L’ENIGMA DELLA SFINGE (seconda parte)

LA SFINGE ELLENICA

Secondo la mitologia greca la madre dell’essere chiamato “Sfinge” era Echidna (nome che significa “vipera”) (1)(2), una creatura mostruosa -che dalla vita in su aveva aspetto di donna (ma con lunghi e affilati canini!), mentre il resto del corpo era di serpente-  la quale, oltre a lei, aveva dato alla luce una numerosa progenie di mostri, tra i quali il cane bicipite Ortro; Cerbero, anch’esso cane, ma dotato, nella tradizione prevalente, di tre teste (in altre versioni il numero delle teste varia da una a cinquanta), divenuto guardiano dell’Ade; l’Idra di Lerna; la Chimera e il Leone di Nemea, ucciso da Eracle nella sua seconda fatica (3).

La cosiddetta "Sfinge dei Nassi" offerta dagli abitanti dell'isola dio Nasso al santuario di Delfi nel VI sec. a.C. (Museo di Delfi).
La cosiddetta “Sfinge dei Nassi” offerta dagli abitanti dell’isola dio Nasso al santuario di Delfi nel VI sec. a.C. (Museo di Delfi).

Quanto al padre, secondo alcuni, -tra i quali l’autore della “Biblioteca di Apollodoro” (4-), esso sarebbe Tifone, il terribile mostro a 50 o 100 teste che era il legittimo consorte di Echidna; ma la più diffusa tradizione, sostenuta dall’autorevolezza della “Teogonia” di Esiodo, affermava che la Sfinge, così come il Leone di Nemea (talvolta pure la Chimera)-, fosse frutto dell’unione incestuosa di Echidna con il figlio primogenito Ortro; questa versione è tra l’altro la più coerente con il carattere di questo essere e con il mito -quello di Edipo- del quale è coprotagonista, e presenta significative analogie simboliche.

Infatti Ortro, anch”esso talora rappresentato con due teste che guardano in opposte direzioni, -verso l’Oriente e l’Occidente, il passato e futuro-, mostra indubbia affinità con l’Aker e il Rjw-ty egiziani; il nome del cane bicipite, quanto mai illuminante significa “aurora” ed era in rapporto con la stella Sirio (la “Canicula” dei Latini), che con il nome di Sothis ricopriva una rilevante funzione nella religione e nella vita degli Egizi, -poiché segnava l’inizio dell’inondazione del Nilo-; anch’egli faceva il guardiano, precisamente delle mandrie di Gerione, altra creatura mostruosa, immaginata come uomo tricorporeo, re del regno di Tartesso, al quale Eracle rubò i bovini che erano il suo vanto.

La Sfinge greca aveva un corpo di leonessa alata, con testa e busto femminile; essa, come si è detto, è nota soprattutto per il mito di Edipo, al quale ora accenniamo in sintesi. Edipo appena nato era stato esposto dal padre, Laio, re di Tebe in Beozia, regione della Grecia continentale, con i piedini trafitti da una corda, sul monte Citerone. Qui viene rinvenuto da un pastore, -chiamato Euforbo, o Forbante,- al servizio del re di Corinto, Pòlibo, il quale lo porta al suo padrone.

Il pastore Euforbo con il piccolo Edipo da lui trovato sul monte Citerone.
Il pastore Euforbo con il piccolo Edipo da lui trovato sul monte Citerone.

Non avendo figli, su insistenza della regina Peribea, questi lo adotta quale suo rampollo. A causa delle condizioni nelle quali era stato trovato, gli viene imposto il nome di Edipo, -che significa “piede gonfio”. L’inizio della vicenda di Edipo dunque non si discosta di molto da quello di parecchi altri personaggi del mito, e pure della storia, abbandonati perché si riteneva avrebbero portato disgrazia ai genitori (da Sargon il Grande a Mosè, da Ciro a Romolo e Remo). Ma perché Laio aveva abbandonato suo figlio? A causa di un oracolo che aveva profetizzato che il figlio nato da lui e da sua moglie Giocasta (chiamata talvolta Epicasta) avrebbe ucciso il padre e sposato la madre. Per questa ragione Laio aveva cercato in ogni modo di evitare che la moglie concepisse un bambino, ma una notte Giocasta, dopo averlo ubriacato, riuscì ad unirsi a lui e così divenne madre di Edipo. Ricordiamo che secondo un’altra versione, meno diffusa, Laio avrebbe rinchiuso il bambino in una cassa e l’avrebbe gettata in alto mare da una nave. La cassa approdò nei pressi della città di Sicione, dove la regina Peribea si trovava per caso a passare. Ella, aperta la cassa, raccolse l’infante e lo portò al palazzo reale dove lei e il marito Polibo lo allevarono come figlio.

