L’ASINO E IL BUE NEL PRESEPE -terza parte- (Api e Mnevis)

Dopo che si fu trasferito nella “Valle del Pino”, ed ebbe posto il suo cuore sulla sommità dell’albero, Bata si costruì una casa ove poteva vivere con una certa sicurezza. Un giorno gli apparvero le  divinità dell'”Enneade”, e, dopo averlo salutato con una formula (“Toro dell’Enneade”) che è un altro indizio della natura in origine divina del giovane contadino, gli dissero che suo fratello Anubi aveva punito con la morte la cattiva moglie per il suo esecrabile comportamento. Ra poi comandò a Khnum, il dio che aveva modellato gli uomini con la creta, di creare una degna compagna per Bata. Una volta che fu modellata e gli fu infusa la vita, vennero le sette Hathor, le dee del destino che le diedero il loro doni.

L'Enneade di Heliopolis.
L’Enneade di Heliopolis.

Bata aveva messo in guardia la sua compagna dalle insidie del Mare (che appare qui come un’entità malvagia), contro la quale egli non avrebbe potuto difenderla. E infatti un giorno, mentre Bata era lontano per procacciare il cibo, il Mare agitato la inseguì e riuscì a strapparle una treccia dei suoi splendidi capelli, che poi trasportò in Egitto depositandola nel luogo ove i lavandai del faraone svolgevano il loro compito. Essi non la videro, ma essa era così impregnata di unguenti aromatici che anche i vestiti del sovrano dopo essere stati lavati in quell’acqua profumavano.

Il faraone si chiedeva il perché di questo fatto inspiegabile e, dopo aver fatto delle accurate ricerche, si rinvenne la treccia, che fu recata al faraone. Questi decise di inviare dei messaggeri in molti paesi per trovare la donna alla quale la treccia era appartenuta e che doveva essere una figlia di Ra. Quelli giunti alla “Valle del Pino” furono cacciati da Bata [in questo punto però il testo appare piuttosto lacunoso e contraddittorio]; ma ne furono mandati altri, insieme ai quali era una donna con ricchi ornamenti per mezzo dei quali convinse la compagna di Bata ad andare con loro in Egitto, ove ella divenne la favorita del faraone. Non solo, ma tradendo la fiducia del suo benefattore, consigliò di far tagliare il pino nel quale era il cuore di Bata (ovvero le sue energie vitali e spirituali), così che egli ne sarebbe morto.

Fu così che una spedizione inviata dal faraone abbattè il pino che racchiudeva il cuore di Bata, il quale per questo cadde morto. In quel momento accadde allora che un boccale di birra che Anubi teneva tra le mani, cominciò a ribollire  e poi traboccò, così come il fratello gli aveva predetto in caso di sua disgrazia. Visto il prodigio capì che Bata aveva bisogno di lui e partì alla volta della Valle del Pino. Arrivato a destinazione, iniziò a cercare il cuore di suo fratello che era celato tra le radici del pino abbattuto; per più di tre anni si diede da fare per trovare la preziosa reliquia, ma invano. Ma quando ormai aveva perso le speranze e meditava di tornare in patria, finalmente trovò un chicco [o una pigna in altre interpretazioni]: era quanto rimaneva del cuore di Bata. Egli lo prese e lo mise in una coppa d’acqua, così come gli aveva detto il fratello. Durante la notte il chicco (o grumo) assorbì tutta l’acqua e tornò a palpitare, di modo che il corpo di Bata riprese vita, mentre il cuore riprendeva il posto che aveva avuto nel suo petto.

Ma dopo la resurrezione, Bata dichiarò che si sarebbe trasformato in un possente toro, e in questa forma egli l’avrebbe condotto dal faraone, aggiungendo “Io sarò un grande prodigio e si farà festa per me su tutta la terra”. Ed in effetti la metamorfosi avvenne e una volta mutatosi in toro Bata prese sul suo dorso il fratello maggiore e si diresse verso l’Egitto. Quivi giunto, si presentò al faraone, il quale non appena vide un animale tanto bello, volle acquistarlo da Anubi, il quale lo cedette al sovrano in cambio di una generosa retribuzione.

