovrapposta alla precedente senza escluderla, ma rafforzandola nella sua valenza negativa.

A tale riguardo dobbiamo fare menzione di un angelo chiamato Layla, il cui nome compare per la prima volta nel commento alla Bershit (la “Genesi”) del rabbino Yochanan ben Zakkai (30-90 d. C.)(1) in riferimento ad un passo (Gen. XIV, 14) ove si dice che “la notte [durante la notte] Abramo e i suoi servi piombarono su di essi e li respinsero”: il rabbino interpretò il termine “notte”, che nel contesto sembra indicare un consapevole atto ostile, come nome proprio di un angelo che avrebbe aiutato Abramo a liberare suo nipote Lot durante la guerra tra due coalizioni di sovrani cananei. Un altro rabbino vissuto nel III secolo, Hanina ben Pappa, sostenne nel “Talmud babilonese” (“Niddah”, 16b) che Layla sarebbe l’angelo incaricato da Dio di presiedere al concepimento e all’incarnazione delle anime umane: egli (o ella) nel giardino dell’Eden sceglie le anime destinate ad incarnarsi e comanda loro di entrare in un embrione; sorveglia poi lo sviluppo della nuova creatura nel grembo materno e gli mostra le ricompense e i castighi che riceverà per le azioni buone o cattive compiute durante la sua vita terrena. Dopo la nascita, postosi alla destra del neonato, gli imprime un segno intorno alle labbra: in tal modo il pargolo dimentica tutto quanto aveva visto sulla propria futura esistenza. Layla continua poi ad assistere la persona durante la sua vita e dopo la morte la guida nella dimora ultraterrena. L’insegnamento di ben Pappa sull’angelo Layla viene poi ripresa nella mistica del “Sefer ha-Zohar” (il “Libro dello Splendore”): pertanto ella appare come un angelo del destino che stabilisce la sorte dei nascituri, in modo simile alle Moire greche, o all’Ananke, ovvero le situazioni in cui dovranno vivere e gli eventi che dovranno affrontare, pur se essi saranno liberi di scegliere il bene o il male e di crescere virtuosi o malvagi (pur se è evidente che tale scelta è determinata in modo determinante dalle loro predisposizioni innate e dal loro grado di consapevolezza di sé); ma nel medesimo tempo è pure un’entità protettrice, come il Genius romano e il Daimon greco (sui quali si vedano anche la prima e la terza parte della presente trattazione), che precorre l’angelo custode cristiano e in questo senso si presenta come la controparte positiva di Lilith.

Nell’iconografia mesopotamica Lilitu era raffigurata di solito come una donna alata con mani e piedi simili ad artigli di uccello rapace (nell’aspetto dunque a differenza di Lamastu, e di altri demoni babilonesi, non aveva caratteri spiccatamente orrorifici e teriomorfici). La sua azione nefasta, così come quella della sua devota ancella Ardat-Lili, si manifestava principalmente nell’esaurire le energie psico-fisiche degli uomini, ai quali congiungeva spesso durante il sonno o il dormiveglia, assumendo talora le sembianze delle loro consorti; e nell’insidiare i pargoli nelle culle, se essi rimanevano incustoditi. La sua più famosa rappresentazione plastica è un altorilievo di epoca sumera risalente al 1750 a. C. circa, scoperto alla metà dell’800 e custodito nel British Museum di Londra: in tale rilievo appare come figura femminile alata e con zampe di uccello, stante sopra due leoni accovacciati e con due civette ai lati; ella ha le mani (umane) alzate come in segno di protezione e di benedizione tenendo con esse due strani oggetti circolari, che potrebbero essere una specie di cimbali o altri strumenti musicali. In effetti l’aspetto e l’atteggiamento di questa figura non sembrano quelli di un demone, ma si addicono piuttosto ad una dea, per cui è poco probabile che quest’opera scultorea raffiguri davvero Lilitu. L’unico particolare nel quale si potrebbe vedere una caratterizzazione demoniaca sono le zampe di uccello; quanto alla presenza delle due civette, esse non rivestono di per sé un significato demoniaco, pur essendo legate al mondo notturno e tenebroso (2).

Si è ritenuto pertanto che la figura in oggetto con maggiore probabilità rappresenti la dea Nin-Lil, nome che significa “Signora del Vento (o dell’Aria)”, dea del vento meridionale e paredra di En-Lil, il dio dell’aria e dell’atmosfera, il quale insieme ad Anu (il Cielo uranico) e ad Enki (Ea per i Babilonesi), dio dell’acqua e della saggezza, costituiva la triade cosmica della religione sumera (alla quale peraltro si doveva aggiungere un’altra importante divinità, Ki, la Terra: da Anu e da Ki era nato En-Lil). Forse agli inizi le due dee, Nin-Lil e Lilitu, coincidevano o erano le ipostasi di un’unica persona divina; in seguito da Nin-Lil si separò una figura distinta, Lilitu, che ne incarnava i tratti e gli aspetti negativi e terribili.

Potrebbe anche trattarsi della regina degli Inferi Ereshkigal; tuttavia le descrizioni che se ne trovano nei testi mesopotamici non si accordano molto con la figura del rilievo: infatti la regina degli Inferi viene descritta come una fanciulla con addome e fianchi da pesce (il che la rende in parte simile all’Atargatis aramaica), l’estremità inferiore canina, un corno sulla fronte e orecchie da pecora. Volendo vedere negli elementi ferini dei significati simbolici, si può mettere il pesce in relazione con la fecondità e la conoscenza (poiché vive nell’acqua, che esprime misticamente il “continuum” della conoscenza intuitiva), mentre il cane, come il lupo e lo sciacallo è in rapporto con la Luna, la notte e il mondo dei morti (3).

Secondo un’interpretazione formulata dall’assiriologo Samuel Noah Kramer nel 1932 Lilith sarebbe da identificare nello spirito femminile che nella versione sumera dell'”Epopea di Gilgamesh” si era scavata una casa nel tronco di un salice ed era stata poi costretta a lasciarla e a fuggire nel deserto dall’intervento dell’eroe che si apprestava ad abbattere l’albero. In questo mito, -che non ha riscontro nelle versioni accadiche del poema di Gilgamesh-, il salice, che si innalzava isolato sulle rive dell’Eufrate, era stato sradicato e trascinato via da una tempesta, -cha aveva anche fatto naufragare la nave del dio Enki-, ma la dea Inanna (l’equivalente sumero della babilonese Ishtar) lo raccolse e lo piantò nel suo giardino con l’intenzione di fare col suo legno, una volta che fosse cresciuto abbastanza, un trono e un letto. Ma nell’albero si insediarono tre strane creature: tra le radici un serpente, tra le fronde l’uccello Anzu (simile ad un grifone o a un rapace con testa leonina con vaghe somiglianze con il persiano Simurgh; si veda al riguardo la seconda parte di “Uccelli nel Mito” del 7 giugno 2014) il quale ivi costruì il nido e allevò i suoi pulcini; mentre nel tronco andò ad annidarsi un’enigmatica “fanciulla-fantasma”. Per scacciare gli intrusi la dea si rivolse a Utu, dio del Sole, -corrispondente allo Shamash babilonese-, ma questi non esaudì la sua preghiera. Allora Inanna chiese aiuto a Gilgamesh, il quale manda lontano le tre creature, reclamando però in cambio del suo favore alcune delle radici e dei rami dell’albero (che evidentemente aveva dovuto abbattere) con i quali si fabbrica due misteriosi strumenti, detti “pukku” e “mekku”, che si ritiene siano un tamburo e una bacchetta per sonarlo.