Divenuto adolescente, egli venne deriso da alcuni giovani di Corinto, che avevano osservato la scarsa somiglianza tra di lui e i genitori putativi, in altre versioni, tra cui quella che si trova nell'”Edipo re” di Sofocle, è un convitato ebbro durante un banchetto che solleva perplessità sulla sua discendenza da Pòlibo. Per essere illuminato sulla questione e dissolvere i dubbi che si erano insinuati nel suo animo, Edipo decise di consultare l’oracolo di Delfi, che gli rivelò che avrebbe ucciso il padre e sposato la madre. Sconvolto da quell’infausto responso, stabilì di non tornare più a Corinto, poiché riteneva che i suoi veri genitori fossero Pòlibo e Peribea.

edipo_e_la_sfinge
Edipo e la Sfinge in un anfora attica del V sec. a C.

Accadde così che dovendo passare attraverso un stretto valico si scontrò con uno sconosciuto che avanzava su un carro; per una questione di precedenze, che nessuno dei due voleva concedere all’altro, scoppiò un diverbio nel corso del quale Edipo uccise lo sconosciuto viandante. Quell’uomo era in realtà Laio, che si stava recando a sua volta a consultare l’oracolo di Delfi: la prima parte del vaticinio si era così avverata.

Edipo giunse poi a Tebe, ove seppe che la città era infestata da un terribile mostro, la Sfinge, che, stando sopra una rupe o una colonna, chiedeva a tutti coloro che passavano di lì la soluzione di due (e non uno come si racconta di solito) indovinelli, che ella aveva imparato dalle Muse: Il primo indovinello era il seguente:. “Quale animale con una voce sola ha quattro zampe all’inizio, poi due e finisce con tre, e che con più piedi cammina meno è veloce?”; il secondo enigma, quasi sempre tralasciato nelle esposizioni del mito, suona così: “Chi sono le due sorelle, delle quali una genera l’altra e di cui la seconda, a sua volta, genera la prima?”.

Secondo alcune fonti la Sfinge sarebbe stata inviata a Tebe da Apollo o da Dioniso, incolleriti perché nella città si trascurava il loro culto; ma la versione prevalente è quella che vuole la Sfinge mandata da Era, per una ragione non del tutto chiara, ma che i più ritengono fosse la punizione di un “peccato di gioventù” di Laio. Quest’ultimo infatti mentre si trovava in esilio alla corte di Pelope, re di Pisa (città dell’Elide, nel Peloponneso) (5), invaghitosi del figlio del re, Crisippo, l’aveva rapito e condotto con sé a Tebe per farne il suo amante (6). In seguito al rapimento del figlio, Pelope lanciò contro Laio e la sua stirpe una maledizione dalla quale sarebbero derivate tutte le sciagure e le tragedie che colpirono Laio, Edipo ed i loro discendenti.

Laio rapisce Crisippo. Ceramica apula del IV sec. a. C.
Laio rapisce Crisippo. Ceramica apula del IV sec. a. C.

Questo episodio era però accaduto parecchi anni prima del matrimonio di Laio con Giocasta, per cui non si capisce perché il castigo di Era sia giunto così in ritardo.

Coloro che non riuscivano a dare l’esatta risposta agli enigmi proposti dalla Sfinge venivano sbranati e divorati senza pietà. Già molti giovani tebani si erano cimentati nella perigliosa impresa, – e tra di essi anche Emone, il figlio di Creonte-, ma nessuno aveva saputo risolvere gli enigmi. Per questo Creonte, fratello di Giocasta, e re “pro tempore” di Tebe, aveva promesso la mano della sorella e il trono di Tebe a chi fosse riuscito a liberare la città da quel flagello; e il re Laio si stava appunto recando a Delfi per avere consiglio sul modo con il quale stornare la minaccia della Sfinge. Udito il bando di Creonte, anche Edipo decise di tentare l’arduo cimento e si presentò davanti alla Sfinge.

Oedipus and the Sphinx
Edipo e la Sfinge in una illustrazione moderna.

