MITI E MISTERI DI ATLANTIDE (terza parte)

Tra le ipotesi che collocano Atlantide nell’area del Mar Mediterraneo orientale è da segnalare anche quella secondo la quale la suggestiva isola sarebbe da identificare con Cipro. O, per meglio dire, stando a questa ipotesi l’isola che ora si staglia quasi al centro del Mar di Levante sarebbe la parte residua di un territorio alquanto più vasto che arrivava a toccare, saldandosi con esso, il litorale siro-palestinese.

Questa ipotesi, non priva di valide motivazioni, fu avanzata in particolare dall’architetto americano di origine iraniana Robert Behzad Sarmast, appassionato di archeologia, il quale, dopo aver studiato alcune mappe oceanografiche tridimensionali elaborate nel 1989 da un gruppo di ricercatori russi, nel novembre del 2004 organizzò una missione esplorativa dopo la quale sostenne di aver scoperto nel zona di mare tra Cipro e la costa della Siria le vestigia di Atlantide.Atlantis Egli affermò che le rilevazioni effettuate per mezzo del sonar avevano permesso di rivelare in un punto del fondale sito a 80 km a sud-est di Cipro e a 1500 m di profondità la presenza di costruzioni umane, tra le quali resti di mura, strade e fognature. Egli dichiarò anche di aver trovato non meno di 60 punti corrispondenti, a suo dire, con straordinaria precisione ai dati esposti da Platone nelle sue opere, ed in particolare di aver individuato su una altura sopraelevantesi dal fondale alcune strutture artificiali di forma rettangolare. La sommità della collina risulterebbe fortificata e circondata da una muraglia lunga tre chilometri e da profondi fossati.

“La corrispondenza tra le dimensioni e le coordinate fornite dal nostro sonar e le descrizioni di Platone sono così perfette che non si tratta di Atlantide, allora deve essere la  più grande coincidenza del mondo!”, ebbe a commentare il ricercatore nel corso di una conferenza stampa tenuta nel porto cipriota di Limassol.

Il ricercatore annunciò anche che per proseguire le investigazioni subacquee per portare alla luce dei significativi reperti archeologici e offrire così una concreta dimostrazione della effettiva realtà della sua scoperta sarebbe servito un finanziamento di almeno 250.000 dollari. Ma, a quanto è dato sapere, fino ad ora Sarmast, il quale tornò a Cipro nel giugno del 2011 per girare un documentario per “History Channel”, non è riuscito a trovare i fondi necessari per portare a compimento la sua ricerca archeologica.

Durante il Medio Evo il leggendario continente descritto da Platone, e di cui avevano parlato, o al quale avevano accennato diversi altri autori antichi, non suscitò un particolare interesse, sia perché nell’Occidente latino-germanico, -dove la lingua greca, a parte rare eccezioni, era caduta nell’oblio-, non si aveva più una conoscenza diretta delle opere di Platone, e degli scrittori ellenici che maggiore attenzione avevano dedicato al tema di Atlantide (quali il più volte menzionato Diodoro Siculo); sia, soprattutto, perché Aristotele, che, specie nel periodo dal XII al XIV secolo fu considerato, oltre al più grande filosofo, una indiscussa autorità nel campo delle scienze naturali, aveva liquidato la narrazione platonica come un semplice mito, un “exemplum” che voleva illustrare le concezioni politico-sociali del maestro e ammonire sull’abuso delle conoscenze scientifiche e delle abilità tecniche da parte dell’umanità (1).

Ma dopo che nel 1492 Cristoforo Colombo ebbe scoperto un nuovo continente (2), molti studiosi, tra i quali il celebre filosofo inglese Francis Bacon (che a una delle sue opere principali diede appunto il titolo di “La Nuova Atlantide”) ipotizzarono che fosse l’immensa isola decritta da Platone, tanto che nel secolo XVI e XVII geografi ed eruditi, -quali Guillaume Postel, John Dee, Robert de Vangoudy-, chiamarono le Americhe con il nome di Atlantide (3)

Questa ipotesi parve corroborata dalla scoperta di una antica leggenda degli indigeni del Messico, trascritta nel “Codice Aubin” (4), nella quale si citavano diverse popolazioni che avevano dovuto abbandonare l’isola di AZTLAN.