Giardino egiziano.
Giardino egiziano.

Ma un giorno si imbattè nella sua ex-compagna che l’aveva tradito, divenuta favorita del faraone, e le palesò chi egli fosse davvero. Allora costei chiese al suo signore di potersi nutrire del fegato del toro per trarne vigore. Il re acconsentì a malincuore: e così durante una solenne cerimonia il toro venne sacrificato. Ma quando fu colpito sulla cervice, Bata fece cadere due gocce del suo sangue accanto agli stipiti della porta di accesso del tempio. Da queste due gocce nacquero due piantine di persea (1) che crebbero in breve tempo e divennero tempo due grandi alberi. Si credette pertanto che essi fossero un dono degli dei e il faraone se ne rallegrò vivamente.

Un giorno la favorita andò a sedersi sotto uno degli alberi e allora Bata, -che pur in quella forma vegetale poteva in qualche modo esprimersi-, le disse che ancora viveva e che avrebbe trovato il modo di punirla per il male che gli aveva fatto. Ancora una volta la regina riuscì a convincere il faraone, dopo averlo opportunamente inebriato, a far tagliare i due alberi di persea per farne mobili eleganti. Ma, mentre alla presenza della donna gli operai stavano eseguendo il compito loro assegnato, un frammento di legno si staccò dal tronco ed entrò nella bocca della regina che lo inghiottì.

In quel modo insolito la regina concepì e a suo tempo si sgravò di un pargoletto maschio, che altri non era se non Bata. Il faraone si rallegrò alquanto del lieto evento e nominò “Jrypat” (principe ereditario) colui che credeva suo figlio. Così quando il sovrano volò in cielo, egli gli succedette sul trono e fatto chiamare a corte il suo fratello maggiore Anubi lo designò a sua volta quale principe ereditario.

Come abbiamo detto sopra, numerosi sono i motivi fiabistici presenti in questo scritto destinati a riapparire nella narrativa posteriore, specie quella popolare trasmessa per via orale, in tutta l’area europea-asiatica-nordafricana: l’anima (simboleggiata in questo caso dal cuore) celata o racchiusa in una pianta o in un oggetto; una cosa lasciata a un famigliare che con il cambiamento del suo stato rivela le difficoltà o la morte del protagonista; le “fate” (in questo caso le sette “Hathor”) che fissano il destino e offrono i loro doni; la serie di metamorfosi animali e vegetali attraverso le quali il protagonista ritorna al pristino stato (2).

La venerazione per i tori sacri caratterizzò tutta la civiltà egiziana fin da quando Menes,-o Narmer-, il faraone semi-leggendario che unificò nella sua persona le corone dell’Alto e del Basso Egitto, vissuto all’incirca tra il 3150 e il 3125 a. C., dando inizio alla prima delle dinastie che governarono il paese (3), -la prima delle due dinastie “tinite” (cosi dette dalla città di Thinis, presso Abido, donde si supponeva che questi sovrani fossero originari)-, fino al IV secolo d. C., allorché se hanno le ultime testimonianze. A Menes si deve la fondazione di Menfi e l’istituzione del culto di Api, a cui in seguito si aggiunsero quelli degli altri dei viventi bovini, nei quali pensava si manifestasse il “ba” del dio che incarnavano (4).

Tale culto, si mantenne pressoché immutato, pur se con alcune innovazioni e cambiamenti, durante tutto questo lungo periodo, nonostante le turbinose vicende politiche e militari dell’Egitto, e non venne meno né sotto la dominazione degli Hyksos (che comunque, come abbiamo detto, si assimilarono agli Egizi) né durante la cosiddetta “eresia” introdotta dal faraone Akhenaton, quando i tori sacri furono considerati una manifestazione terrena del dio Aton.