Edipo dopo attenta riflessione, riesce a risolvere gli enigmi: l’essere che cammina prima con 4, poi con 2 e infine con 3 zampe è l’uomo (da bambino, nell’età adulta e nella vecchiaia -aiutandosi con un bastone-); le due sorelle oggetto della seconda domanda sono il giorno e la notte -si ricordi che in greco sia giorno -“hemèra”-, sia notte -“nyx”-, sono di genere femminile-.  Vedendosi sconfitta, la Sfinge si getta dalla rupe (o dalla colonna) sopra cui stava e si sfracella al suolo (secondo un’altra versione viene uccisa dallo stesso Edipo). Su questi enigmi e sul loro significato molto è stato detto e su essi ritorneremo: quello, di tipo filosofico, più evidente è che nel momento nel quale Edipo, cioè l'”uomo” acquista consapevolezza di sé stesso e della sua reale natura, gli impulsi oscuri e ciechi che dominano chi si trova nell’ignoranza, -incarnati dalla Sfinge, e in genere dai mostri delle mitologie, che rappresentano il “disordine” non solo in senso cosmico, ma anche in senso psichico-, vengono dissolti.

Avendo sconfitto la Sfinge, Edipo ,come promesso da Creonte, sposa Giocasta e diviene re di Tebe. E così si avvera anche la seconda parte della profezia: Edipo diventa il marito di colei che è sua madre, senza che nessuno dei due conosca la tremenda verità. Per alcuni anni tutto sembrava andare bene, e dal matrimonio nacquero quattro figli: due bambini e due femminucce.  Ma poi, secondo la forma del mito quale è narrata nell'”Edipo re” di Sofocle, sulla città di Tebe si abbattè improvvisamente una terribile pestilenza. Per conoscere la causa di siffatto castigo, ancora una volta fu consultato l’oracolo di Delfi, che dichiarò che la colpa era dell’assassino di Laio. Per questo Edipo pronunciò una maledizione contro costui, ignorando di essere lui l’uccisore del padre e maledicendo dunque sé stesso- Poiché l’epidemia non cessava, fu interpellato Tiresia, l’indovino cieco, il quale rivelò a Giocasta ed Edipo che erano madre e figlio, e che era stato Edipo ad uccidere Laio, suo padre. Conosciuta la verità, Edipo si acceca e Giocasta si impicca per il dolore e la vergogna. (Non continuiamo qui con il seguito della storia,- la funesta rivalità di Eteocle e Polinice,-figli di Edipo- il sacrificio di Antigone, ecc.-, che diede copioso materiale ai tragediografi greci, poiché esulano dal nostro tema).

Questa la versione accolta, o forse inventata o adattata dai poeti tragici, e in particolare da Sofocle; ma in realtà una narrazione più antica, quella attestata anche da Omero (7), Giocasta stessa scopriva che il suo nuovo marito era in realtà suo figlio, riconoscendolo dalle cicatrici sui piedi, che le avevano rammentato quanto era stato fatto al suo piccolo in giorni lontani; per questo ella, vinta dal rimorso, si sarebbe suicidata. Edipo, dal canto suo, parve non scomporsi più di tanto del luttuoso evento e prese un’altra moglie nella persona di Euriganea, che gli diede i quattro figli, attribuiti poi nella tragedia sofoclea a Giocasta. E in una forma ancora più antica del mito sembra che la storia terminasse con il matrimonio tra Edipo e Giocasta, senza il seguito di lutti e sofferenze che furono aggiunti nelle tragedie.

Ed in effetti da un punto di vista mitologico e simbolico, la storia potrebbe concludersi con questo epilogo, dato che in essa appare adombrata l’evoluzione interiore dell’individuo: che deve “uccidere” il padre per essere sé stesso, che acquisisce l’autocoscienza dall’incontro con la Sfinge, -la sua parte “primordiale”, l'”inconscio” che diviene “conscio”- e alla fine si ricongiunge con il suo principio , -il matrimonio con la madre-, ma su un piano più alto, dopo aver conseguito una consapevolezza interiore, che si completa proprio con questo connubio.

Furono i tragici greci che svilupparono e ampliarono questo mito dandogli una dimensione tutta umana e facendone un dramma dell’ineluttabilità del destino e della sofferenza; prima che in età molto più recente, nel 1900, Sigmund Freud, nella sua opera “L’interpretazione dei sogni”  ne facesse uno dei cardini della propria intuizione dei meccanismi della vita psichica: com’è noto, il fondatore della psicoanalisi fece di Edipo il simbolo dell’ostilità e della gelosia, più o meno inconsce, nutrite da bambini e adolescenti di sesso maschile nei confronti del proprio padre, a cui si legherebbe la volontà si sostituirlo anche presso la madre. Peraltro il significato che Freud attribuì al mito è piegato in modo alquanto arbitrario alle sue teorie, poiché Edipo commette il parricidio e si unisce in matrimonio con la madre del tutto inconsapevolmente, per cui, volendo dare un giudizio morale sulla sua figura, egli risulta innocente (tutt’al più potrebbe essere incolpato di eccesso di legittima difesa allorché uccise Laio). Quindi sia i tragediografi ( non solo quelli greci, ma anche quelli di epoche più recenti che si sono ispirati ad esso, come P. Corneille), sia Freud hanno forzato e travisato il senso autentico del mito di Edipo e della Sfinge.