Aztlan era un’isola collocata nel mezzo dell’oceano Atlantico e le antiche tribù avevano dovuto allontanarsi da essa perché stava sprofondando nelle acque.

Si noti che in Messico questa storia non è relegata nel novero delle narrazioni fantastiche, ma viene insegnata nelle scuole; e nel Museo di Antropologia di Città del Messico sono esposti vetusti disegni che illustrano la migrazione.

Gli studi e le ricerche fiorite intorno a queste inaspettate scoperte cominciarono a far rilevare diverse analogie tra le civiltà dell’America Centrale e quella dell’Antico Egitto, come le costruzioni piramidali, l’imbalsamazione dei cadaveri, l’anno diviso in 365 giorni, varie leggende e affinità linguistiche: Atlantide avrebbe dunque potuto essere una sorta di ponte naturale tra due civiltà, esteso tra le attuali isole Azzorre e le Bahamas; o piuttosto avrebbe potuto essere la lontanissima fonte dalla quale entrambe derivarono, dopo una drammatica decadenza e una profonda trasformazione, imboccando poi strade diverse nel loro sviluppo.

Ma dal “Nuovo Mondo”, specie dagli inizi del XIX secolo in poi, cominciarono ad intensificarsi le testimonianze e le “rivelazioni”, più o meno fondate e attendibili, sui legami, se non l’identità, tra il continente di Atlantide e le Americhe.

Abbiamo visto che, secondo quanto afferma Platone, il nome di Atlantide deriva da quello di Atlante, primo sovrano di questa terra favolosa. Si osservi peraltro che per il filosofo questi non sarebbe il titano figlio di Giàpeto e di Climene, condannato dal Zeus a portare sulle sue spalle la volta celeste come punizione per essersi alleato a Kronos contro di lui, bensì un rampollo di Poseidone e di Clito (una fanciulla mortale, figlia di Evènore e di Leucippe, primi abitatori della porzione di superficie terrestre che egli aveva avuto in sorte da governare), il quale avrebbe ereditato dal padre la signoria su questo continente a lui assegnato quando il sommo nume aveva diviso le terre emerse tra gli dei.

Osserviamo che il nome Atlante (in greco Aτλας) è costituito da un alfa privativo α + τλας, -ντος, participio aoristo del verbo τληναι, che significa sopportare con sforzo, soffrire per la fatica, e quindi vorrebbe caratterizzare il personaggio come colui che non si è sentito abbattuto dal peso enorme che fu costretto a sostenere, e dunque si riferisce senza dubbio al compito assegnatogli come castigo.

Tuttavia l’Atlante della versione platonica non ha questa funzione e di fatto ha in comune con la figura omonima e ben più nota della mitologia greca (che compare ad esempio nel mito dell’XI fatica di Eracle, quando quest’ultimo si offrì di dargli momentaneamente il cambio nel sostenere la volta celeste) solo il fatto di dimorare nell’estremo occidente, all’incirca nell’attuale Marocco dove l’Atlante più conosciuto sarebbe stato trasformato in catena montuosa dallo sguardo pietrificante di Medusa, allorché Perseo giunse con il suo macabro trofeo in questa parte del mondo.

Si è supposto dunque che questa etimologia si sia sovrapposta ad un altro termine che deriverebbe dalla stessa lingua degli Atlantidi. Ad esempio, l’esploratore e scrittore italiano Enrico Alberto d’Albertis (1846-1932) asserisce nella sua opera “La Crociera del Corsaro”, pubblicata nel 1912, nella parte dove descrive le isole Azzorre e le isole Canarie, -le quali potrebbero essere residui del mitico continente-, che il nome Atlantide deriverebbe da un termine azteco, a sua volta composto di da due vocaboli. ATL = acqua e AN = presso, e quindi starebbe a significare “presso l’acqua” (o “nell’Acqua”).