Un grave sfregio alla sacralità del bue Api e alle credenze religiose egiziane venne fatto al tempo della prima occupazione persiana, allorché dopo la battaglia di Pelusio Cambise I conquistò l’Egitto. Come narra Erodoto nelle sua “Storie”, il sovrano persiano, -che nella tradizione sia egiziana sia greca appare come un individuo violento, prepotente e arrogante-, dopo aver invaso l’Egitto, aveva dato inizio a una campagna militare contro gli Etiopi, che si rivelò però disastrosa. Tornato a Menfi, trovò gli abitanti che esultavano e facevano festa per un’apparizione di Api (5); ritenendo che queste manifestazioni di giubilo fossero dovute alla sconfitta da lui subita.

Informato della venerazione che gli Egiziani tributavano ad Api, chiese che fosse condotto; ma una volta che fu alla sua presenza, estrasse un pugnale cercò di colpire l’animale al ventre, ma sbagliò il bersaglio e ferì Api alla coscia. Non solo, ma punì i sacerdoti e comandò che chiunque fosse sorpreso a celebrare la festa fosse condannato a morte. Quanto al povero Api, ferito alla coscia languiva ed emetteva pietosi muggiti giacendo nel santuario. Quando in conseguenza della violenza subìta morì, i sacerdoti lo seppellirono all’insaputa di Cambise (Erodoto, Storie, III, 27-29).buchis

Nell’età tolemaica e poi in quella romana invece la venerazione per queste divinità bovine, e in generale per gli animali sacri, non solo non diminuì, ma fu protetta e ricevette un impulso da parte dei sovrani. Tolomeo V Epìfane (210-181 a. C.; re dal 205) dedicò una stele a Buchis, in cui egli appare nell’atto di rendere omaggio al dio-toro; Cleopatra VII Filopàtore, -come abbiamo già ricordato nella parte precedente-, nel 51 a. C. si recò ad onorare un nuovo Buchis che si apprestava ad insediarsi nel tempio di Hermonthis sua nuova dimora.

Questo atteggiamento benevolo continuò sotto il dominio romano, quando gli imperatori mostrarono grande rispetto e considerazione per la religione egizia. Già abbiamo detto che  C. Giulio Cesare Germanico (15 a. C.- 19 d. C.), il figliastro di Tiberio e candidato ad essere imperatore dopo il patrigno, se la morte prematura non glielo avesse impedito, e Tito, prima di assurgere al trono, fecero visita ad Api: il primo ne ebbe un responso funesto che presagiva la sua prossima dipartita (come riferisce Plinio il Vecchio, Nat. Hist., VIII, 185; notizia che venne poi confermata da Ammiano Marcellino, Storie, XXII, 14, 7); il secondo assistette nel 69 all’insediamento di un nuovo Api secondo quanto afferma Svetonio (Vitae Duodecim Caesarum, Titus, V, 3).

L’ultima testimonianza sul culto dei tori sacri in Egitto si ha nella “Soria dei Romani” di Ammiano Marcellino, l’ultimo grande storico di lingua latina dell’età imperiale romana, il quale nel libro XXII (cap. 14) in una breve digressione sull’Egitto parla di essi. La testimonianza è riportata dall’autore nell’anno 362, al tempo dell’imperatore Flavio Claudio Giuliano (331-363): il sovrano, trovandosi ad Antiochia, in cui stava preparando la campagna militare contro i Persiani, -nel corso della quale, nonostante il suo valore, trovò poi la morte-, si recò al santuario di Zeus sul monte Casio (6).

"Follis" di Giuliano con l'effigie del bue Api coniato nella zecca di Antiochia.
“Follis” di Giuliano con l’effigie del bue Api coniato nella zecca di Antiochia.