Molteplici peraltro sono state le interpretazioni e le “chiavi di lettura” che sono state date di questo celebre mito.

Edipo e la Sfinge in un quadro di F. X. Fabre (1766-1837)
Edipo e la Sfinge in un quadro di F. X. Fabre (1766-1837)

L’origine del nucleo centrale della vicenda è stata collocata da diversi studiosi in un ambito culturale, religioso e mitologico pre-ellenico, quello pelasgico o quello egeo-anatolico, in cui vigeva un’organizzazione di tipo matriarcale. Il figlio che uccide il padre e sposa la madre sarebbe un dio dell’anno nuovo, o della vegetazione che rinasce; egli subentra al padre, il “vecchio” dio, ormai esausto e privo di forze, accanto alla madre, dea della fertilità, onde dispensare alla terra, alle piante, agli animali, agli uomini le sue energie fecondanti (8).

Allorché questo racconto fu recepito dalle genti elleniche, di stirpe indoeuropea, che si richiamavano ad un ordinamento di carattere patriarcale, non fu compreso nel suo autentico significato,  fu avvertito in contrasto con l’etica di quelle popolazioni e subì quindi una trasformazione, attraverso la quale assunse la forma con la quale lo conosciamo.

Un’altra interpretazione che fu in auge per lungo tempo è quella che vede nella storia di Edipo un mito solare, nella quale talvolta si sono evidenziati parallelismi forse eccessivi tra i diversi momenti della vicenda e i singoli fenomeni dell’astro diurno: Edipo esposto sul monte Citerone sarebbe l’immagine del Sole che all’alba sembra essere posato sulle montagne; come il Sole trionfa sulla notte, dalla quale esce, così l’eroe uccide il padre che gli ha dato vita, mentre la Sfinge rappresenta la nube tempestosa che il Sole incontra e disperde lungo il suo cammino; la luce purpurea del tramonto, preannunzio della notte, con la quale l’astro torna a congiungersi, è Giocasta (9), la madre che Edipo non riconosce nella sua nuova forma (la notte ammantata con le spoglie del crepuscolo), e così via. Questa interpretazione ebbe fortuna soprattutto nll’800, – ad esempio nella “Mitologia della Grecia antica” di Paul Decharme (1839-1905)-; ma fu seguita in tempi più recenti anche dal famoso storico dell’antichità Karl J. Beloch (1854-1929).

Altri, -come il linguista tedesco Paul Kretschmer (1866-1956)-, vedono in Edipo una divinità infernale; altri ancora lo mettono in relazione con Seth, l’uccisore di Osiride nella mitologia egizia.

Ma sono state date pure interpretazioni di carattere etnologico o (etnologico-psicologico), -quali ad esempio quella dell’antropologo C. Levy-Strauss-, secondo le quali nel mito sarebbero espresse le “prove iniziatiche”, superando  le quali l’adolescente viene ammesso tra gli adulti della tribù. I momenti della storia rappresenterebbero anche le fasi del cammino dell’uomo dall’infanzia all’adolescenza all’età adulta, -e secondo tale interpretazione l’enigma della Sfinge sarebbe per così dire la sintesi e la chiave interpretativa di tutta la vicenda-. Ed in effetti questo mito, pur se con caratteristiche insolite, sembra appartenere alla numerosa categoria dei racconti leggendari e fiabeschi nei quali l’eroe, uccidendo il mostro che devasta una città, conquista la mano della principessa e il regno promessi a colui che sia in grado di far cessare l’orribile calamità: evidente allegoria di un percorso di crescita personale e psicologica, quando non spirituale, dell’individuo, il quale vincendo i propri impulsi distruttivi, violenti e sensuali, acquista coscienza di sé stesso e integra nel suo Io la sua parte, o matrice, femminile (la madre) -il discorso vale ovviamente, sia pure con qualche differenza, per entrambi i generi-.

Il medico e alchimista tedesco Michael Maier (1568-1622) nella sua opera “Atalanta fugiens” afferma che la vera soluzione dell’enigma della Sfinge è la “pietra filosofale”, ovvero l’oggetto principale della ricerca degli alchimisti,-che designa in senso fisico la sostanza in grado di trasmutare i metalli vili in oro, in senso mistico il processo di trasformazione spirituale dell’individuo verso la divinità-. Egli interpreta il quattro come i 4 elementi, il due come le linee diritta e curva (ovvero l’orizzonte e la volta celeste) e il tre come i 3 fondamentali principi ermetici -sale, mercurio e zolfo-, che a loro volta rimandano ai tre costituenti dell’uomo -corpo, anima e spirito-.

Naturalmente i vari significati ed interpretazioni possono coesistere, poiché quando si entra nel regno del mito e del simbolo si aprono molte strade all’intuizione personale e sono possibili molteplici “letture”, soggettive  -ma non arbitrarie, se fondate su validi elementi-.

CONTINUA NELLA TERZA PARTE

Note

1) ad Echidna nelle varie versioni del mito erano attribuiti come genitori diversi esseri divini o semidivini. Per alcuni sarebbe stata figlia di Crisàore (uscito dal collo di Medusa quando fu decapitata da Perseo) e dall’oceanina Callìroe, ma l’ipotesi appare poco probabile, perché in questo caso lei e i suoi figli sarebbero stati di poco precedenti alla generazione di Eracle; con più solido fondamento la maggior parte dei mitografi la dice figlia di Phorkys e di Ketos, due antiche divinità marine primordiali; altri ancora, come l’autore anonimo della “Biblioteca di Apollodoro” la dicono generata da Gea (la Terra”) e dal Tartaro. -in questo caso sarebbe stata sorella di Tifone, anch’egli nato dagli stessi genitori-. E’ evidente che nella mitologia greca, -e non solo-, gli esseri mostruosi incarnano sempre le forze del disordine, del caos, dell’oscurità, dell’irrazionalità e dell’incoscienza, in contrapposizione all’armonia cosmica e all’ordine razionale rappresentati dagli dei. Tuttavia talora questi ultimi se ne servono per punire coloro che abbiano trasgredito le norme umane e divine, segno che pure queste forze “oscure” conservano una loro funzione nell’economia dell’universo fisico, mentale e spirituale.

2) Echidna è anche il nome che è stato dato in tempi recenti ad un innocuo animaletto mammifero dell’ordine dei Monotremi, -e che quindi, come l’ornitorinco, si riproduce per mezzo di uova-, che vive in Australia ed ha l’aspetto simile a quello di un riccio con lungo musetto. Non si sa per quale ragione gli sia stato dato il nome dell’essere mitologico, con il quale non ha nulla in comune.

3) talora le erano attribuiti come figli anche Ladone, il drago a 50 teste guardiano dell’albero dai pomi d’oro del giardino delle Esperidi (sottratti da Eracle nel corso dell’XI fatica); il drago custode del “Vello d’oro”, ucciso da Giasone; l’avvoltoio che divorava incessantemente il fegato di Prometeo; la scrofa di Crommione, vinta da Teseo e la volpe di Teumesso, abbattuta da Anfitrione. Di tutti questi mostruosi animali però la discendenza da Echidna è incerta.

4) vasto trattato di mitologia -e una delle principali fonti per la conoscenza dei miti ellenici-, un tempo attribuito al grammatico Apollodoro, vissuto nel II sec. a. C.; l’epoca di composizione è incerta, ma quella più probabile è ritenuta il I sec. d. C.

5) Laio aveva dovuto andare in esilio dopo che suo zio Lico, re di Tebe, era stato cacciato da Anfione e Zeto, figli di Zeus e di Antiope, -moglie di Lico-, per i torti e le umiliazioni subite dalla loro madre.

6) sulla sorte di Crisippo si tramandano versioni discordanti: per alcuni si sarebbe ucciso per la vergogna; secondo altri mitografi fu invece assassinato dalla matrigna Ippodamia, che temeva in lui un rivale per i propri figli nella successione al trono di Pisa.

7) Odissea, XI, 271-280: Ulisse, disceso agli Inferi, tra le altre ombre, incontra anche quella di Epicasta -così Omero chiama Giocasta-, che gli accenna al suo triste destino; un accenno ad Edipo è presenta anche in due versi dell’Iliade (XXXIII, 679-680).

8) è la condizione propria un po’ di tutte le dee che incarnano la Madre Terra, la natura e la fecondità che sono nello stesso tempo madri, sorelle, spose e figlie degli dei maschili a loro associati.

9) si noti che in effetti l’etimologia ritenuta più probabile, -sebbene non certa-, del nome “Giocasta” (“‘Iokaste” in greco) è proprio “splendente di luce violetta” (da “ion” =violetta; e un termine connesso al verbo “kèkasmai” =brillare, sfavillare).

3,0 / 5
Grazie per aver votato!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *