LE AMAZZONI AD ATLANTIDE (prima parte)

Dopo Platone, l’autore antico che tratta nel modo più ampio del perduto continente di Atlantide è Diodoro Siculo, storico greco vissuto nel I secolo a. C., -noto con l’appellativo di “Siculo” perché nativo della citta di Agira in Sicilia-. Egli scrisse una “Biblioteca Storica” in 40 libri, dei quali solo 15 sono giunti fino a noi, più alcuni frammenti citati in altre opere e riassunti degli altri. Nei capitoli 53-61 del terzo libro Diodoro Siculo tratta di Atlantide e dei suoi abitanti, sui quali dà informazioni originali ed assai interessanti, che contrastano in parte con quelle esposte da Platone nel “Timeo” e nel “Crizia”, e che mette in relazione con le Amazzoni, il leggendario popolo di donne guerriere, la cui sede originaria sarebbe stata il deserto libico.

Egli afferma che gli Atlantidi abitavano nell’estremo occidente sul litorale dell’Oceano, in una terra molto fertile, che si distinguevano dai loro vicini per la pietà e l’ospitalità che li caratterizzava e che sostenevano che il loro paese fosse stato la culla degli dei. Aggiunge che il loro impero si estendeva su quasi tutta la terra, ma principalmente verso l’occidente e verso il settentrione.

Secondo Diodoro Siculo, il loro primo re non fu Poseidone, come Platone aveva sostenuto, bensì Urano, il quale aveva insegnato loro l’agricoltura e l’astronomia e li aveva resi un popolo civile. Dopo la sua morte, gli Atlantidi tributarono al loro benefattore onori divini e diedero il suo nome all’Universo, sia per la sua profonda conoscenza dei fenomeni astronomici e naturali in genere, sia per manifestare la loro gratitudine.

Veduta fantastica di Atlantide.
Veduta fantastica di Atlantide.

In effetti Diodoro Siculo, trattando dell’origine e della storia più antica dei vari popoli di cui egli ebbe qualche conoscenza, fa ampio ricorso alle narrazioni mitologiche, specie nei primi 5 libri della sua opera. Tuttavia, come si nota da quanto ho detto sopra e da quanto esporrò in seguito, egli spesso propone un’interpretazione “evemeristica” del mito e degli dei, vale a dire ispirata alla tesi propugnata per la prima volta dallo scrittore greco Evèmero di Messene (330-250 a. C. circa), secondo la quale gli dei non sarebbero altro che sovrani e benefattori poi divinizzati dalle popolazioni da essi beneficate. Ed infatti vediamo che per Diodoro Urano non sarebbe l’ipostasi del Cielo superplanetario, com’è nella tradizione ellenica, ma un saggio sovrano, il cui nome fu poi attribuito al Cielo dal popolo a lui grato e devoto.

Lo scrittore afferma che Urano ebbe 45 figli da varie donne, tra i quali 18 da una certa Tìtea: questi ultimi, dal nome della madre furono chiamati collettivamente “Titani” (dunque questi Titani sono sei in più di quelli contemplati dalla teogonia esiodea, che sono 12, dei quali 6 maschi e 6 femmine) (1). Titea per la sua saggezza e benevolenza dopo la morte fu elevata al rango di dea madre e il suo nome fu mutato in Gea. Urano ebbe anche parecchie figlie, delle quali le più famose e importanti furono Basilea e Rea -che qualcuno chiama anche Pandora-. Basilea -cioè “la Regina”-, la più grande e la più intelligente, allevò tutti i suoi fratelli e profigò loro le cure di una solertissima madre, per cui fu detta la “Grande Madre”. Allorché sua padre fu assunto tra gli dei, ella sul trono col consenso dei popoli e dei suoi fratelli. dapprima non volle unirsi in matrimonio con alcuno, ma poi, per assicurarsi una discendenza che potesse succederle nella regalità, si decise a sposare Iperione, quello dei fratelli che più amava. Da questo matrimonio nacquero due figli: Elio e Selene, entrambi ammirevoli per saggezza e grazia. Ma allora si accese una insana gelosia negli altri fratelli, i quali concepirono un disegno esecrabile, in seguito al quale sgozzarono Iperione e annegarono nel fiume Eridano suo figlio che era ancora un bambino. Quando l’atroce misfatto fu scoperto, Selene, che era teneramente legata al fratello, si precipitò dall’alto del palazzo reale. Basilea si mise a percorrere le rive dell’Eridano in cerca delle misere membra della sua creatura, ma a un certo punto si addormentò per la stanchezza.

La quadriga di Helios su un cratere de IV sec. a. C.
La quadriga di Helios su un cratere de IV sec. a. C.

Allora le apparve in sogno Elio che le disse di non disperarsi per la sorte dei figli, poiché lui e sua sorelle per decreto della divina provvidenza sarebbero divenuti esseri divini: quello che fino ad allora era stato chiamato il sacro fuoco del cielo sarebbe stato indicato col nome di Elio, mentre l’antico nome di Mene (la Luna) sarebbe stato mutato in Selene; aggiunse inoltre che i Titani colpevoli del crimine avrebbero ricevuto il meritato castigo.

Al suo risveglio ella raccontò al popolo il sogno che aveva avuto e comandò di tributare ai suoi figli onori divini, proibendo altresì di toccare i loro corpi. In seguito fu presa da una strana mania. afferrava i giocattoli dei figli, sonaglietti e tintinnabuli, e percorreva tutte le contrade del paese, danzando come in preda a un irrefrenabile delirio, causando sorpresa in chi la vedesse. Tutti avevano pietà di lei, qualcuno cercò di interromperla, di farla rinsavire, ma all’improvviso si scatenò un violento temporale, accompagnato da tuoni e fulmini; allora Basilea scomparve alla vista del popolo, il quale, rimasto per l’evento, collocò Elio e Selene tra gli astri. Si innalzarono pure altari per venerare la loro madre e furono offerti sacrifici, celebrati al suono di timpani e cimbali, imitando quanto ella aveva fatto prima di essere assunta in cielo.

In questa narrazione mitica abbiamo una evidente fusione tra la teogonia olimpica cantata da Esiodo, con quella orfica: come in quest’ultima infatti i Titani uccidono e smembrano il loro nipotino Dioniso-Zagreo, a causa dell’invidia e gelosia verso colui che era destinato a divenire il sovrano indiscusso dell’universo, così nel racconto di Diodoro i Titani, spinti dalle medesime motivazioni, eliminano Iperione e suo figlio Elio. Si noti che nella versione olimpica del mito Iperione è la primigenia incarnazione del Sole (così come gli altri Titani sono l’ incarnazione dei pianeti, nella prima generazione divina, sostituiti poi dagli dei della generazione olimpica), a cui subentra poi il figlio Elio.

La sorte di quest’ultimo poi ricorda molto quella di Fetonte, il figlio di Elio e di Climene, il quale per aver voluto guidare il carro del padre, pur non essendo in grado di condurre i cavalli, ed avendo così rischiato di inaridire completamente la terra, fu folgorato da Zeus e cadde nell’Eridano dove annegò.

A questi temi mitici si aggiunge quello della “Grande Madre” (ovvero l’anatolica Cibele, poi indentificata di solito con Rea), il cui culto estatico viene fatto risalire alla disperazione della madre per la perdita dei figli. La “Grande Madre” era altresì ,come avremo modo di vedere, la dea più venerata dalle Amazzoni.

In effetti Diodoro riporta in seguito una versione, da lui attribuita alla popolazione dei Frigi, che più si accosta a quella prevalente nel mondo ellenico, e che vede incrociarsi la storia di Cibele con quella di Attis, e nella quale l’autore innesta pure altre famose vicende mitiche, -come quella di Apollo e Marsia, e di Dioniso. Su di essa però non ci soffermeremo perché è pertinente al tema della nostra trattazione.

Dopo la morte di Iperione e la divinizzazione di Basilea, i figli di Urano si divisero il regno; di essi i più celebri furono Atlante e Cronos.

Atlante in un'immagine moderna.
Atlante in un’immagine moderna.