Qui ricevette la visita del prefetto d’Egitto, che gli comunicò che dopo una lunga e diligente ricerca s’era infine scoperto un nuovo bue Api, il che era ritenuto dagli Egiziani presagio prosperità e abbondanza (7). Fu questo probabilmente l’ultimo della lunga serie di questi animali sacri, poiché con la messa al bando di tutte le religioni “pagane” decretata da Teodosio nel 391, il culto di Api e degli altri buoi sacri cessò.

Peraltro anche se non risulta che Giuliano, detto poi con disprezzo “l’Apostata” dai cristiani, sia stato in Egitto a rendere omaggio ad Api, egli mostrò per lui devozione, come si deduce dal fatto che fece coniare diverse monete che recavano sul verso l’effigie del celebre bue.

Prima di volgere la nostra attenzione al secondo dei protagonisti di questa trattazione, -l’Asinello-, dobbiamo ricordare che secondo alcuni dal nome di Mnevis, -il bue sacro eliopolitano-, potrebbe derivare, -o comunque essere in relazione con tale termine-, quello di Minosse, il famoso re di Creta, figlio di Zeus e di Europa. Questa identificazione, o relazione, è dettata sia dalla vaga somiglianza dei due nomi, sia dall’importante funzione che il toro riveste nella vita e nell’opera del sovrano cretese, e della civiltà minoica in genere.

Quanto al primo punto, occorre rilevare che finora nessuno è riuscito a proporre un’etimologia convincente di tale antroponimo: vi sono studiosi che pretendono di aver trovato il nome Minosse in un testo in “lineare A” minoico (8), nella forma MWI-NU RO-JA, che dovrebbe significare “Minosse (è) il re” (che in effetti presenta qualche somiglianza sa con “Mnevis” sia con “Merver”). Altri lo considerano una variante di Menes, -il primo faraone dell’Egitto unificato, che abbiamo sopra ricordato-; oppure di Menashè (Manasse), il maggiore dei due figli (l’altro era Efraim) di Giuseppe e dell’egiziana Asenath, che era figlia di Puti-phar, sacerdote di On, la città più nota con il nome ellenico di “Heliopolis”, dove venivano adorati Osiride e il bue Mnevis-, ed eponimo di una delle dodici tribù di Israele (Genesi, XLI, 50-52); non manca chi propone collegamenti con Misraim, uno dei figli di Cam, eponimo dell’Egitto (o per la precisione degli “Egitti”, poiché Misraim è di genere duale, facendo riferimento all’Alto e al Basso Egitto); con Manes, mitico fondatore delle prime dinastie reali della Lidia e della Frigia (9); e chi lo riconnette a Mannus, il primo uomo della mitologia germanica, figlio di Tuistione, -essere primordiale androgino- e progenitore dei tre rami principali delle tribù germaniche, secondo quanto riferisce lo storico romano Tacito (De Origine et Situ Germanorum,2) (10), oppure a Manu, il protoantropo della mitologia indù (11) o al termine sanscrito “muni” = saggio, maestro (12). Ma in effetti si tratta di identificazioni e relazioni alquanto dubbie e improbabili.

Quanto al secondo punto, l’importanza del toro nel simbolismo della civiltà minoica potrebbe senza dubbio autorizzare un legame con l’Egitto, dove pure questo animale, -così come la mucca-, rivestì una parte rilevante nello sviluppo della religione. Ma altrettanto si potrebbe dire per l’area siro-palestinese: anche nella religione fenicia e aramaica il toro assurse spesso a simbolo della divinità, e in particolare del sommo dio del Cielo, -sia in senso metafisico, El-, sia in senso atmosferico – Baal, nome peraltro che indica in forma generica il “Signore” supremo, ed è quasi sempre accompagnato da altri appellativi o determinativi-.