La credenza nella demonessa si diffuse poi anche nell’area palestinese dove il suo nome mutò lievemente divenendo Lilith in ebraico, in fenicio e in aramaico, ma sotto tale nuova denominazione continuò ad essere assai temuta, specie dagli Ebrei, i quali tentavano di difendersi da lei per mezzo di scongiuri e amuleti. Nelle leggende midrasiche, ossia contenute nei “Midrasim”, commenti al testo della Torah redati dai rabbini tra il II sec. a. C. e l’età medioevale-, e nel “Sefer he Zorah”, -il “Libro dello Splendore”, uno dei testi principali, insieme al “Sefer Yetzirah”, della “Qabbalah”, la dottrina mistica ebraica-, Lilith divenne la prima moglie di Adamo, creata al pari di quest’ultimo direttamente da Dio, e che pertanto rivendicava uguale dignità con il suo compagno e non essere a lui sottomessa.  Nella “Midrash Rabbah” si incontrano due citazioni di Lilith: nel primo passo, della “Beresit Rabbah” (il commento alla Genesi)-XXII,7 e XVIII,4-, si dichiara che Dio procedette a creare la seconda compagna di Adamo dopo che la prima era stata rifiutata; la prima moglie di Adamo non viene tuttavia designata con il nome di Lilith, ma come la “prima Eva”, e solo in età posteriore costei venne identificata con sicurezza con Lilith. Nel “Midrash” non si sa che cosa che sia stato della prima moglie, o prima Eva; si narra soltanto che Adamo non l’avrebbe gradita poiché gli apparve sporca di fango e di sangue e per tanto ben poco attraente. Allora per creare la seconda donna Dio fece cadere Adamo in un sonno profondo e poi una volta che Eva fu tratta dalla costola di lui comandò che fosse agghindata e adorna con monili (il che mal si concilia con il fatto che dopo il peccato originale Adamo ed Eva si accorsero di essere nudi, poiché sembra piuttosto improbabile che Eva avesse degli ornamenti, ma fosse priva di vesti), indi fu condotta ad Adamo dagli arcangeli Michele e Gabriele(4). La seconda menzione, questa volta esplicita, si trova nel commento al capitolo XIV del libro biblico di Numeri: Mosè per placare il malcontento degli Israeliti, -cha a sua volta aveva suscitato la collera di Jawhe’-, i quali dopo le lunghe peregrinazioni nel deserto disperavano di giungere alla terra promessa, dice loro che il dio che stanno seguendo non è come Lilith che uccide e divora i suoi stessi figli.

In alcuni testi cabalistici si afferma che Lilith sarebbe stata creata nel quinto giorno della creazione insieme agli animali, mentre in diverse versioni si dice che fu plasmata poco prima di Adamo. Secondo altre varianti l’anima di Lilith giaceva nel Grande Abisso (le Acque primordiali sopra le quali planava lo spirito di Dio)  quando Dio la chiamò si unì al corpo di Adamo; tuttavia altre mille anime provenienti dal lato sinistro dell’Abisso (e dunque malvage) tentarono anch’esse di entrare nel corpo del primo uomo, ma Dio le scacciò. Adamo fu lasciato riverso al suolo come un corpo inerte; poi discese una nuvola luminosa e Dio comandò alla Madre terra di produrre un’anima vivente: fu così che il protoantropo cominciò a respirare, mentre la sua controparte femminile era congiunta al suo fianco destro, donde poi Dio la separò per darle una vita indipendente. In una versione ancora diversa Lilith emerse spontaneamente dal Grande Abisso, ed incarna l’aspetto inferiore del quinto dei “sefirà” dell'”albero sefirotico”, “Geburah”, la “Giustizia”.

Ma è soprattutto nell'”Alfabeto di Ben-Sira”, -opera attribuita al rabbino Yeshua ben Sira, vissuto nel II secolo, che si ritiene invero pseudo-epigrafa e risalente in realtà al X secolo, ma che riprende comunque tradizioni assai più antiche-, che troviamo la narrazione più ampia e completa dalla storia di Lilith: secondo questo testo dopo aver creato Adamo Dio volle dargli una compagna e pertanto plasmò con la terra un figura umana femminile alla quale infuse la vita, così come aveva fatto con il primo uomo. Dio chiamò questa creatura Lilith e la presentò ad Adamo ma subito i due cominciarono a litigare poiché l’uomo pretendeva di essere superiore, mentre la Lilith sosteneva che, essendo stati entrambi creati dalla terra, essi  avevano pari dignità. Alla fine Lilith esasperata, dopo aver lanciato un urlo stizzito pronunciando il santo nome di Dio (cosa assolutamente esecrabile al di fuori di precisi rituali), si allontanò in volo dall’Eden, -poiché sarebbe stata all’uopo dotata di ali di pipistrello da Dio stesso-, e si stabilì sulle rive del mar Rosso, -o per altri del mar Morto, comunque in un luogo desertico e desolato-, dove si unì ad alcuni demoni, tra i quali si ricordano  in particolare Samael e Asmodeo, i quali furono considerati i suoi compagni abituali e preferiti; anzi o Asmodeo -nello pseudo-Ben Sira-, o Samael, -in altre fonti cabalistiche-, furono considerati i suoi nuovi mariti)(5). Nella sua nuova condizione procreò pure un cospicuo numero di altri demoni, maschi e femmine, i “Lillim” (stando ad alcune versioni ne partoriva anche cento al giorno), i quali avevano la medesima natura che diverrà peculiare della loro madre, ovvero di suscitatori di libidine e di passioni autodistruttive, e di rapitori di bambini. Tuttavia nel Talmud babilonese, -la grande opera di sistemazione dottrinale del giudaismo che prese forma definitiva a Babilonia nel VII sec., ma frutto di una elaborazione teologica durata per alcuni secoli, costituita da un insieme di 63 trattati-, si sostiene (“Erubin”, 18,b) che prima della creazione di Eva Adamo si sarebbe congiunto carnalmente molte volte con la sua prima moglie, e che dopo il peccato originale e la conseguente cacciata dall’Eden egli per 130 anni non si sarebbe unito alla nuova compagna Eva, -informazione confermata anche nel Sefer ha-Zohar-.

