SPECIE IN PERICOLO (seconda parte)

CICLOSTOMI E PESCI D’ACQUA DOLCE

La storia naturale dei Ciclostomi e dei Pesci d’acqua dolce italiani per molti secoli si è sviluppata di pari passo con l’andamento delle popolazioni umane, fino al periodo dei grandi cambiamenti avvenuti tra la fine dell’800 e l’inizio del 900, quando le sistematiche trasformazioni ingenerate dalla rivoluzione industriale incisero in profondità e talora sconvolsero la distribuzione delle specie ittiche nel nostro paese. Ai giorni nostri coloro che hanno a cuore le sorti della Natura e del mondo animale e vegetale devono  affrontare una situazione critica, con un quadro quanto mai alterato degli equilibri naturali e un generale impoverimento di quasi tutti i corsi d’acqua, sia per numero di specie presenti, sia per quanto concerne la struttura e la consistenza delle popolazioni ittiche.

Tra i Ciclostomi (le Lamprede) e i Pesci d’acqua dolce sono state censite 52 specie autoctone delle acque interne, delle quali 6 sono state classificate DD, 16 LC, 3 NT, 8 VV, 6 EN, 11 CR e 2 RE.

L'Anguilla, specie un tempo abbondante e ora in pericolo,
L’Anguilla, specie un tempo abbondante e ora in pericolo,

Tra i diversi gruppi sistematici si segnala la situazione, che ormai si può definire disperata, delle 3 specie di Acipenseridi anàdromi (cioè che dal mare, dove vivono in età adulta, risalgono i fiumi per deporre le uova), alla quale abbiamo già accennato in precedenza; di esse, due, il grande Storione Ladano (Huso huso) e lo Storione comune (Acipenser sturio), sono ormai estinti da circa 30 anni, mentre lo Storione Còbice (Acipenser Naccarii) è stimato in pericolo critico -ma purtroppo con scarsissime possibilità di sopravvivenza, a meno che non vengano presi provvedimenti drastici, che ben difficilmente saranno adottati in tempo utile-.

La causa principale di questa sconfortante situazione è da ricercare nell’interruzione della continuità del corso dei fiumi operata dall’uomo, che ha reso impossibile per gli Storioni raggiungere le loro principali sedi riproduttive; ma pure la pesca eccessiva è stata senza dubbio determinante nel provocare l’estinzione di questi bellissimi e grandi pesci che in un tempo non troppo remoto erano il vanto dei fiumi italiani ed in specie del Po: essi infatti impiegano un lungo tempo per diventare adulti e pertanto erano facilmente soggetti al rischio di essere catturati prima di aver raggiunto l’età riproduttiva.

Altre dieci specie, per lo più endemiche, si trovano in stato di pericolo critico e tra queste l’intero gruppo dei Salmonidi di acque correnti, minacciati soprattutto dall’imponente depauperamento delle risorse idriche e dai frequenti ed estesi ripopolamenti con Salmonidi di provenienza atlantica, a cui si ricorre con sconsiderata superficialità proprio per sopperire alla diminuzione di quelli autoctoni, creando così un circolo vizioso che rischia di portare all’estinzione questi ultimi.

Notiamo non senza qualche stupore che tra le specie in pericolo critico compaiono anche l’Anguilla comune (Anguilla anguilla), la Lampreda (Lampetra fluviatilis) e la Lampreda marina (Petromyzon marinus); un altro Pesce anadromo un tempo assai comune specie nei fiumi della pianura padana nella tarda primavera, e che ora, pur non essendo a rischio di prossima estinzione, appare in preoccupante diminuzione è la Cheppia (Alosa fallax): la fortissima rarefazione anche di queste specie è un sintomo quanto mai eloquente della gravità della situazione delle acque interne italiane, specialmente di quelle dell’Italia settentrionale, che un tempo erano le più ricche sia di specie, sia di esemplari (tanto che fino agli anni 50 in quelle zone era esercitata la pesca professionale nelle acque dolci).

La Cheppia (Alosa fallax), pesce anadromo in preoccupante diminuzione.
La Cheppia (Alosa fallax), pesce anadromo in preoccupante diminuzione.

A prescindere dalle diverse categorie di rischio, l’andamento generale di tutte le specie di acqua dolce -che riguarda non solo i Pesci, ma anche vari gruppi di Invertebrati, in primis i Crostacei (il Gambero di fiume -Austropotamobius pallipes-, specie abbondante fino a pochi anni fa risulta ormai pressoché estinto) appare caratterizzato da un costante -e purtroppo finora inarrestabile- decremento.