Ed infatti vediamo che la madre di Minosse, Europa, -nome significante “dal largo viso” (“eurìs” + “ops”), nel quale è certamente da ravvisare una divinità, o un’ipostasi lunare (e sappiamo bene quanto il toro sia legato, soprattutto a causa delle grandi corna, che in alcune specie assumono l’aspetto di un grande crescente lunare, all’argenteo astro del Cielo)-, era figlia di Agenore, re di Tiro, e proveniva quindi dalla Fenicia. Ella fu rapita da Zeus in forma di candido toro: in tale incarnazione assunta dal sommo nume ellenico è facile vedere una trasposizione del Baal fenicio, che, come abbiano detto, era associato al toro (così come lo era Jahwè, il dio israelitico); ma volendo vedere una corrispondenza tra Mnevis (o Merver) e Minos, si potrebbe pensare che il toro rapitore di Europa derivi dal dio bovino egiziano.

Ed anche il Minotauro, il mostruoso figlio di Pasifae, -nome che significa “tutta splendente”, ovvero, in un’altra interpretazione, “che splende per tutti”, alludendo senza alcun dubbio alla natura solare di questa figura mitica-, sembra non essere altro che una versione degradata e decaduta a mostro famelico e feroce, delle divinità celeste-solare taurina di Creta, trasformazione operata ovviamente dai popoli rivali di quello cretese, che videro nel dio supremo dei nemici un’entità negativa, che esprimeva e sintetizzava sia la pesante egemonia politico-militare dei Cretesi, sia la preoccupazione e l’inquietudine che essa suscitava. Tra l’altro l’aspetto attribuito al figlio di Pasifae, -il cui vero nome sarebbe stato Asterio, o Asterione, nome che ripeteva quello del re di Creta che aveva sposato Europa e adottato i figli che ella aveva avuto da Zeus (si veda “Bibilioteca di Apollodoro”, III,1)-, di uomo con la testa di toro, rimembra le analoghe raffigurazioni egizie di Mnevis che a volte sostituivano quelle interamente bovine.

Nelle interpretazioni mistico-simboliche e psicanalitiche il mostro di Creta che abita nel Labirinto incarna gli aspetti tenebrosi, gli impulsi aggressivi e violenti, le paure ancestrali e irrazionali che albergano nei tortuosi meandri della psiche umana, che la coscienza (Teseo) solo con l’aiuto dell’intelletto (Arianna e il filo da lei dato all’eroe ateniese) possono illuminare e sconfiggere.

Ma anche il Labirinto è un elemento che accomuna Creta all’Egitto: infatti, oltre a quello di Creta, il più celebre, esistevano nell’antichità altri labirinti (13), dei quali senza dubbio il più vasto e degno di ammirazione era quello che sorgeva in Egitto, nei pressi del lago Meride. Di questo labirinto, al quale si sarebbe ispirato lo stesso Dedalo per edificare il labirinto di Creta, parlano con ammirata meraviglia diversi autori antichi, -quali Erodoto (Storie, II, 148-149), Strabone (Geografia, XVII, 1, 37-38), Diodoro Siculo (Biblioteca Storica, I, 66) e Plinio il Vecchio (Nat. Historia, XXXVI, 19)-: secondo Erodoto, era costituito da dodici cortili e ben 3000 stanze, delle quali 1500 a livello del suolo e 1500 sotterranee, in cui si trovavano le tombe dei dodici re che secondo lo storico greco avevano edificato il monumento e quelle dei coccodrilli sacri (questo rettile era sacro al dio Sòbek, il quale era raffigurato con testa di coccodrillo godeva particolare venerazione nell’area intorno al lago Meride).

Il labirinto egiziano, -o meglio quanto ne rimaneva- fu riscoperto nel 1888 dall’archeologo inglese W. M. Flinders Petrie (1853-1942), non lungi dalla piramide di Hawara, fatta costruire dal faraone Amenemhet III (regnante dal 1842 al 1797 a. C.), il quale si suppone sia stato anche il vero costruttore del Labirinto, che per la critica moderna sarebbe il suo tempio funerario.