Un altro scrittore, l’antropologo e archeologo Marcel Homet (1897-1982), afferma che la radice ATL- si troverebbe impiegata su entrambe le sponde dell’oceano Atlantico e in tutte le mitologie solari; sempre secondo Homet, nell’antica lingua colombiana ATl significherebbe “regno”, “impero” o altro termine analogo. Se si considera poi la parte finale del nome “Atlas”, -cioè la “-as”-, essa avrebbe, sempre a giudizio di questo studioso, il significato di “principio”, “fondamento”, e indicherebbe pertanto la “base” utilizzata per la fondazione del mondo umano di quell’epoca, il “mondo di Atlas”, possente, forte, indistruttibile. “Atlas” indicherebbe quindi un potente impero circondato dalle acque, simbolicamente rappresentato dall’omonimo titano che tiene il mondo sulle sue spalle: in tal modo Homet riesce (o almeno crede di essere riuscito) a conciliare e fondere la tradizione mitica ellenica sulla remota isola scomparsa e quella amerindia sull’impero che dominava sulle terre e le acque. Lo studioso pone inoltre in relazione con la radice “atl-” pure il nome dell’arcipelago delle Antille, le quali sarebbero anch’esse una reliquia dell’antico impero di Atlantide.

Il 21 settembre 1823 Joseph Smith, contadino quindicenne di Manchester, nella contea di Ontario, nello stato di New York, ebbe il primo incontro con un angelo di nome “Nephi” (ma lo Smith sostenne poi che il vero nome era “Moroni”), il quale gli promise straordinarie rivelazioni. Alcuni anni dopo, il 22 settembre 1827, l’angelo gli mostrò un misteriosa cavità ove giacevano alcune preziose tavole d’oro, scritte in una lingua sconosciuta, ma presumibilmente di origine semitica, che Joseph Smith illuminato dall’ispirazione divina, si mise a tradurre con appassionata diligenza.atlantis continent

Terminato questo arduo lavoro, egli nel 1830 pubblicò la sua traduzione, con il nome di “Libro di Mormon” (poiché Mormon è il nome del profeta-storico che avrebbe formulato la narrazione e la rivelazione incisa sulle tavole scoperte da Smith), il testo sacro della setta dei Mormoni, nel quale è descritto un cataclisma avente caratteristiche del tutto simili a quello che aveva provocato la distruzione di Atlantide, che sarebbe avvenuto però subito dopo la crocifissione di Cristo: “Nel trentaquattresimo anno, nel primo mese, nel quarto giorno, sorse un grande uragano, tale che mai se ne era veduto uno simile sulla terra; e vi fu pure un’immane tempesta e un orribile tuono che sconvolsero la terra intera come se stessero per fendersi […] E molte città popolose e importanti si inabissarono, altre divennero preda delle fiamme, parecchie furono scosse fino a ce gli edifici crollarono, e gli abitanti furono uccisi e i luoghi ridotti in aspra desolazione […] Così la superficie di tutta la terra fu deformata e scese una fitta tenebra su tutto il paese, e per l’oscurità essi non poterno accendere alcun lume, né candele, né torce”.

I superstiti di questa catastrofe apocalittica, il popolo dei Nefi, si erano ricoverati in tempo nel “Paese dell’Abbondanza”, dove avevano costruito città con dimore e templi, tra i quali quello famoso di Palenque nel Messico meridonale e una maestosa  fortezza identificata in seguito con Machu Picchu.

Alcuni anni più tardi, nel 1857, un eccentrico studioso francese, l’abate Charles-Etienne Brasseur, asserì di aver scoperto quella che avrebbe dovuto rivelarsi la “prova definitiva” del collegamento tra Mar Mediterraneo, Atlantide e America centrale, e individuò nelle Antille e nelle Azzorre i residui dell’antico continente (5).  Le sue teorie furono ben presto confutate e screditate, ma ispirarono la prima opera davvero popolare sull’argomento, “Atlantis, the antidiluvian world” (“Atlantide, il mondo antidiluviano”, scritta dall’americano Ignatius Donnelly (1831-1901) nel 1882.