La cause del quadro negativo che risulta da questa indagine, che d’altra parte conferma ed accentua la tendenza in atto da parecchi decenni, sono molteplici, ma in modo diretto o indiretto derivano tutte da pochi aspetto fondamentali, -che a loro volta si potrebbero riassumere nell’impatto della presenza  e delle attività umane sulla vita naturale (o per meglio dire, su quel che ne resta): l’estesa e sistematica urbanizzazione del territorio, che nel nostro paese lascia spazi sempre più esigui alla Natura, le modifiche apportate dagli interventi umani ai corsi d’acqua, e in particolare le opere di canalizzazione e cementificazione, che hanno snaturato, spesso in modo irrimediabile, il regime dei fiumi; il cospicuo depauperamento delle risorse idriche, sottratte alla loro destinazione naturale per l’utilizzo agricolo e industriale su larga scala. A queste che sono le minacce principali vanno ad aggiungersi quelle indotte da cause biologico-ambientali, come inquinamento, mutamenti climatici e introduzione di specie alloctone, che non di rado hanno soppiantato del tutto quelle originarie, ma che in realtà sono a loro volta conseguenza dell’intensa “antropizzazione” e del degrado del territorio.

Rilevante nella situazione critica delle acque interne italiane è pure il problema, al quale abbiamo già accennato,rappresentato dalle specie alloctone introdotte spesso in maniera del tutto incontrollata: ne sono state censite ben 42, ma tale numero è probabilmente inferiore a quello effettivo, dato il costante arrivo di nuove specie provenienti dai luoghi più lontani e disparati e che mostrano in genere di adattarsi e di allignare con notevole facilità nei nuovi ambienti (tanto che esse, al contrario delle specie autoctone, godono in genere di buona salute).

Il Persico Sole, Pesce importato in Italia nel 1900.
Il Persico Sole, Pesce importato in Italia nel 1900.

E’ peraltro da rilevare che, stando a rilevazioni non ufficiali, alcune delle specie introdotte ormai da più di un secolo, -e che quindi possono essere considerate acclimatate-, quali il Persico Sole (Lepomis -Eupomotis- gibbosus), importato degli USA in Europa per la prima volta nelle acque italiane nel 1900, -precisamente nel lago di Varano in Puglia- (1); e il Pesce gatto (Ameiurus melas e Ameiurus nebolosus), giunto, sempre dell’America settentrionale ai primi del 900, sarebbero anch’esse in declino; quanto al famoso Siluro (Silurus glanis), di recente introduzione nelle acque dolci italiane, sebbene possa apparire strano, sembra che nelle aree di originaria distribuzione, l’Europa orientale ed Asia Centro-settentrionale, sia a sua volta in fase di contrazione

L’unica, esile speranza per invertire almeno in parte la tendenza gravemente negativa, che induce a temere un futuro alquanto buio, è posta nelle direttive europee sulla salvaguardia delle risorse idriche e la qualità degli ambienti acquatici, in prmis la “Direttiva Quadro sulle Acque” (2000/60/CE). Ma è indubbio che perché si possa realizzare un vera inversione di tendenza e un reale miglioramento delle condizioni di vita dei Pesci e degli altri Animali acquatici sarebbe indispensabile un aumento della sensibilità delle popolazione umana ai temi della conservazione degli ambienti naturali  e un profondo cambiamento nella mentalità e nel modo di guardare alla Natura e agli animali.

ANFIBI E RETTILI

David Wake, allora direttore del “Museum of Vertebrate Zoology” di Berkeley, durante il primo congresso mondiale di erpetologia di Canterbury diede al mondo il triste annuncio che numerose specie di Anfibi, in varie aree dl nostro pianeta stavano subendo un drammatico declino per cause ancora sconosciute. Dopo quasi 25 anni la finora inarrestabile tendenza dell’intera classe degli Anfibi a una drastica diminuzione è un fenomeno ormai ufficialmente riconosciuto in tutti gli ambiti scientifici ed accademici. Esso è stato osservato su scala planetaria, tanto che circa un terzo delle specie note è considerato a rischio di prossima estinzione per effetto delle alterazioni ambientali, dei cambiamenti climatici, dell’introduzione in parecchi luoghi della Terra di specie alloctone e dall’incidenza sempre più notevole ed allarmante di malattie vecchie e nuove, -fenomeno questo che è in gran parte conseguenza dei fattori indicati in precedenza-, che compromettono gravemente la sopravvivenza degli Anfibi.

Anche per molte specie di Rettili negli ultimi decenni si è profilato un analogo declino; esso è stato riconosciuto più di recente, ma sembra manifestarsi in forme affatto simili a quello degli Anfibi, sia per il numero di specie coinvolte e per l’ampiezza geografica delle aree interessate, sia per la gravità inaudita con la quale il fenomeno si è mostrato.

L’Italia con 44 specie di Anfibi e 56 di Rettili è senza dubbio il paese europeo con la massima diversità erpetologica. Questa ricchezza di specie si spiega con la peculiare posizione geografica del nostro paese e con il fatto che durante le ere glaciali la nostra penisola costituì un’importante oasi di rifugio per parecchie specie. L’isolamento avvenuto nei periodi freddi è anche il fattore principale che ha consentito la sopravvivenza di un cospicuo numero di specie endemiche in Italia (14 di Anfibi e 5 di Rettili).

Le cause della rarefazione e del declino dell’erpetofauna italiana non sempre sono state accertate con sicurezza, ma in sostanza sono da considerare le medesime che hanno agito e agiscono tuttora a livello globale in tutto il pianeta, soprattutto nelle zone più densamente colonizzate e trasformate dalla presenza umana: degrado e scomparsa irreversibile degli habitat, arrivo di predatori e competitori esotici, gravi patologie che mietono numerose vittime tra le popolazioni di Anfibi e di Rettili.

L’entità del declino di queste due classi di Vertebrati il più delle volte è stata dedotta non da una valutazione complessiva, ma dall’analisi di alcune situazioni locali proiettata su scala nazionale. Infatti per la maggior parte delle specie non è stato possibile avere dati riguardanti l’intera popolazione, anche a causa della scarsità delle risorse economiche disponibili per compiere osservazioni accurate e complete.

Tra i Rettili italiani la specie più rara e minacciata, in pericolo critico di estinzione, sembra essere la Podarcis Raffoneae, una Lucertola endemica delle isole Eolie, che sopravvive unicamente in 4 località separate tra di loro, di cui 3 non sono che scogli, nelle quali non si è insediata la sua competitrice, la Lucertola campestre, che l’ha cacciata dalle altre isole dell’arcipelago sulle quali aveva dimora.

La Lucertola delle Eolie, animale in pericolo critico
La Lucertola delle Eolie, animale in pericolo critico

Data la ristrettissima superficie degli isolotti sui quali la Lucertola delle Eolie si trova, anche la minima alterazione ambientale potrebbe provocare la definitiva scomparsa delle esigue popolazioni relitte.

Le specie minacciate nella categoria EN comprendono 4 Anfibi e 5 Rettili, sottoposti a pericoli differenti; per gli Anfibi la causa principale della diminuzione è la scomparsa o l’alterazione delle zone umide, per essi di vitale importanza, perché indispensabili alla loro riproduzione, nonché l’immissione di Pesci e Crostacei, spesso molto voraci che si nutrono delle uova e dei girini; e al manifestarsi di una terribile malattia, la chitridiomicosi (2), che ha decimato le popolazioni di Anfibi e continua a produrre gravissimi danni. La bonifica e il degrado delle zone umide sono pure la causa della scomparsa delle testuggini palustri del genere Emys.

Anche per i Rettili terrestri la minaccia principale ala sopravvivenza è costituita dalla distruzione degli habitat naturali, tra le cui cause principali sono da annoverare pure i frequenti incendi che troppo spesso, specie nella stagione estiva devastano le poche aree incontaminate rimaste nel nostro paese.

Il Rospo comune (Bufo bufo) animale divenuto raro.
Il Rospo comune (Bufo bufo) animale divenuto raro.

Gli incendi infatti sconvolgono gli equilibri naturali in misura tale che occorrono poi tempi assai lunghi perché essi possano ricostituirsi. E infine la frammentazione degli habitat, che essendo sempre più esigui e discontinui non consentono più ai ettili, come pure a molti altri Animali, di poter compiere indisturbati tutte le funzioni proprie del loro ciclo vitale.

Le specie indicate come “vulnerabili” (VU) comprendono diversi gruppi ad areale italiano assai ridotto, considerate a rischio proprio per la loro ridottissima distribuzione sul suolo italico. Queste specie appaiono in genere soggette ad altri pericoli indotti dalla pressione antropica e sono particolarmente fragili per l’esiguo numero di individui che costituiscono le popolazioni italiane. Tra le specie incluse in tale categoria rientrano quasi tutti i Tritoni, la Salamandra di Lanza (Salamandra Lanzae), la Vipera dell’Orsini (Vipera Ursinii).

Assai significativa e preoccupante la presenza tra le specie vulnerabile del Rospo comune (Bufo bufo), un tempo animale frequente nelle nostre campagne: purtroppo infatti in numerose popolazioni del centro-nord si è osservata una diminuzione di oltre il 30% nell’arco dell’ultimo decennio.

UCCELLI

Gli Uccelli sono la classe di Vertebrati della quale si dispone del maggior numero di informazioni; questo è dovuto sia alla facilità del contato con essi, sia alla loro indubbia capacità di affascinare e appassionare molti di coloro, anche naturalisti dilettanti, che con curiosità si accostano al magico mondo della Natura.

Eppure, nonostante la mole e la ricchezza dei dati raccolti, molti dei processi che hanno determinato e influenzano tuttora lo stato di conservazione di alquante specie di pennuti risultano ancora poco chiari e privi di certa spiegazione.

Rispetto alla precedenti, l’attuale Lista Rossa degli Uccelli nidificanti in Italia è contraddistinta dall’accentuato declino di molte specie che erano considerate comuni. La percentuale di Passeriformi, – l’ordine che comprende buona parte delle specie più diffuse in Italia e nel mondo- classificati in pericolo di estinzione è passata del 21,7 % della precedente Lista Rossa al 31 % dell’attuale: Passero d’Italia (Passer Italiae), Cardellino (Carduelis carduelis) e Verdone (Chloris chloris) sono alcuni esempi di specie comuni che negli ultimi dieci anni hanno conosciuto un’allarmante diminuzione, prossima o superiore al 30%. La causa principale di tale fenomeno è senza dubbio la continua e inarrestabile degradazione degli habitat, ma purea altri fattori non ancora ben definiti hanno contribuito e tuttora concorrono a determinare questa drammatica situazione.

Il Passero d'Italia (a sinistra il maschio e a destra la femmina).
Il Passero d’Italia (a sinistra il maschio e a destra la femmina).

Si pensi che il Passer Italiae, la specie di Passero, più comune in Italia e caratteristica del nostro paese, dove in pratica sostituisce il Passer domesticus, proprio del resto d’Europa (e che in Italia è presente soltanto in alcune aree periferiche) dai circa 20 milioni di individui stimati nel 2001, ha praticamente dimezzato la sua entità numerica nel 2011, con una diminuzione del 47% in dieci anni! Basterebbe quest’unico dato per far comprendere quanto la situazione dell’Avifauna italiana (ma potremmo dire dalla Fauna intera) sia di grave emergenza e tale che se non verranno adottati adeguati provvedimenti e soprattutto se non si diffonderà tra il popolo una autentica sensibilità e una profonda consapevolezza del problema, rischia di trasormarsi in una vera catastrofe! Non migliore è lo stato nel quale versa la Rondine, la cui popolazione si è anch’essa alquanto ridotta, soprattutto per la carenza degli Insetti dei quali si ciba, carenza determinata soprattutto dalle trasformazioni avvenute nell’ambito agricolo, che hanno privato questo Uccello, pur così caro agli umani, di larga parte delle sue fonti di sostentamento.

In tutto, il 2% delle specie di Uccelli valutate è stato classificato in pericolo critico (CR), il 9% in pericolo (EN) e il 18% vulnerabile (VU). Quattro delle specie inserite nella categoria CR appartengono all’ordine dei Falconiformi -Avvoltoio degli Agnelli (Gypaetus barbatus), Capovaccaio (Neophron percnopterus), Grifone (Gyps fulvus) e Aquila del Bonelli (Nisaetus fasciatus)-, le restanti due a quella dei Passeriformi -Forapaglie comune (Acrocephalus schoenobaenus) e Bigia padovana (Sylvia nisoria)-.

Non suscita meraviglia che tutte e tre le specie di Avvoltoi presenti in Italia siano in pericolo critico: infatti, essendo specie necrofaghe, per secoli la loro sopravvivenza è dipesa dal bestiame che, soprattutto nel centro-sud veniva allevato allo stato brado, e che quindi, quando gli animali decedevano per cause naturali nelle campagne offriva a questi Uccelli una fonte di sostentamento. Ma le trasformazioni della pastorizia verificatesi nel corso del 900 e la quasi totale scomparsa dei capi di Bovini e Ovini allevati allo stato brado, unitamente alle norme di polizia veterinaria che impongono la rimozione di eventuali carcasse hanno determinato una forte riduzione delle risorse trofiche disponibili per gli Uccelli necrofaghi, che si sono così visti privare della maggior parte delle loro riserve di nutrimento. A questa grave problema si è aggiunta anche la persecuzione diretta alla quale l’ignoranza e la stolta crudeltà dell’uomo li ha sottoposti.

Per tutte e tre le specie di Avvoltoi sono stati studiati progetti di reintroduzione, che però hanno ben poche possibilità di successo fino a che persisteranno le cause che li hanno portati sull’orlo dell’estinzione.

Il Capovaccaio, Uccello quasi estinto in Italia.
Il Capovaccaio (Neophron percnopterus), Uccello quasi estinto in Italia.

La piccola popolazione reintrodotta di Avvoltoio degli Agnelli sembra sostenersi in maniera naturale grazie alla presenza di ungulati selvatici ed appare in lieve aumento sebbene minacciata dal saturnismo (intossicazione da piombo). Il Grifone, il cui numero di esemplari è diminuito del 96,9% dal 1930 al 2005, sembra ancora dipendere in gran parte dalla presenza di carnai. Nel territorio italiano questo grosso Uccello (forse il più grande dall’avifauna italiana) si era estinto ovunque tranne che in Sardegna. In anni recenti è stato reintrodotto nel Parco dei Nebrodi in Sicilia, e poi pure in Abruzzo e in Friuli; ma certamente queste piccole popolazioni sono assai vulnerabili, tanto più che anche negli altri paesi circum-mediterranei dove la specie è ancora presente la sua consistenza numerica, per quanto meno esigua che in Italia, non può certo dirsi tale da assicurarne la sopravvivenza. Quanto al Capovaccaio, che con i suoi voli maestosi conferiva una nota inconfondibile al paesaggio dell’Agro romano, la sua popolazione è in continuo decremento, -tanto che la specie è passata da 71 coppie segnalate nel 1970 alle 7-8 del 2007 (una diminuzione dell’89% in 37 anni!!)- e non si sono ancora avute nascite da individui rilasciati dai Centri di recupero e assistenza.

Come si è detto in precedenza le specie in pericolo di estinzione, e pure quelle che, pur non correndo a breve termine questo rischio, sono comunque in preoccupante discesa, sono minacciate soprattutto dalla distruzione o alterazione dei loro habitat naturali e dai profondi mutamenti avvenuti nell’esercizio e nell’agricoltura. Queste ultime, essendo spesso esercitate con metodi industriali, non consentono più il mantenimento e lo sviluppo di una flora e di una fauna spontanee, che l’agricoltura tradizionale non solo tollerava, ma alla quale offriva riparo e nutrimento (i letamai e le stalle “all’antica” sfornavano una quantità di insetti che erano una manna per gli Uccelli insettivori; le siepi, i fossi, i filari di viti o altri alberi che delimitavano i campi, i boschetti che rompevano l’asfissiante monotonia propria del paesaggio agricolo moderno, ospitavano una Flora e una Fauna ricca di specie e abbondante di esemplari, ecc.).

L'Allodola (Alauda arvensis), un tempo abbondante e ora in pericolo.
L’Allodola (Alauda arvensis), un tempo abbondante e ora in pericolo.

Non solo, ma gli animali selvatici davano a loro volta un importante, o addirittura indispensabile contributo all’agricoltura e alla pastorizia (basti pensare agli Insetti impollinatori la cui opera è indispensabile per lo sviluppo dei frutti, e ora sono distrutti da quella vera piaga che sono i diserbanti e i pesticidi usati in modo eccessivo e indiscriminato; all’opera di “spazzini”, -come abbiamo detto poc’anzi-, svolta dagli Avvoltoi e altri uccelli necrofaghi, ecc.). Particolarmente minacciate da queste trasformazioni negative degli ambienti agresti sono  soprattutto le specie che prediligono le aree aperte e steppiche, prati e zone incolte -quali la Monachella (Oenanthe hispanica), la Bigia grossa (Sylvia hortensis), l’Occhione (Oedicnemus oedicnemus) il Lanario (Falco biarmicus), il Biancone (Circaetus gallicus)-. Perfino l’Allodola (Alauda arvensis) che fino agli anni 70 era classificata come abbondante e allietava con il suo grazioso canto le distese campestri, è ora vulnerabile, come tutte le specie di Alaudidi, che essendo uccelli terricoli, che si posano e nidificano solo sul terreno, sono assai esposti alle insidie e ai pericoli sia del vandalismo umano sia della caccia, -oltre al fatto di essere privati in misura sempre maggiore del loro habitat- ed avrebbero quindi necessità di urgente protezione. Accanto alle devastazioni e ai pericoli più volte ricordati, e ai fenomeni negativi che agiscono su vasta o vastissima scala, quali i cambiamenti climatici che hanno pesanti effetti su moltissimi Uccelli, specie su quelli migratori, altri fattori deleteri sono rappresentati dalla caccia, sia legale sia illegale, e dalle persecuzioni dirette, che sono rivolte soprattutto contro i Rapaci (tanto che vengono prelevati dai nidi perfino i pulcini dell’Aquila del Bonelli, una delle specie in pericolo critico!!). E’ inammissibile che l’Italia abbia una legislazione ancora così permissiva in materia venatoria, e che in generale i crimini contro gli Animali, le Piante e la Natura in genere siano puniti -quando lo sono…- con pene assai lievi.

La Cicogna tornata in Italia dopo secoli di assenza.
La Cicogna tornata in Italia dopo secoli di assenza.

Una delle pochissime note positive in un quadro nel complesso alquanto desolante è la ricomparsa della Cicogna bianca (Ciconia ciconia) nel nostro paese dopo che, a causa delle persecuzioni che subiva, ne era rimasta assente per quasi tre secoli. Sembra che la prima nidificazione sul suolo italico dopo questo lungo periodo risalga al 1959 in Piemonte ma solo dagli anni successivi al 2000 la popolazione di Cicogne nella Penisola ha raggiunto una consistenza meno esigua (70 coppie nidificanti nel 2005). Questo Uccello rimane tuttavia in pericolo, date le molte minacce derivanti sia dalla distruzione di habitat sia dal bracconaggio sia dalle molte insidie (fili elettrici, inquinamento, ecc.) che ne aumentano in modo innaturale la mortalità.

CONTINUA NELLA TERZA PARTE

Note

1) sull’azione ecologica del Persico Sole ho trovato notizie discordanti: infatti mentre per alcuni egli sarebbe un vorace e dannoso divoratore di uova e avannotti di altri Pesci, per altri si nutrirebbe soltanto di sostanze vegetali e di piccoli Invertebrati (vermetti, larve di insetti, ecc.) e non rappresenterebbe quindi un fattore di particolare disturbo (ipotesi che sembrerebbe confermata dal fatto che, sebbene sia presente nei laghi e nei fiumi italiani da oltre 100 anni, non pare abbia provocato gravi danni fino a quando non sono intervenuti ben altri elementi di squilibrio). In generale si può affermare che, pur essendo certamente sbagliato introdurre specie alloctone in ambienti diversi da quelli loro propri, che rischiano di alterare e compromettere in modo più o meno grave gli ecosistemi in cui vengono immessi, non è parimenti giusto sopravvalutare gli effetti negativi della presenza di tali specie e farne un capro espiatorio di colpe che sono soltanto dell’uomo e che sono senza dubbio meno gravi di quelli causati dalla distruzione degli habitat, dall’inquinamento, da caccia e pesca, ecc.; senza contare il fatto che anche le immissioni di nuove specie sono sempre opera dell’uomo e dunque è quest’ultimo il responsabile dei danni che esse possono arrecare all’ambiente e alle altre specie.

2) la chitridiomicosi è una malattia causata da un fungo chitride, il “Batrachochytrium Dendrobatidis”, che attacca la pelle degli Anfibi, sia Anuri sia Urodeli, causando la decomposizione della cheratina in essa presente. Tale malattia è stata scoperta solo verso la fine del XX secolo; in Italia i primi casi di infezione furono diagnosticati nell’estate del 2001 su esemplari di Ululone appenninico (Bombina pachypus) raccolti nei pressi di Bologna. Sembra che questo morbo sia sorto in aree tropicali e importato nelle zone temperate forse tramite esemplari di Anfibi importati per essere detenuti in cattività; ma è ovvio che tutti gli altri squilibri, alterazioni e distruzioni dell’ambiente proprio degli Anfibi hanno a loro volta aggravato anche questo ulteriore elemento che è venuto ad aggiungersi a una situazione già assai critica.

 

 

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