La lotta di Giacobbe contro l’angelo, narrata nel cap. XXXII della Genesi. Quest’ultimo è stato talvolta identificato con Samael.

Adamo tuttavia rammaricato per la durezza manifestata verso Lilith implorò Dio di ricondurgli quella che considerava ancora la sua sposa. A tal fine Dio chiamò tre angeli, i cui nomi erano Senoy, Sansenoy e Sèmangelof, e li inviò alla ribelle con l’incarico di indurla a tornare da Adamo. Essi la minacciarono di morte se non fosse tornata nell’Eden; ma ella rispose che non avrebbe potuto essere di nuovo la consorte di Adamo, essendosi unita ai demoni, e che non avrebbero potuto ucciderla dal momento che era immortale (non avendo gustato il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male). Dichiarò altresì che avrebbe causato malattie e disgrazie ai neonati per gli otto giorni seguenti alla loro nascita se maschi e per venti giorni se femmine (6). Lilith promise però che non avrebbe molestato i discendenti di Adamo se questi avessero invocato la protezione dei tre angeli: dalla sua promessa sarebbe nata la tradizione giudaica di mettere al collo degli infanti una medaglietta con incisi i nomi di quegli angeli che essi dovevano tenere per tutto il periodo di tempo precedente la circoncisione (7). Ma secondo un’altra versione Dio le fece sapere che se non avesse accettato di tornare da Adamo ogni dì cento dei suoi figli sarebbero morti o le sarebbero stati sottratti da Dio stesso o da altri angeli: per questa ragione, -in analogia con il mito di Lamia nel mondo classico, figura che esamineremo più oltre, alla quale i figli venivano tolti da Era-, Lilith cominciò a odiare i figli delle altre donne e a rapirli sia per vendetta dell’ingiusto trattamento che aveva ricevuto, sia perché mirava a sostituirli alla sua propria progenie che aveva perduto.

In un altro testo mistico medioevale, il “Trattato dell’Emanazione Sinistra”, scritto nel XIII secolo da Isaac ben Jacob ha-Cohen, si legge che Samael e Lilith sono le due parti di un essere androgino emanato come una sorta di ombra dal “Trono di Gloria”, essere uguale e contrario al regno di Adamo ed Eva, i quali sarebbero a loro volta i membri di una creatura ermafrodita (un po’ come il “Rebis” ermetico). Le due coppie si possono considerare i due aspetti complementari di una entità divina intermedia (8). Ma secondo diverse tradizioni cabalistiche Lilith appare come la prima delle quattro consorti di Samael: le altre tre sono Naamah, Eishet e Agrat bat Mahalat, ciascuna delle quali è madre di una numerosa progenie di demoni.

Amuleto medioevale di protezione contro Lilith.

Onde evitare che i figli della coppia demoniaca Samael-Lilith, i Lillim, riempissero il mondo provocando gravi danni, Dio decise di evirare Samael; non potendo più congiungersi con lui, da allora Lilith cercò di saziare la sua libidine con uomini mortali che sorprende durante il sonno o in stato di dormiveglia. Ma Lilith talora viene associata anche con il Leviatano, il dragone demoniaco citato in alcuni dei libri biblici (come in Isaia, XXVII, 1, i salmi 74 e 104), il quale a volte appare come sua cavalcatura che la conduce al connubio con Samael, a volte invece viene addirittura identificato con quest’ultimo, mentre Lilith stessa assume le valenze di un serpente, tanto da essere definita serpente tortuoso (spiralato), mentre Leviatan-Samael è il “serpente guizzante” (9). La stretta relazione tra Lilith e Leviatano è del tutto coerente poiché entrambi sono creature tenebrose uscite dalla cupe acque primordiali sopra le quali aleggiava lo spirito di Dio prima della creazione del mondo, e che non è poi tanto diverso né dalla Tiamat babilonese, né dal mondo oscuro inferiore delle concezioni dei Manichei e dei Mandei che abbiamo visto in precedenti trattazioni.

