L’ENIGMA DI MAYDA, L’ISOLA “FANTASMA”

E’ risaputo che nel passato siano talvolta avvenute sia rapide emersioni di nuove isole, sia altrettanto rapide sparizioni di terre emerse.

Uno degli esempi più conosciuti di isole scomparse è senza dubbio l’isola di Thera, peraltro inabissatasi solo in parte, a causa dell’eruzione,- verificatasi secondo le ipotesi più probabili intorno al 1600-1650 a.C.-, di un vulcano sottomarino -che esiste tuttora- (quel che rimane dell’isola originaria è chioamato ora Santorino, o Santorini), -alla quale abbiamo già accennato nella trattazione su Atlantide (che sarebbe essa stessa la più grande e famosa delle isole misteriosamente scomparse), trattazione apparsa in quattro parti su questo sito (13 e 23 dicembre 2014; 6 e 17 gennaio 2015)-. Un altro esempio, assai più recente, è l’isola Ferdinandea che sorse dalle acque tra la cittadina di Sciacca in Sicilia e Pantelleria tra giugno e luglio del 1831, in seguito alla probabile eruzione di un vulcano che non ha poi più dato tracce di sè, e, dopo aver raggiunto un’altezza di circa 63 metri, altrettanto rapidamente scomparve nell’anno successivo.

Molto meno nota è invece l'”Isola delle Sette Città”, chiamata anche Isola di Mayda, o Isola di Antilia .Di quest’isola si parla in documenti medioevali provenienti dalla penisola iberica, e in particolare dal Portogallo. In una carta nautica inviata dal cartografo e geografo Paolo dal Pozzo Toscanelli ad Alfonso V del Portogallo quest’isola era perfettamente indicata; ma essa era stata citata già in precedenza dal geografo arabo Al-Idrisi, che visse a Palermo alla corte di Ruggero II il Normanno, re di Sicilia dal 1130 al 1154. Pure un’antica saga scandinava ricorda l’esistenza di una fantomatica isola; tuttavia, più che di un’isola con sette città, sembra trattarsi di sette isole, la cui capitale, Seila, definita “Regina delle Sette Isole dai palazzi incantati” e “aureola del Sole”, sembra fosse un luogo di delizie: Questa descrizione però farebbe pensare alle leggendarie “Isole Felici” o “Isole Fortunate” delle quali parlano diversi autori classici, quali Omero, Orazio, Plutarco, Strabone e soprattutto Plinio il Vecchio e Claudio Tolomeo (sulle quali si veda “Le isole Fortunate e le isole Canarie”, terza parte di “Le Amazzoni ad Atlantide”, del 22 ottobre 2013).

Secondo la leggenda, tra il XIV e il XV secolo, una caravella portoghese che stava navigando nell’Oceano Atlantico alla volta di Lisbona, sarebbe stata investita da una violenta tempesta; essa rimase per giorni in balia delle onde, fino a che i naviganti  non avvistarono un’isola sulla quale sbarcarono. Con loro grande meraviglia, scoprirono che gli abitanti di quest’isola parlavano in portoghese ed avevano costumi europei. Essi chiesero agli inattesi visitatori se gli Arabi occupassero ancora le terre iberiche: infatti erano i discendenti di profughi fuggiti dal Portogallo, sotto la guida di sette vescovi, allorchè questo era stato invaso dagli Arabi. La loro intenzione era di rifugiarsi nelle Isole Porporine, -le attuali isole Azzorre-, ma non vi giunsero mai, perchè avevano smarrito la rotta. Approdarono però nell’isola di Mayda, che popolarono conservando i loro usi e costumi; e poichè erano stati guidati da sette vescovi, ciascuno di questi ultimi fondò una città, per cui i profughi si divisero in sette città, con sette cattedrali. I nomi delle sette città che sono stati tramandati sono i seguenti: Aira, Anhuib, Ansalli, Ansèsseli, Ansodi, Ansolli e Con.

L’isola è menzionata in una lettera reale di Alfonso V del Portogallo, in data 10 novembre 1475, nella quale egli concede cavalier Fernao Teles “le sette città e tutte le altre isole abitate” che questi avrebbe potuto ritrovare nel corso della sua navigazione nell’Oceano Atlantico.

L'isola di Mayda in una carta nautica di Bartolomeo Pareto del 1455 (l'isola è il rettangolo verticale a sinistra).
L’isola di Mayda in una carta nautica di Bartolomeo Pareto del 1455 (l’isola è il rettangolo verticale a sinistra).

Tuttavia già nel 1498 sembra che si fosse di nuovo volatilizzata, dal momento che l’ambasciatore spagnolo in Inghilterra, Pedro de Ayala, scrive al suo re che i marinai di Bristol mandavano tutti gli anni spedizioni per ritrovare la misteriosa isola. Da allora la denominazione di Mayda sarà attribuita solo ad un gruppo di isolotti e scogli affioranti tra le acque dell’oceano, per quanto si abbia notizia che ancora durante il XVI secolo alcuni intrepidi navigatori, quali Alvar Nùnez Cabeza de Vaca e Francisco Vàsquez de Coronado abbiano continuato a cercare nelle loro lunghe esplorazioni la fantomatica isola. E’ probabile che quest’isola si sia inabissata in seguito ad una catastrofe naturale, quasi certamente di origine vulcanica.

Per quanto riguarda l’etimologia del nome “Mayda”, non ne è stata data alcuna verosimile spiegazione. L’altro nome con il quale l’isola è nota, Antilia, deriverebbe invece dal portoghese “Ante-Ilha”, cioè “davanti all’isola”, oppure, con maggiore probabilità, “isola (che si trova) davanti”; intendendo in tal modo davanti al Portogallo. Tale spiegazione del nome è avvalorata tra l’altro dal fatto che nelle carte che la mostrano (come si può osservare nell’illustazione)  essa è rappresentata in forma rettangolare, molto simile a quella del Portogallo. Altri ritengono che tale nome potrebbe risalire ad “Apròsitos” (“Inaccessibile”), nome attribuito da Tolomeo ad una delle “Isole Fortunate”: ma tale ipotesi appare alquanto improbabile poichè non si vede come e attraverso quali vie tale nome, ben diverso da Antilia, abbia potuto trasformarsi in quest’ultimo.

Il famoso geografo tedesco Alexander von Humboldt (1769-1859) sostiene invece che tale denominazione derivi dall’arabo “Giazirat-al-Tannyn”, “Isola del Drago”, in riferimento alla leggende arabe sui draghi di mare, spesso raffigurati anche sulle carte nautiche.

Secondo un’ipotesi più recente, Antilia potrebbe significare “davanti a Tile”, o più probabilmente “prima di Tile”. “Tile” sarebbe una variante grafica del più noto nome “Thule”, con il quale si designa una leggendaria contrada, o continente, situato all’estremo nord, ma che godrebbe, o avrebbe goduto di un clima eccezionalmente mite, del quale hanno parlato vari autori antichi e moderni, e al quale abbiamo dedicato anche noi una specifica trattazione (“L’ultima Thule e il mistero degli Iperborei”, in due parti pubblicate rispettivamente il 20 febbraio e il 3 marzo 2014). In questo caso Antilia potrebbe essere identificata con l’Irlanda, anche se non si capisce in quale modo possa rientrare o avere comunque un legame con la leggenda che abbiamo narrato.

Il discusso scrittore e ricercatore inglese Gavin Manzies Paton (nato nel 1937, ex ufficiale della marina britannica) ha esposto un’originale teoria sull’enigma di Mayda, o Antilia che dir si voglia, nel suo libro “1421: l’anno in cui la Cina scoprì il mondo” , -pubblicato nel 2002-, nel quale afferma che tra il 1421 e il 1423 una flotta cinese inviata dall’imperatore Zhu Di avrebbe circumnavigato l’intero globo terrestre (quindi ben prima dell’analoga impresa di Magellano). Egli, studiando le indicazioni topografiche riportate su una moderna mappa di Porto Rico, osservò che sotto i nomi della “sette città” si celerebbero le descrizioni di caratteristiche naturali e artificiali dell’isola caraibica. Il fatto che l’sola fosse collocata in mezzo all’oceano Atlantico anzichè nel area prossima al golfo del Messico dipenderebbe, a suo parere, da errori fatti nel calcolarne la posizione, combinati con l’esistenza di forti correnti atlantiche che avrebbero fuorviato i navigatori.

Una diversa identificazione di questa terra misteriosa fu proposta dall’architetto e archeologo canadese Paul Chasson, il quale, nel suo libro “L’isola delle sette città”, sostiene che essa sarebbe in realtà l’isola di Cap Breton, nella Nuova Scozia, dove dei marinai cinesi si sarebbero stabiliti dopo aver circumnavigato l’Africa e risalito l’oceano Atlantico fino a raggiungere l’America settentrionale. L’ipotesi di Chasson si fonda sull’esplorazione da lui compiuta di un presunto sito archeologico sull’isola e alle somiglianze riscontrate tra alcuni caratteri della cultura della tribù pellerossa dei Mikmaq, -gli indigeni di quest’isola- e la civiltà cinese di quel periodo.

Un altro scrittore, e “indagatore dell’occulto”, l’americano Vincent H. Gaddis nel suo libro “Orizzonti Invisibili” mette invece in relazione l’isola di Mayda con l’affascinante mistero del cosiddetto “Triangolo delle Bermude”

Il nome di “Mayda” riappare in tempi recenti in un romanzo di fantascienza di Philip Reeve, pubblicato nel 2010,  intitolato “A web of air” (“Una rete d’aria”); in questo romanzo però non è il nome di un’isola, ma di un cratere scavato da un’esplosione atomica in una sperduta località del Portogallo, dove il protagonista installa una base per la costruzione di macchinari fantascientifici.

Notiamo infine che dall’altro nome con il quale l’enigmatica isola è conosciuta, Antilia, -sebbene la sua scomparsa e la sua stessa esistenza siano considerate dubbie-, è derivato quello delle ben più famose isole del Mar dei Caribi, le Antille (con le quali peraltro essa sarebbe da identificare in alcune interpretazioni della leggenda).

Altri tuttavia fanno derivare tale nome da quello di “La Antilia”, una cittadina rivierasca nei pressi di Huelva in Andalusia, della quale molti dei marinai che scoprirono queste isole erano originari, per cui diedero ad esse il nome della località donde provenivano. Secondo un’ultima versione, “Antille” sarebbe invece una storpiatura del latino “ante illam”, “davanti a quella”, intendendo con “quella” la costa dell’India, che si supponeva fosse ad essa vicina, prima che si comprendesse essere la terraferma di fronte un diverso continente.

 

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