E veniamo ora a trattare dell’altro protagonista della nostra ricerca, l’Asino. Questo animale, a differenza dei bovini e degli ovini, ai quali nelle antiche civiltà del Vicino Oriente è sempre stato attribuito un simbolismo positivo e sono stato legati alle figure divine più importanti e benefiche (il che peraltro non ha impedito che fossero le vittime più frequenti dei sacrifici religiosi), nonostante la sua utilità e mansuetudine è stato spesso vittima di ingiuste prevenzioni e di falsi luoghi comuni, che in parte perdurano tuttora.

Per spiegare almeno in parte tale considerazione negativa, occorre sempre rifarsi all’antico Egitto: qui infatti l’Asino era per eccellenza l’animale di Seth, il dio che nel mito osiriaco e nella religione di Iside, aveva la parte del cattivo fratello di Osiride, che ne provocava la morte ed era poi il nemico anche del nipote Horo. Queste connotazioni negative si accentuarono vieppiù nella Bassa Epoca (dal 1000 a. C.) e poi nell’età tolemaica e romana, quando la religione egizia in forme più o meno ellenizzate si diffuse in tutto l’Impero Romano.

Tuttavia nelle fasi più remote della civiltà egiziana codesta divinità non aveva nulla di nefasto; Seth era anzi uno degli dei principali del pantheon dell’Alto Egitto: quale dio del deserto, dell’arsura e degli “stranieri” (ossia di quanto era percepito come esterno e ostile al “cosmos” ordinato rappresentato dalla terra d’Egitto, e in particolare dalla “Kemet”, la fertile “terra nera” fecondata dalle acque del Nilo, a cui si contrapponeva la sterile “terra rossa” del deserto circostante) incarnava sì l’idea del “tremendum” che fa parte ed è un aspetto dell’idea del divino (come il Baal semitico, il Kronos e l’Ares greci e lo Shiva indù), ma in una funzione positiva e costruttiva, quella di colui che combatte forze oscure e perniciose, in collaborazione con gli altri dei nel corso della grande sinfonia cosmica. Infatti aveva un’importante compito in qualità di aiutante di Ra, il quale nel suo quotidiano percorso alla guida della barca solare doveva immancabilmente scontarsi con il serpente Apep (Apophis).

Nel libro di Am-Duat (“Chi è nella Duat”), come pure nel “Libro delle Porte” e nel “Libro delle Caverne”-, viene descritta la “Duat”, il regno sotterraneo dell’oscurità e delle tenebre che Ra deve attraversare durante le dodici ore notturne, oltrepassando in ciascuna di esse una delle porte che dividono i vari settori di questo triste regno. Le dodici stazioni sono irte di ostacoli e di pericoli (laghi di sangue ribollente, foreste di coltelli, rettili spaventosi, ecc.), tra i quali il più temibile è il grande serpente Apep (o Apopi, o Apophis), che alla metà del cammino di Ra, intorno alla settima ora, la più buia e terribile, cerca di divorare il disco solare, evento che, se consumato, porterebbe alla fine della vita sulla terra, privata della sua indispensabile fonte di luce.

Seth scaccia il serpente Apophis dalla barca di Ra.
Seth scaccia il serpente Apophis dalla barca di Ra.

In questa drammatica circostanza Ra viene affiancato da Seth, il quale con la sua lancia riesce ad allontanare il vorace rettile, così che Ra può proseguire il suo periglioso cammino, durante il quale dovrà superare altre prove impegnative. Alla fine il Sole entra ella code di un enorme serpente e ne esce poi dalla bocca, rinascendo nella forma di Khepri, lo scarabeo che incarna il Sole che sorge ala mattino: egli in questa forma può così riemergere dalla Duat per tornare a donare la sua luce vivificante al mondo terreno.