Nei testi biblici canonici il nome di Lilith si incontra una sola volta, in un passo di Isaia, (XXXIV, 14), “là Lilith stabilirà la sua dimora e troverà il suo ricovero”, dove si parla della caduta del regno di Edom, nel quale è accomunato a vari animali considerati “impuri” dalle tradizioni giudaiche (iene, sciacalli, ecc.), di cui si afferma che troveranno rifugio tra le rovine delle città idumee e in particolare della capitale Sela. Nelle traduzioni “cattoliche” della Bibbia tuttavia il sostantivo “Lilith” è tradotto con “civetta”, -o “civette”-; ma l’ipotesi che si tratti invece del demone femminile, sebbene incarnato nell’uccello notturno, è avvalorata dal fatto che nel verso precedente vengono citati i “Se’irim”, nome che in ebraico designa una categoria di demoni pelosi, -identificabili quindi con elementali o spiriti della natura selvaggia-, e che pure nelle versioni cattoliche è reso di solito con “Satiri” (per la loro evidente somiglianza con gli spiriti maschili dei boschi della mitologia classica), poiché nemmeno gli esegeti cattolici più ortodossi sono riusciti a identificarli con qualche animale noto delle selve o dei deserti. Nella versione greca dei LXX il termine “Se’rim” viene reso con “onocentauri” (centauri asinini)(10), e “Lilith” con Lamia, -figura della mitologia greca che presenta notevoli affinità con il demone semitico, e dalla quale forse derivò, sulla quale torneremo in seguito-; e così pure nella Vulgata di S. Gerolamo il passo in questione è così tradotto: “Et occurrent daemonia onocentauris et pilosus clamabit alter ad alterum; ibi cubabit lamia et inveniet sibi requiem”.

Dobbiamo peraltro peraltro osservare che pure nell’area mesopotamica la figura di Lilitu aveva subito un processo di moltiplicazione, seguendo una linea di tendenza comune alle tradizioni mitiche di molte religioni, per cui da una divinità minore o da un demone ben individualizzato si sviluppa una intera categoria di spiriti, di solito progenie di quello principale, che ne ampliano sia la portata simbolica sia la presenza nel mondo naturale e umano (ad es. i  Centauri, i Tritoni, i Satiri, le Kere nella mitologia greca, le Lase in quella etrusca, le Walchirie per i Germani, gli Yaksa e le Yaksini per gli Indù, ecc.). In alcune tradizioni islamiche i figli e figlie di Lilith sarebbero stati i Ginn, spiriti della natura, che dimorano abitualmente in luoghi isolati, abbandonati e tenebrosi, ma che possono manifestarsi in vario modo agli uomini, in forme umane o animali, qualche volta buoni, -ma in questo caso perché “convertitisi” alla sottomissione ad Allah-, ma più spesso ambivalenti o decisamente malefici; questa tradizione tuttavia è in contrasto con la versione ortodossa espressa nel Corano, ove si afferma (sura LV, 15) che erano stati creati da Allah, senza intervento femminile, mille anni prima di Adamo.

In epoca tarda, -dal IV secolo in poi-, troviamo menzionata in amuleti e formule di scongiuro anche una versione maschile di Lilith, Lili; è difficile stabilire se si tratti del Lilu compagno di Lilitu nelle credenze mesopotamiche, o un’incarnazione di Samael o di Asmodeo, -marito di Lilith nelle leggende ebraiche-: come quest’ultima aveva la capacità di assumere le sembianze della moglie di un uomo, giacendo nottetempo con costui, rimanendone talora pregna; così Lili si trasformava nel marito delle donne che voleva concupire, e le poteva ingravidare. Entrambi i demoni poi tendevano a perseguitare i figli autentici della coppia che avevano preso di mira, arrivando perfino a ucciderli.

Per scongiurare le insidie di costoro si ricorreva, oltre che a preghiere ed esorcismi, ad amuleti di vario genere, tra i quali ricordiamo perché particolarmente significative delle scodelle di ceramica al centro delle quali era raffigurata Lilith, -o Lili-; intorno all’immagine centrale erano inscritti in forma di spirale che partendo dal fondo andavano verso il bordo dei versetti della Bibbia o del Talmud. Codeste ciotole venivano poi sotterrate sotto il pavimento o le mura della casa che si voleva proteggere dagli assalti dei demoni, o nelle immediate vicinanze. Questa pratica per stornare le insidie e i pericoli rappresentati da Lilith e dai suoi paredri e figli fu particolarmente diffusa in area mesopotamica e iranica tra il IV e il VII secolo.

CONTINUA NELL’OTTAVA PARTE

Note

1) questo personaggio è noto anche perché durante la rivolta dei Giudei nel 70 aveva consigliato la resa ai Romani che assediavano Gerusalemme, scontrandosi però contro l’ostinata opposizione degli Zeloti (su costoro si veda quanto abbiamo detto nella terza parte delle “Osservazioni sulla nascita del Cristianesimo” del 9 ottobre 2016). Pertanto egli fuggì segretamente dalla città: dopo essersi finto morto, si fece rinchiudere in una bara che fu trasportata al cospetto di Vespasiano; quivi giunto chiese e ottenne dal comandante romano che una volta sedata la rivolta la scuola rabbinica fosse risparmiata, così che dopo la conquista della città egli e i suoi discepoli poterono riprendere il loro insegnamento. In quella circostanza Yochanan predisse anche a Vespasiano che sarebbe presto divenuto imperatore, guadagnandosi così la stima di lui. Dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme, sostenne che i sacrifici animali cruenti che vi si celebravano avrebbero dovuto essere sostituiti con preghiere e opere di carità.

2) l’attribuzione di un significato luttuoso e funereo ai Gufi e alla Civette è propria del mondo latino e italico, nel quale questi uccelli furono associati ai Lemuri, alle Larve e alle streghe, dei quali potevano anche essere incarnazioni temporanee. Questa associazione si ebbe anche a livello lessicale, poiché il sostantivo “strix, -gis” indicava sia l’uccello notturno, sia un tipo di strega che poteva incarnarsi in esso. Da tale termine deriva pure quello degli Strigiformi, l”ordine di Uccelli nel quale sono classificati Gufi, Civette, Allocchi e gli altri rapaci notturni. Al contrario in Grecia la civetta (Atene noctua) era l’animale sacro alla dea Atena, la quale era la somma incarnazione dell’ordine razionale; tuttavia anche la figura di Atena aveva in sé una non trascurabile componente di “numinosità tremenda”, che probabilmente era assai più forte nella sua forma più arcaica, legata alle dee guerriere del nord, come le Walchirie, componente che andò poi scemando, ma che nell’età classica è testimoniata, oltre che dalla testa di medusa collocata al centro della sua corazza, l'”egida”, da alcuni miti quello di Aracne, la quale per aver osato sfidarla venne trasformata in ragno.

3) si ricordi il cane tricefalo Cerbero, il guardiano dell’Ade nella mitologia classica, così come Managarmr, il suo “collega” canino, ugualmente assegnato agli Inferi, della mitologia germanica; Anubi, il dio sciacallo egiziano che presiede all’imbalsamazione dei defunti, ecc.

4) in effetti che nella redazione originaria fosse narrata la creazione di una prima donna separatamente da Adamo è confermato dallo stesso testo canonico della Genesi, in cui (cap. II, 23) Adamo, dopo che gli è stata sottratta una costola per farne Eva, -che essendo parte di lui non può non essergli sottomessa-, esclama compiaciuto: “QUESTA VOLTA essa è carne della mia carne e osso delle mie ossa!”: è evidente che non avrebbe potuto dire così se non fosse esistita un’altra sua compagna. Peraltro in precedenza (I, 27) si asserisce che Elhoim creò (o crearono? dato che com’è noto “Elhoim” è un sostantivo plurale, pur se il verbo usato in forma singolare) l’uomo a sua immagine, e che “maschio e femmina li (lo?) creò”. Si nota quindi una macroscopica discrepanza (una delle molte che riscontransi nella Bibbia) tra il capitolo I e il capitolo II, che dimostra come siano state maldestramente ricucite due diverse redazioni: infatti la creazione dell’uomo è riportata due volte, sebbene in modo assai stringato e confuso: nella prima si afferma che sono stati creati due esseri umani distinti, un maschio e una femmina (peraltro si potrebbe intendere tale passo anche come la creazione di un protoantropo ermafrodito), dopo che erano stati creati gli altri animali; mentre nella seconda Elhoim crea gli animali dopo Adamo affinché essi gli siano utili (in modo simile a quanto sostenevano gli Stoici) e infine trae dalla costola dell’uomo la donna.