Le terre poste sul litorale toccarono in sorte ad Atlante, il quale diede il suo nome ai suoi sudditi e alla montagna più elevata del suo paese. Atlante eccelleva nell’astrologia e fu il primo a raffigurare il mondo come una sfera: da qui deriva la tradizione secondo la quale egli porterebbe la volta celeste sulle sue spalle (2).

Atlante ebbe parecchi figli, tra i quali si distinse in particolare Espero per la sua pietà, la sua bontà e la sua giustizia. Salito sulla vetta del monte Atlante per osservare gli astri, egli fu rapito da un vento impetuoso. Il popolo, toccato dalla sua strane sorte e memore delle sue eccelse virtù, decretò anche a lui onori divini e consacrò col suo nome il più brillante degli astri.

Dopo aver accennato al fatto che Atlante fu padre di sette figlie, le Atlantidi (3), che generarono figli illustri -come Hermes figlio di Maia-, Diodoro prosegue la sua narrazione parlando di Kronos, detto fratello di Atlante -e non già zio, come nella tradizione mitica prevalente nel mondo ellenico, e attestata da Esiodo, (ricordiamo però che il racconto di Diodoro riferisce, a suo dire, le tradizioni sostenute dagli Atlantidi)., il quale a differenza di Atlante si fece notare per la sua empietà ed avarizia. Egli sposò la sorella Rea e da lei ebbe il figlio Zeus, inseguito soprannominato “l’Olimpico”. Diodoro precisa però che esisteva un altro Zeus, fratello di Urano (4), il quale divenne re di Creta, che chiamò Idea, dal nome di sua moglie, e procreò 10 figli detti “Cureti” (5); peraltro nel mito ellenico i Cureti erano quegli esseri semidivini che custodirono il piccolo Zeus nella grotta dove la madre l’aveva nascosto per salvarlo da Crono, che avrebbe voluto divorarlo come aveva fatto con gli altri suoi figli, che temeva avrebbero potuto spodestarlo dal trono del mondo, e ne coprirono i vagiti con le loro danze frenetiche, accompagnate dal frastuono delle loro lance battute sugli scudi, affinché i vagiti stessi non fossero uditi dal famelico genitore del neonato, segnalandone la presenza.

Inoltre attraverso questa figura -cioè questo secondo Zeus (che sarebbe in realtà il primo) ignoto nelle altre fonti della mitologia greca-  Diodoro mette in relazione Atlantide con Creta: tuttavia poichè la configurazione delle terre e dei mari in quelle antichissime epoche doveva essere assai diversa da quella dell’età classica, e quello che sarebbe divenuto il Mediterraneo doveva essere molto ridotto rispetto alle dimensioni attuali, è probabile che quella che lo scrittore chiama Creta fosse una terra molto più estesa della Creta dei suoi ( e dei nostri) tempi (6).

Diodoro aggiunge ancora che Kronos regnò sulla Sicilia, sulla Libia e sull’Italia continentale -in pratica dunque su tutta l’attuale area mediterranea centrale-; questa affermazione si concilia con le tradizioni italiche che consideravano Saturno, identificato in Kronos, il mitico sovrano dell’Italia -con l’importante differenza però che nel mito italico questi appare come un sovrano saggio e benefico e non come uno spietato tiranno-.

Un tempio megalitico nell'isola di Gozo.
Un tempio megalitico nell’isola di Gozo.

Egli costruì in questi paesi molte fortezze e cinse di mura tutti i punti elevati: ecco perché -secondo Diodoro Siculo- si chiamano “Kronoi” i luoghi fortificati che ancora si vedevano in Sicilia e nei paesi occidentali.

Zeus, figlio di Kronos, condusse una vita ben diversa da quella del padre e si mostrò amabile e benevolo verso gli uomini; succedette a Kronos nel governo dell’impero, o perchè il padre glielo aveva ceduto volontariamente, oppure perché. -e questa ipotesi è assai più probabile- vi fu costretto dai sudditi, che si erano stancati della sua tirannia. Tuttavia in seguito Kronos cercò di recuperare il trono con l’aiuto dei Titani, ma fu sconfitto da Zeus. Quest’ultimo divenne così sovrano del modo intero (e qui è evidente che si fa confusione tra Zeus sovrano di Atlantide e Zeus padre e re degli dei e degli uomini; e che le vicende di Atlantide e quelle dell’umanità in generale sono in qualche modo identificate e sovrapposte), e si sforzò di rendere felici tutti i suoi sudditi.. Per questo dopo la sua morte, gli uomini gli diedero il nome di Zeus, perché aveva insegnato loro a vivere bene, lo elevarono al cielo e gli decretarono il titolo di dio e signore di tutto l’Universo.

Sul racconto di Diodoro Siculo che abbiamo testè riassunto si possono fare alcune osservazioni.

1) il nome Zeus sarebbe stato dato a questo figlio di Kronos dopo la sua morte e non si sa quindi quale sarebbe stato il nome originario (forse si dovrebbe tener conto dei diversi termini con i quali il sommo nume era designato nei vari dialetti ellenici -Zen, Zan, Deus, ecc., , che peraltro sono tutti varianti del medesimo tema fonetico e semantico);

2) da quanto afferma (Zeus così chiamato perché aveva insegnato agli uomini a vivere bene), lo storico mette in relazione “Zeus” con “zoe” (vita), “zoon” (essere vivente) e altri termini simili; in genere però gli studiosi di etimologia e di storia delle religioni fanno derivare il nome Zeus da una radice indoeuropea “div-“, che significa il cielo luminoso -e dalla quale derivano anche i termini latini “deus” e “dies” (giorno)-;

3) come abbiamo detto, in questa narrazione gli dei vengono considerati come uomini di eccezionali doti e valore, poi assurti al rango di entità superiori e oggetto di venerazione da parte dei comuni mortali.

Ma da questo racconto sugli inizi della storia di Atlantide possiamo trarre altre importanti informazioni:

1) che l’impero di Urano, il fondatore di Atlantide, si estendeva su tutte le terre che circondavano il Mediterraneo occidentale e centrale che con molta probabilità a quel tempo era ridotto ad alcuni grandi bacini e non era un unico vasto mare); anzi, tenendo conto di quanto dice sul primo Zeus, la stessa razza, o una affine, dominava pure l’area del Mediterraneo orientale, con centro nel luogo che diverrà poi l’isola di Creta;

2) che vi dovette essere una successione di diverse stirpi atlantidee, significate nelle varie generazioni dei figli e nipoti di Urano, nelle quali si possono identificare le “razze atlantidee” delle quali trattarono diffusamente filosofi, esoteristi e veggenti dell’800 e del 900, quali Helena Petrovna Blavatsky, Max Heindel, Rudolf Steiner, William Scott-Elliot, autore di una “Storia di Atlantide” -della quale avremo occasione di riparlare-, oltre ad Edgar Cayce, sulle cui profezie ci siamo già soffermati a proposito della piramide di Cheope e della Sfinge di Ghizah;

3) che i “luoghi elevati” dei quali parla Diodoro, rilevandone la presenza in particolare in Sicilia, fanno pensare a costruzioni del genere dei nuraghi, a templi e fortificazioni ciclopiche che si trovano nell’area mediterranea centrale ( Libia, Malta, Sardegna), ma anche più lontano -come la celeberrima Stonehenge e altre costruzioni megalitiche nelle isole britanniche e nella Francia nord-occidentale-.

La distribuzione dei monumenti preistorici megalitici in Europa e in Africa settentrionale.
La distribuzione dei monumenti preistorici megalitici in Europa e in Africa settentrionale.

Quindi si potrebbe ipotizzare che Iberi, Liguri, Libici, Sardi, Sicani e altre popolazioni minori dell’Africa settentrionale e dell’Europa occidentale fossero dei discendenti diretti degli Atlantidi.

Possiamo inoltre notare un parallelismo tra la narrazione di Diodoro e quella biblica (nel capitolo 10 della Genesi, dove si parla dei figli e dei nipoti di Noè e delle stirpi che da essi discesero dopo il Diluvio Universale), Infatti anche qui vi è una spartizione del mondo -tra Atlante al quale va la parte occidentale; Kronos a cui è assegnata la parte centrale; e Zeus “primo”, al quale tocca la parte orientale-. Infine dobbiamo sottolineare che Japhet, -il terzo figlio di Noè-, è stato talvolta identificato con Giàpeto, uno dei Titani figli di Urano: come da quello (Japhet) trassero origine, tramite suo figlio Iavan (nome semitico degli Ioni) le popolazioni elleniche, così da Giàpeto, attraverso i suoi figli Promèteo ed Epimèteo ed i nipoti Deucalione e Pirra -i sopravvissuti al diluvio nella versione greca- discendono i fondatori  delle stirpi elleniche, e indirettamente di altri popoli indoeuropei, ai quali la tradizione greca attribuisce quali capostipiti eroi dell’Ellade (come i Persiani,-discendenti di Perse, figlio di Perseo e Andromeda-; i Medi, -di cui fu progenitore Medo, figlio di Medea e di Egeo, re di Atene, -e quindi fratellastro di Teseo-; i Celti, -venuti dall’unione tra Eracle e la ninfa Cèltine-; ecc.-).

A questo legame tra Atlantidi e discendenti di Giàpeto-Japhet sembrerebbe ostare la collocazione temporale del diluvio universale, poiché le generazioni discese dal Titano- Noachide sono successive ad esso, mentre il popolo, o i popoli di Atlantide si svilupparono prima del cataclisma, che anzi sarebbe stato la causa della loro distruzione. Ma, come afferma il saggio sacerdote egizio di Sais che ammaestra Solone sulle antichissime vicende dell’umanità nel “Timeo” platonico, vi furono probabilmente diversi diluvi -così come si ebbero molte glaciazioni-, anche se i Greci, (e così pure gli Ebrei) ricordarono solo l’ultimo (Timeo, 22-23).

Diodoro Siculo inserisce nella storia di Atalntide quella delle Amazzoni, il leggendario popolo di donne guerriere; anzi, per la precisione, parlando delle terre occidentali, comincia proprio da loro e poi prosegue la sua narrazione con le vicende degli Atlantidi, con i quali si erano scontrate.

Secondo l’illustre storico dunque, in contrasto con la più diffusa tradizione, per la quale esse avevano le loro sedi in Cappadocia ed in Scizia, presso un fiume chiamato “Termodonte” (che significa “riscaldante”), le Amazzoni abitavano in una vasta isola del lago Tritonide, chiamata “Espera” (cioè “sera”, “vespro”), chiaramente allusiva alla sua posizione nella terra ove il Sole tramonta, descritta come grande, rigogliosa e piena di alberi da frutto. Il lago si stendeva all’estremo occidente, oltre la Libia, in prossimità dell’Oceano.

Copia romana della famosa "Amazzone" di Crèsila (scultore greco del V sec. a. C.).
Copia romana della famosa “Amazzone” di Crèsila (scultore greco del V sec. a. C.).

Le donne guerriere avevano sottomesso tutte le città dell’isola, ad eccezione di una, Menè, che era considerata sacra e presso la quale si trovavano ricchi giacimenti di pietre preziose.

Poi, sotto la guida della regina Myrina, invasero il regno di Atlantide e conquistarono la città di Kerne, diffondendovi il terrore, così che gli abitanti di Atlantide si arresero e strinsero un patto di alleanza con esse. Allora la regina accordò agli Atlantidi la propria amicizia e protezione e al posto della città distrutta ne costruì un’altra alla quale diede il proprio nome. Poiché i suoi nuovi alleati erano spesso attaccati dalle Gorgoni, -che in questo caso non sono le tre mostruose figlie di Forchi e di Keto (7), ma una tribù di donne guerriere, come la Amazzoni, e loro rivali-, Myrina fece loro guerra e le sconfisse, prendendo più di 3000 prigioniere.

Una notte però le prigioniere riuscirono a sopraffare le Amazzoni che facevano loro la guardia e ne uccisero moltissime; ma furono ben presto circondate dalle altre Amazzoni e soccombettero dopo una vigorosa resistenza. Myrina fece ardere su tre roghi i corpi delle sue compagne perite nello scontro ed indi vi innalzò sopra tre enormi tumuli di terra, che al dire di Diodoro ancora ai suoi tempi erano mostrati come le tombe delle Amazzoni. In un’età successiva, le Gorgoni, che si erano riprese dalla sconfitta, furono attaccate da Perseo quando Medusa era loro regina.

In seguito, la regina Myrina, dopo aver percorso con le sue compagne una grande parte della Libia, giunse in Egitto, dove strinse amicizia con Horus, figlio di Iside, che era in quel tempo re del paese.

Il percorso delle Amazzoni dalla regione di Atlantide e del lago Tritonide all'Anatolia.
Il percorso delle Amazzoni dalla regione di Atlantide e del lago Tritonide all’Anatolia.

Dall’Egitto passò poi in Arabia e dopo aver sbaragliato gli Arabi, sottomise la Siria; così che gli abitanti della Cilicia, per evitare di essere a loro volta sconfitti da quelle donne invincibili, preferirono consegnarsi spontaneamente in loro potere. Dopo aver mosso guerra anche alle popolazioni residenti presso il monte Tauro, famose per la lo loro forza, le Amazzoni entrarono nella Grande Frigia e alla fine terminarono la loro lunga spedizione sulle rive del fiume Caicos. In quel paese Myrina fondò parecchie città delle quali una porta il suo nome; ad altre città diede il nome delle condottiere delle sue armate -come Cyme, Pìtana e Priene. Sottomise anche alcune isole e in una di esse, Lesbo, fondò una città che dedicò alla sorella, dandole il nome di lei, Mitilene.

CONTINUA NELLA SECONDA PARTE

Note

1) la vera etimologia del nome Titani è oscura. Secondo quanto afferma Esidodo nella “Teogonia” (207-210), Urano avrebbe messo ai suoi figli il nome TITANES, perché “volevano andare molto avanti” (“titainontes” da “titaino, -ein” = estendere, percorrere) e perché alla fine sarebbero stati colpiti dalla punizione per i loro misfatti (“tisis”). Studiosi moderni ipotizzano che TITAN potesse il nome di un antico dio solare dell’Asia Minore (si confronti il dio ittita Teshup); oppure che derivi dal pelasgico “tita” (splendore, luminosità).

2) ricordiamo che il nome -ATLAS in greco- deriva dal participio aoristo del verbo TLENAI (=sopportare con grande fatica) -TLAS- con l’alfa privativo, quindi “colui che non ha provato una grande fatica” -quando ovviamente si è sobbarcato il peso della volta celeste-.; per altri l’alfa che precede il participio aoristo non sarebbe privativa, ma intensiva (e quindi “che ha fatto un immane sforzo”).

3) le Atlantidi, meglio conosciute con il nome di Pleiadi, -dal nome della madre, Pleione, (ma forse anche perché identificate con colombe selvatiche -“pleiades”)-, erano: Maia, Elettra, Taigete, Asterope, Merope, Alcione e Celeno. Tutte furono protagoniste di vari miti.

4) i loro genitori non sono citati espressamente dallo scrittore, ma da quanto afferma si può inferire che fossero Oceano e Teti. pure in questo n caso avremmo un’inversione del mito esiodeo, poiché Urano da padre diventa figlio di Oceano.

5) il termine “Cureti” viene in genere fatto derivare da “kouros”=fanciullo, giovinetto. In genere sono considerati in numero di 3 o 4, ma alcuni autori danno un numero superiore (ad esempio per il geografo Strabone erano 7). Essi finirono per confondersi con altre figure semidivine al seguito della “Grande Madre” (Corobanti, Cabiri, Dattili Idei).

6) ricordiamo che tra le numerose collocazioni proposte nel corso dei secoli come sede di Atlantide ebbe, -ed ha tuttora- un certo seguito quella che identifica il misterioso continente nell’isola di Creta -tra i fautori di tale ipotesi citiamo l’esploratore E. S. Balch 1856-1922), lo storico K. T. Frost (177-1914), il filologo Walter Leaf (1852-1927) e diversi altri).

7) peraltro tutte le tradizioni mitiche concordano nel ritenere la sede delle tre Gorgoni -nome che significa “terribili”-, delle quali la più famosa era Medusa, decapitata da Perseo, nell’estremo occidente.

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