Seth divenne il dio protettore della monarchia al tempo degli Hyksos, -dai quali venne chiamato anche Sutek-, assumendo alcuni tratti del semitico Baal, con il quale fu talora identificato, in quanto dio del tuono e della tempesta. Dal fatto che fosse stato scelto come nume tutelare dagli stranieri Hyksos, -che dominarono il Basso e Medio Egitto per circa due secoli (dal 1730 al 1530 a. C.) (14), e furono poi messi in luce negativa dalle dinastie successive-, deriva con tutta probabilità la cattiva fama che cominciò ad essere associata al suo nome e alla sua figura.

Tuttavia continuò ad essere adorato anche nell’epoca dei Ramessidi, ed anzi questi ultimi mostrarono per lui particolare venerazione, forse perché il suo carattere di distruttore dei nemici si accordava con la loro politica di potenza. Ricordiamo ad esempio che Ramses II celebrò Seth nella cosiddetta “stele dei 400 anni”, conservata al Museo Egizio del Cairo, cosiddetta perché commemora i 400 anni della decadenza degli Hyksos dal trono d’Egitto (ma non dalla loro totale espulsione se si accetta l’identificazione di questi ultimi, intesi come popolazione, negli antenati degli Ebrei); inoltre restaurò e ampliò i due grandi templi nella città di Seper-Meru, dedicati uno a Seth e l’altro alla sua sorella e consorte Nephtys. Altri importanti temoli a lui consacrati si trovano ad Ombos, ad Oxyrinchos, nell’oasi del Fayyum -intorno al lago Meride di cui abbiamo parlato sopra, nonché ad Avaris, l’antica capitale degli Hyksos.

Solo in età molto tarda a Seth fu attribuito un carattere demoniaco, a causa della parte malefica da lui rivestita nel mito di Osiride e di Iside, che nel corso dei secoli divenne sempre più importante, tanto da eclissare la maggior parte degli altri miti e concezioni teologiche, che o caddero nell’oblio o furono integrati nella narrazione  e nella teologia osiriache.

CONTINUA NELLA QUARTA PARTE

Note

1) sull’albero della Persea si veda la nota n. 8 della seconda parte.

2) per questo aspetto la seconda parte della “Storia dei Due Fratelli” presenta singolari analogie con “I Tre Cedri” di G. B. Basile (Pentamerone, V, 9) e “L’amore delle tre melarance” di Carlo Gozzi,-sebbene nell’insieme la trama di codeste storie sia diversa-, che sono le più note versioni letterarie di una fiaba che con innumerevoli varianti è diffusa in tutto il territorio italiano, ma che, come gran parte delle fiabe conosciute nella tradizione popolare europea, ha chiari precedenti in racconti e miti noti in diversi testi del Vicino Oriente antico, e da essi deriva. In questa fiaba la fanciulla uscita da un frutto viene uccisa da un fantesca gelosa, ma da una sua goccia di sangue nasce una colomba; uccisa anche la colomba, dal suo sangue un albero (nel Pentamerone tre), da un frutto del quale esce di nuovo la donzella che può riunirsi al principe.

3) Menes è il nome del primo faraone nell’opera storico-annalistica di Manetone, il sacerdote ed erudito di età tolemaica al quale si deve la tradizionale suddivisione della storia dell’Egitto in trenta dinastie fino al 343 a. C., ovvero all’inizio della seconda dominazione persiana, alla quale pochi anni dopo succedette quella di Alessandro Magno. Nell’età contemporanea lo si è identificato Narmer, citato ed effigiato in una lastra di siltite rinvenuta nel 1898 a Hieracompolis nell’Alto Egitto.

4) il “ba” si suole fare corrispondere all'”anima” (e alla “nefesh” della concezione ebraica e semitica in genere). Com’è noto, l’antropologia egizia contemplava sei costituenti sottili e invisibile dell’uomo sui quali si rimanda alla nota n. 7 dell’articolo su “La pietra Ben-Ben e la Fenice” del 15 dicembre 2013.