5) Samael, il cui nome può essere interpretato come “castigo” o “giustizia” di Dio, ma, pure come “veleno di Dio”, considerato nella prevalente tradizione cabalistica spirito planetario di Marte, è un tipico esempio dell’ambivalenza della nozione di angelo presso il giudaismo specie quello tardo post-esilico, poiché appare da un lato come servitore di Dio, sia pure per esercitare compiti in cui si manifesta il “tremendum” divino, -come dice il suo nome-, ovvero di accusatore e punitore dei reprobi; nel medesimo tempo però in diversi testi apocrifi, soprattutto nel “Libro di Enoch”, è annoverato tra gli angeli ribelli all’autorità di Dio. Quanto ad Asmodeo di lui e della sua origine persiano-babilonese abbiamo già parlato nella terza parte della presente trattazione (del 17 luglio 2016).

6) in effetti la minaccia di Lilith appare un’evidente incoerenza dal momento che ancora non esistevano neonati né donne che li potessero procreare. Tuttavia si può ipotizzare che sapesse che sarebbe stata sostituita da un’altra donna, -per la quale pur se non viene detto espressamente prova un evidente gelosia e rancore- da cui avrebbe avuto inizio la stirpe umana.

7) l’usanza di proteggere i bambini dagli attacchi dei demoni e del malocchio, ai quali nell’età infantile sono assai vulnerabili, con amuleto in forma di medaglia appeso al collo si ritrova in molte civiltà: basti pensare alla “bulla” dei bambini dell’antica Roma.

8) queste due coppie richiamano senza dubbio quelle analoghe che compaiono nell’antropogenesi dei Mandei, dei quali abbiamo trattato nell’ambito della lunga ricerca sulla sopravvivenza dell’anima (si veda in particolare la XVI parte del 15 luglio 2019): Adam Pagra e Hawwa Pagra, Adamo ed Eva terrestri, equivalenti alla coppia Samael e Lilith; e Adam Kasya e Hawwa Kasya, Adamo e Eva celesti, coppie che si ritrovano entrambe negli appartenenti al genere umano.

9) il nome “Leviatano” (“Liwyathan”), connesso alla radice trilittera “lwh”, che indica l’essere tortuoso o attorcigliato designava presso gli Ebrei in primo luogo un essere mitico che è senza dubbio da identificare con il drago a sette teste citato nelle tavolette di epoca protocananea che espongono “ciclo epico di Baal”, venute alla luce negli scavi di Ugarit. In questo testo il terribile essere, che qui ha il nome di Lithan, o Lotan, è alleato del dio del mare Yam, che combatte contro Baal-Hadad. In alcuni passi biblici però, come in Giobbe, LX, 25, si capisce che il “leviathan” è passato ad indicare il coccodrillo, poiché si fa un’accurata descrizione di questo animale, sebbene se ne esagerino alquanto le caratteristiche di grandezza e di ferocia. Codesto serpente o dragone è “parente”, sia nell’aspetto, sia nel simbolismo legato alle acque primordiali, di altri celebri draghi presenti nelle mitologie di tutto il mondo,  come la babilonese Tiamat o il germanico Jormungand.

10) degli onocentauri si hanno scarse testimonianze letterarie e iconografiche nell’ambito greco-romano. Una descrizione esauriente di questo strano essere è data da Claudio Eliano (De Natura Animalium, XVII; 9), il quale afferma di rifarsi a Pitagora. Secondo Eliano fino al busto gli onocentauri hanno aspetto umano femminile, che si innesta sulla parte posteriore di un asino grigio, così che a differenza degli ippocentauri, i centauri veri e propri, non hanno quattro zampe ma solo due; differiscono peraltro anche dai sileni, i quali, a somiglianza dei satiri, avevano solo le zampe equine. Essendo citati nella Vulgata di S. Gerolamo, di essi si trattò ampiamente nei “bestiarii” medioevali.

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