Secondo questo studioso, Atlantide era da indentificarsi nel biblico “Paradiso terrestre” (o “Eden”,  parola di origine sumera che significa “oasi”) e da essa si sarebbero sviluppate le prime civiltà; i suoi abitanti originari si sarebbero poi disseminati in America, Europa e Asia, mentre i re e le regine che vi avevano governato divennero gli dei delle antiche religioni. In seguito, cica 13.000 anni fa, l’intero continente fu sommerso da un immane cataclisma di origine vulcanica.8336663_f520 A sostegno delle sue tesi l’autore adduceva le analogia culturali osservate tra le civiltà fiorite sulle due sponde dell’Atlantico e alcune prove geologiche, a dire il vero alquanto discutibili.

In questa sua opera il Donnelly proclamava 13 tesi sull’esistenza, lo sviluppo storico e la caduta di Atlantide che si possono così riassumere:

1) che esisteva nell’Oceano Atlantico una grandissima isola antistante lo stretto di Gibilterra (ovvero le Colonne d’Ercole);

2) che la descrizione datane da Platone nei suoi dialoghi non è un semplice mito o un “exemplum” dimostrativo, ma è da considerarsi storica a tutti gli effetti;

3) che Atlantide era il luogo, -nonché il periodo temporale-, dove per primo l’uomo era passato dalla condizione di barbarie a quella di civiltà;

4) che da essa emigrarono le popolazioni dalle quali sarebbero derivate tutte le civiltà fiorite sia nelle Americhe, sia nel continente eurasiatico e nell’Africa settentrionale;

5) che il Giardino del’Eden, il Giardino delle Esperidi, i Campi Elisi, l’Olimpo, l’Asgard, il monte Meru e tutti gli altri luoghi paradisiaci ricolmi di delizie dove dimorano le divinità e gli uomini beati sono un ricordo, trasfigurato in immagine mitica, della regione ove gli umani avevano abitato in pace e prosperità;

6) che gli dei concepiti e venerati dalle antiche religioni altro non sono che i sovrani degli antichi regni di Atlantide (abbiamo quindi un’idea di tipo evemeristico della divinità);

7) che i miti dell’antico Egitto e degli Incas più di quelli di altri popoli hanno mantenuto i caratteri dell’originaria religione di Atlantide, incentrata su un culto solare;

8) che la prima colonia di Atlantide fu l’Egitto, la cui civiltà riproduceva in gran parte quella della madre-patria e aveva tramandato le avanzatissime conoscenze scientifiche da essa raggiunte;

9) che gli strumenti metallici dell'”Età del Bronzo” in Europa provenivano da Atlantide e che gli Atlantidi furono i primi produttori di ferro;

10) che l’alfabeto fenicio, dal quale, mediatamente o immediatamente, sono derivati gli alfabeti greco, etrusco, latino, ebraico, aramaico, arabo, ecc., era una forma dell’alfabeto usato ad Atlantide;

11) che l’Atlantide fu la sede ancestrale delle stirpi ariane (o indo-europee), di quelle semitiche e di quelle amerinde, nonché (ma su questo Donnelly si mostra incerto) di quella turanica;

12) che la civiltà di Atlantide finì in seguito a un immane sconvolgimento della natura, in seguito al quale l’intera isola sprofondò nell’oceano, in una con quasi tutti i suoi abitanti;

13) che i pochi sopravvissuti fuggirono dal disastro su navi e imbarcazioni improvvisate, trovando scampo sia ad ovest, nelle Americhe, sia ad ovest, in Europa e nelle regioni circum-mediterranee. Dai loro racconti sulla terribile esperienza che avevano vissuto ebbe origine il mito del Diluvio.

Dall’altra parte dell’oceano, il medico inglese di origine francese Augustus Le Plongeon (11825-1908), che per primo aveva condotto scavi archeologici tra le rovine dei monumenti Maya nello Yucatan, riprese per via indipendente da Donnelly la tematica esposta nel libro di quest’ultimo in un’opera complessa ed ambiziosa, intitolata “Misteri sacri tra i Maya e i Quichè 11.500 anni fa; -la loro relazione con i Misteri sacri degli Egizi, dei Greci, dei Caldei e degli Indiani”. Questo libro, -nel quale asseriva la dipendenza delle antiche civiltà del vecchio mondo da quella dei Maya-, ottenne alla sua uscita un enorme successo e contribuì in larga misura al rilancio e alla diffusione di Atlantide nella cultura moderna.

Da allora gli studi e le ricerche sul misterioso continente scomparso cominciarono a susseguirsi con inusitata frequenza, così come la pubblicazione di libri più o meno validi sull’argomento. La maggior parte degli studiosi concordava nel situare Atlantide nel mezzo dell’oceano Atlantico, che, soprattutto stante l’autorità di Platone, appariva la sua collocazione più ovvia.

Ma non tutti condivisero questa idea e vi fu che credette di individuarne la sede in altri luoghi: in Francia. ad esempio, il botanico D. A. Godron fondò nel 1868 una “Scuola dell’Atlantide”, sostenendo che la perduta capitale del continente dovesse trovarsi nel deserto del Sahara: egli e il suo seguace Berlioux fondavano la loro tesi  sul IV libro della “Bibliotheca Historica” di Diodoro Siculo (del quale abbiamo già diffusamente trattato in precedenza negli articoli dedicati alle “Amazzoni ad Atlantide”-), che, come sappiamo, descrive la guerra e l’invasione che le Amazzoni -le quali secondo Diodoro vivevano un tempo nella parte occidentale della Libia (e per Libia si intendeva tutta l’Africa settentrionale a occidente dell’Egitto), ai confini estremi del mondo abitato- al comando della regina Myrina condussero contro gli Atlantidi.

Ma tra la fine dell’800 e per tutto il 900, fino ai giorni nostri, furono proposte da numerosissimi ricercatori, -spesso di dubbia serietà e con discutibili argomentazioni-, come probabile sede della perduta isola le più disparate località in quasi tutti gli angoli del globo, dal polo Nord all’Africa centrale, -pur se in prevalenza queste gravitavano intorno all’oceano Atlantico, sia dalla parte del Vecchio che del Nuovo Continente, ma pure nell’area circum-mediterranea-; ad alcune di queste localizzazioni accenneremo in seguito.

Ma negli stessi anni nei quali Donnelly e altri formulavano le loro teorie su Atlantide, il geologo inglese Philip L. Slater ipotizzò l’esistenza di un sub-continente sommerso che avrebbe potuto congiungere l’Africa all’Asia meridionale in epoca remotissima.

Un Lemure del Madagascar. il "Lemur catta".
Un Lemure del Madagascar. il “Lemur catta”.

Egli aveva osservato che gli animali appartenenti all’ordine dei Lèmuri (altrimenti detti Proscimmie) erano, – e sono tuttora-, distribuiti esclusivamente nel Madagascar e nelle isole vicine, -dove si trova il più numeroso gruppo di specie di tale ordine-, nel sub-continente indiano e nel sud-est asiatico, aree queste ultime in cui, oltre alle non molte specie attuali, ne erano presenti in passato diverse altre ora estinte. Slater dedusse dunque da questa circostanza che Madagascar, India e zone limitrofe fossero state un tempo parte di un continente ormai in gran parte scomparso, collocato nell’attuale oceano Indiano, che dal nome dei Lemuri, che gli avevano suggerito questa ipotesi, egli chiamò LEMURIA, usando per la prima volta tale denominazione in un articolo pubblicato nel 1864, intitolato “I Mammiferi del Madagascar” (6).

CONTINUA NELLA QUARTA PARTE

Note

1) inutile osservare come, anche interpretata in questo modo un po’ semplicistico, la storia di Atlantide mostra una straordinaria attualità e affinità con la situazione ai giorni nostri, in cui l’uso e abuso della tecnologia e lo sfruttamento delle materie prime e delle risorse energetiche sta trascinando il pianeta verso un rovina, che purtroppo appare sempre più probabile e inevitabile…

2) ricordiamo peraltro che il grande navigatore non si era reso conto di essere giunto in una terra del tutto sconosciuta dagli Europei e credette di essere approdato alle estreme propaggini orientali del continente asiatico (e da qui il nome di “Indie occidentali” rimasto a lungo a queste terre, in specie le Antille, anche quando si ebbe la certezza che non si trattava affatto dell’Asia.

3) com’è noto il nome di “America” fu attribuito al continente scoperto da Cristoforo Colombo, e poi esplorato da Amerigo Vespucci tra il 1499 e il 1502, dall’umanista e cartografo tedesco Martin Valdesee-Muller (1470-1521 circa) in un’edizione dell'”Atlante di Tolomeo”, integrata con le nuove terre di recente scoperte, pubblicata nel 1507. Egli diede il nome di America al continente in onore di Amerigo Vespucci (1454-1512) poiché fu il navigatore fiorentino che per primo comprese con chiarezza che non si trattava dell’estrema propaggine orientale dell’Asia, ma di un luogo completamente diverso e fino ad allora tutt’affatto sconosciuto.

4) il “Codice Aubin”, che consta di 81 fogli, attualmente conservati nel British Museum di Londra, è un testo che, sebbene redatto dopo la conquista spagnola, in periodo dal 1576 al 1607, -anno al quale giungono le vicende in esso narrate, illustra la storia azteca prima dell’arrivo degli Europei e attinge quindi alle più antiche fonti documentarie del Messico.

5) al Brasseur ricercatore delle civiltà autoctone centro-americane risale pure l’ipotesi dell’esistenza di un altro mitico continente, che si sarebbe esteso in una vasta area ora occupata dall’Oceano Pacifico, il “continente di Mu” (il nome dato a questa terra è quello della lettera greca μ -o comunque di un segno grafico ad essa simile,- interpretato come un “mu”- che, inscritta in un cerchio inquartato da una croce, ne sarebbe stata il simbolo). Questa opinione nacque da una errata interpretazione dello studioso (il quale, avvalendosi di una sorta di dizionario spagnolo-maya compilato nel XVI secolo dal vescovo Diego de la Landa, attribuì erroneamente ai segni grafici carattere alfabetico, anziché ideografico) di un codice in lingua maya, il “Codice Troano”, custodito ora a Madrid.

Il presunto emblema di "Mu".
Il presunto emblema di “Mu”.

Questa teoria, dopo che fu fatta una traduzione più esatta dell’antico testo maya, fu considerata priva di fondamento. In anni recenti però, sulla scorta di ritrovamenti compiuti nei pressi delle isole Mauritius, si ritiene, almeno da parte di alcuni scienziati, che possa essere esistito uno scomparso continente tra gli oceani Indiano e Pacifico, sebbene di assai più ridotta estensione di quanto non avrebbe dovuto essere il Mu. Tuttavia di questo tema affascinante riparleremo in seguito.

6) il termine “Lemuri” con il quale furono chiamati questi animali fu ripreso da quello (“Lemures”) usato degli antichi Romani per indicare una classe di spiriti di defunti (si veda un proposito quanto abbiamo detto nella prima parte di “LA FESTA DI HALLOWEEN E LA COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI”). Come nome di un genere zoologico fu impiegato per la prima volta da Linneo nel 1754, che lo attribuì al “Lemur tardigradus” (in seguito riclassificato come “Loris tardigradus”); questo nome fu scelto poiché i primi esploratori e coloni del Madagascar vedendo i grandi occhi di questi animaletti che risplendevano nella notte nel buio delle foreste li scambiarono per una sorta di fantasmi. Poi il nome “Lemures” fu dato all’intero ordine, che tuttavia nelle più recenti classificazioni è considerato un infraordine dei Primati, con la nuova denominazione di “Lemuriformes”.

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