5) in effetti lo storico dice: “Giunto Cambise a Menfi, apparve agli Egiziani il bue Api, che i Greci chiamano Epafo”. Sembrerebbe dunque trattarsi di una apparizione improvvisa e fortuita, il che risulta strano, dato che il bue, -da tutte le notizie rimaste su di lui-, si trovava sempre nel tempio, o nel cortile dove poteva passeggiare alla vista dei devoti e dei curiosi, o usciva in processione in certe ricorrenze.

6) di questo santuario abbiamo parlato nella seconda parte dell’articolo “Le Amazzoni, guerriere della Luna”, pubblicato il 6 settembre 2015.

7) da qui Ammiano Marcellino inizia una digressione sull’Egitto che occupa il rimanete del libro XXII. Dalla descrizione dell’autore, si comprende come già nel IV secolo l’opera umana avesse turbato quello che oggi si direbbe l'”ecosistema” del Nilo: infatti lo storico afferma che al suo tempo gli ippopotami  a causa dell’intensa caccia a cui erano stati sottoposti non si trovavano più in Egitto.

8) il “lineare A” e il “lineare B” sono due sistemi pittografici di scrittura, -diversi, per quanto con alcune affinità e segni comuni-, in cui sono stati redatti diversi testi, -in genere su tavolette e oggetti-, rinvenuti nell’isola di Creta. Mentre il “lineare B”, è stato decifrato, -sebbene con qualche incertezza- e riconosciuto come una forma di dialetto greco arcaico; il “lineare A” è stato finora scarsamente compreso, né si è potuto stabilire quale sia la lingua per cui fu impiegato.

9) di Manes parlano Erodoto (Storie, I, 94 e IV, 45), Dionisio di Alicarnasso (Antichità Romane, I, 27) e altri autori greci, secondo i quali egli era figlio di Zeus e di Gaia; da Calliroe, figlio di Oceano, ebbe Cotys, che fu a sua volta padre di Asia, -che avrebbe dato il nome alla parte del mondo che si chiama tuttora in tal modo- e Atys, da cui discese la prima dinastia regale della Lidia, gli Atiadi.

10) Tuistione corrisponde probabilmente a Ymir, il gigante antropomorfo primordiale della complessa cosmogonia narrata nell'”Edda poetica” (una raccolta di 29 canti che trattano della mitologia germanica, nota da un manoscritto risalente al XIII secolo, il “Codex Regius”), dalle cui braccia trasse origine la prima coppia umana. Mannus peraltro si potrebbe identificare in Buri, che non nacque da Ymir, ma uscì da un blocco di ghiaccio che la mucca primordiale Audhumbla (e dunque anche qui troviamo una presenza bovina…) aveva sciolto leccandolo.

11) nella cosmogonia indù Manu è il primo essere umano, figlio del dio solare Vivasvat (e per tanto detto pure Vivasvara); quando gli dei decisero di punire l’umanità con il diluvio, Visnù, assunta la forma di pesce, lo avvertì dell’imminente pericolo, consigliandogli di costruire una barca, che il pesce, divenuto assai grande, trascinò verso la montagna cosmica. In senso più lato tuttavia Manu è l’iniziatore di una nuova umanità all’inizio di 14 grandi cicli cosmici, che durano milioni di anni, detti “Manvatara”.

12) anche il Buddha Gautama era il “Sakya-Muni” (il saggio della tribù dei Sakya).

13) almeno quattro secondo Plinio il Vecchio, il quale, oltre ai labirinti d’Egitto e di Creta, i più antichi e famosi, cita anche (Nat. Hist., XXXVI, 19) quelli che si trovavano nell’isola di Lemno e a Chiusi in Etruria, precisando che quello di Creta e quello d’Italia erano ai suoi tempi del tutto scomparsi.

14) si veda a tale riguardo l’articolo sugli Hyksos del 21 aprile 2013 e seguenti.

/ 5
Grazie per aver votato!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *