SUGLI ANGELI E SUI DEMONI -terza parte-

Nelle religioni antiche, compreso l’ebraismo, riscontriamo dunque una concezione nella quale tra “dei”,”demoni” e “angeli”, non vi è netta e irrevocabile distinzione tra quelle positive e quelle negative, le buone e le malvage, com’è proprio del cristianesimo e del tardo giudaismo, ma tra tutte queste entità cosmiche superumane si nota da un lato una gradazione di “sfumature” intermedie tra esseri del tutto benefici e esseri del tutto malefici (per quanto l’idea della totale e intrinseca negatività o malvagità sia in genere estranea alle religioni antiche), dall’altro una fondamentale ambivalenza, per cui la medesima entità può mostrarsi ora benevola ora ostile, tanto che ad esempio anche un demone di solito “cattivo” può essere invocato e “utilizzato” contro i poteri di un altro demone; oppure il fatto che esistano dei considerati in qualche modo prevalentemente “malvagi” -come ad esempio Seth, di cui abbiamo già parlato in modo approfondito, il greco Ares o il nordico Loki-, poiché incarnano energie cosmiche, naturali e/o psichiche viste come pericolose per l’uomo, le quali, pur non essendo intrinsecamente negative, -poiché hanno un loro scopo nell’economia del creato e nei dinamismi della natura e dell’uomo- devono essere avvicinate con grande cautela.

Aprendo ora una parentesi, credo sia opportuno precisare che la differenza tra il monoteismo ebraico-cristiano, -dove pure esistono entità intermedie quali angeli e demoni-, e il “politeismo” panteistico, in particolare nelle sue elaborazioni dottrinali teologiche e filosofiche quali furono fatte ad esempio dal neoplatonismo (ma che erano già implicite nei sistemi teologici egiziani e babilonesi, oltre che nella teogonia di Esiodo, per non parlare delle complesse concezioni indù) è che mentre in quest’ultimo le entità divine superiori e incorporee vengono “generate” o “emanate” dall’Essere Supremo e Assoluto, -ovvero l’Uno-, in modo talvolta volontario -e allora parliamo di “generazione”- e talaltra no -e in questo caso si tratta di “emanazione”-, e dunque partecipano in qualche misura della natura o sostanza divina; nel “monoteismo” esse vengono “create” come tutti gli altri elementi del cosmo e l’uomo stesso, pur avendo natura incorporea, e sono dunque considerate nettamente inferiori e ontologicamente distinte dall’Essere Assoluto (1).Karncolonne

Inoltre gli “dei”, pur coordinandosi gli uni con gli altri per mantenere l’armonia del Cosmo (termine che, come è noto, significa proprio complesso ordinato di elementi tra di essi integrati, in contrapposizione al “chaos”), conservano una loro autonomia di azione (2); gli “angeli”, benché dotati di libero arbitrio (così che le entità negative sono ritenute angeli che hanno abusato della loro libertà per disobbedire a dio), sono solo dei semplici esecutori delle direttive e della volontà del dio supremo (3).

Peraltro, anche nel giudaismo eterodosso, nel quale l’angelologia e la demonologia assunsero fondamentale importanza, e poi nell’Islam, sembra attenuarsi la contrapposizione insanabile tra “angeli” e “demoni”: questi ultimi possono essere convinti a “collaborare” con l’uomo, come faceva Salomone, che nella tarda tradizione giudaica, cristiana-gnostica ed islamica appare come un grande maestro di magia, autore di opere assai reputate sulla materia quali la celeberrima “Clavicola di Salomone”, il più noto testo di magia medioevale (4); mentre d’altro canto si contano angeli “punitori”, “tentatori” e “accusatori” dalle caratteristiche decisamente inquietanti e sinistre (quali Malakbel, Aratron, Samael, ecc.) che sembrano incarnare il “tremendum”, la parte “oscura” di Dio.

Anche i “ginn” e gli altri spiriti islamici abbiamo visto che, sebbene in genere siano considerati piuttosto maligni e ostili all’uomo, possono “convertirsi” alla fede in Allah, non solo, ma anche quelli “ribelli” si mostrano accondiscendenti alle richieste, anzi agli ordini, di quelli fedeli, o anche di certi uomini, i quali, per le loro eccelse virtù morali o per mezzo di ausili magici, siano in grado di sottometterli, manifestando deferenza verso coloro che considerano “superiori” (si veda a tale riguardo quanto abbiamo scritto in “L’UCCELLO RUKH- quinta parte,  articolo del 9 luglio 2014, che integra quanto detto nella presente ricerca sugli spiriti incorporei).

Anche nel pensiero cristiano dei primi secoli vi furono voci che sostennero pure i demoni potersi redimere, ed anzi la loro reintegrazione essere necessaria onde si possa restaurare la primigenia perfezione divina: in particolare questa fu la posizione di Origine, uno dei massimi teologi e filosofi cristiani dei primi secoli. Egli riteneva infatti che i demoni, essendo sempre in possesso del libero arbitrio, non fossero irrevocabilmente condannati ed intendeva la distruzione finale dell'”ultimo nemico” non nel senso che la sua sostanza sarà annientata, ma che sarà annichilito il male: “Infatti nulla è impossibile per l’Onnipotente e nulla è insanabile per il Creatore […] Egli ha fatto tutte le cose perché esistessero, e quanto è stato fatto per esistere non può non esistere” (De principiis, I, 6, 3; III, 6, 5); e che l’ipotesi della dannazione eterna sia inconciliabile sia con l’onnipotenza sia con la carità di Dio, il quale, in quanto Uno-Tutto, come nel neoplatonismo, comprende e riaccoglie in sé ogni cosa, anche quelle che si erano da lui allontanate. La dottrina della reintegrazione o rigenerazione finale di tutti gli esseri in Dio (“apocatastasis”), come altri aspetti della teologia di Origene e dei suoi discepoli (pre-esistenza delle anime, metensomatosi, “corpo di gloria” di sostanza spirituale e non  materiale), -per quanto spesso avanzati come ipotesi e non come “verità” indiscutibili- fu però ritenuta eretica dalla chiesa ufficiale e condannata nei concili del IV-VI secolo, in particolare nel II concilio di Costantinopoli del 553 (5).

D’altra parte osserviamo che nei testi canonici della Bibbia ebraica (ovvero nel “Vecchio Testamento” secondo i cristiani), scarse sono le testimonianze di possessioni, ossessioni e infestazioni demoniache, e quando vi siano appaiono sempre in storie legate a territori “stranieri”, in particolare la Mesopotamia.

L’esempio più noto e significativo è quello riportato nel libro di Tobia (che è ambientato proprio in Assiria e in Media) dove si parla di una giovane ebrea, di nome Sara, che abitante ad Ecbàtana, capitale della Media, che era tormentata dal demone Asmodeo, il quale uccideva tutti gli uomini, -sette fino a che non fu liberata (naturalmente il numero sette ha un ovvio significato simbolico- con i quali aveva contratto matrimonio prima che essi potessero consumare l’unione (capitolo III).

Ella infine fu salvata dall’intervento dell’angelo Raphael,

Angelo in un rilievo babilonese.
Angelo in un rilievo babilonese.

che era giunto alla sua dimora insieme a Tobia, il quale riuscì a scacciare il demone grazie alle sue parole e alla sua presenza, ma soprattutto per mezzo del fegato e del cuore di un pesce che Tobia aveva pescato nel Tigri. Il pesce aveva tentato di mordergli una gamba, ma il giovane era riuscito a catturarlo e per consiglio dell’angelo che lo guidava ne aveva conservato le interiora. Queste poste sulle braci ardenti di un turibolo, con il fumo e l’aroma che da esse sprigionava fecero allontanare il demone, che fuggì nelle regioni dell’Alto Egitto (cap. VIII).

Questa narrazione che, nella forma tramandata dalla Bibbia, risale al III o II secolo a. C., fa pensare, per gli elementi che vi compaiono, sia un adattamento all’ebraismo di un mito o di una storia sapienzale-edificante già esistente in Mesopotamia, a sua volta forse frutto di un incontro e dell’osmosi tra la cultura assira e quella persiana, avvenuti dopo l’annessione di quell’ampia regione all’Impero Persiano nel 539 a. C.: l'”ossessione demoniaca” della quale è vittima Sara -che però da come è descritta sembrerebbe essere più un'”infestazione”, ossia la presenza di uno spirito maligno in un determinato luogo, ove provoca danni e disgrazie più o meno gravi (in questo caso la morte dei sette mariti di Sara) o che si accanisce contro una o più persone-; l’assistenza di uno “spirito guida” apparso in forma umana (l’angelo Raffaele), la valenza apotropaica (che allontana il male e la sventura) e purificatrice del pesce che viveva nel fiume Tigri (e indirettamente dell’acqua) sono elementi propri della religione mesopotamica.

Di origine persiana è il nome del demone Asmodeo, che deriva da Aeshma Daeva, il demone della collera, o del furore. Egli era uno dei membri dell’eptade demoniaca che, secondo la religione zoroastriana, coadiuvava Angra Mainyu (più comunemente conosciuto nelle forma tarda Ahrìmane), l’avversario malefico di Ahura Mazda, il principio superiore del bene, nella sua opera deleteria. Questo gruppo di demoni, -“daeva”, era l’equivalente negativo dei sette “Amesha Spenta” (“Santi Immortali”), gli spiriti del bene, che affiancano invece il grande dio benefico (6); tra essi, Ashma, o Aeshm, era considerato il più potente e pericoloso (7).persian woman_jpeg

E’ senza dubbio interessante osservare che dal punto di vista etimologico il termine “daeva” è uguale al “deva” sanscrito, i quali corrispondono al latino “deus” e al greco “Zeus” e “Dia”. Tutti queste parole si riferiscono in origine al cielo splendente e luminoso (e ad esse si può aggiungere anche il latino “dies” = giorno), e sono passati in seguito a designare la “numinosità” che si manifesta nel Cielo, visto come sede ed emanazione dell’essere superiore.

Gli “Ahura”, ai quali corrispondono gli “Asura” della religione vedica e poi indù, rappresentavano in principio un’altra categoria di entità divine e il loro nome, presumibilmente connesso con “asu” -spirito vitale, energia psichica- dovrebbe esprimere un potere divino che si manifesta soprattutto come forza creatrice e miracolosa. In tempi antichissimi Iranici e Indiani erano probabilmente un unico popolo, o quanto meno rami di una medesima popolazione; quando nel II millennio a. C. si separarono e ciascuno di essi si incamminò per la propria strada, anche le rispettive religioni ebbero un’evoluzione diversa e contrastante: per i Persiani gli Ahura rimasero i soli autentici dei, e i Daeva furono degradati a demoni; per gli Indù avvenne il contrario: gli Asura non sono che temibili demoni, mentre i Deva sono le vere divinità.

La ragione di questo divergente sviluppo nelle due religioni è difficile da spiegare, e in esso si intrecciano complesse tendenze e componenti sia spirituali, sia psicologiche, sia sociali: secondo un’interpretazione che si rifà alle ben note tesi sulla tripartizione delle più antiche tribù indoeuropee formulate da Georges Dumezil (sacerdoti; guerrieri; contadini-artigiani), i Daeva (Deva) sarebbero stati dei soprattutto guerrieri, pieni di foga e di dinamismo, propri della seconda “funzione” della società indo-iranica, quella dei guerrieri; gli Ahura (Asura) per parte loro sarebbero stati gli dei della sovranità, della legge e dei riti (venerati in particolare dai sacerdoti). Nell’Avesta si prospetta un tipo di organizzazione sociale e religiosa nella quale prevale la tutela della stabilità, della regolarità, della prosperità e della regalità fondati sull’ordine cosmico (Rita), -principi rappresentati degli Ahura-, contro la turbolenza, l’instabilità e l’insicurezza che vengono dal mutamento (Maya) legato ai Daeva (8). Presso gli Indù invece gli Asura appaiono come forma inafferrabile e sfuggente della manifestazione divina, divengono i detentori di un potere magico che si fonda sull’illusione (e vengono per questo ad assomigliare un po’ ai “ginn” islamici e ai demoni che si cercano di assoggettare nelle tradizioni magiche dell’esoterismo giudaico e cristiano) e quindi gli esponenti del mondo delle tenebre che si oppone al mondo della luce, mente i Deva sono le divinità superne e celesti.

Tuttavia nel libro sacro di Zoroastro (o per meglio dire a lui attribuito, ma che in effetti si compone di parti redatte in epoche diverse) non v’è ancora una precisa distinzione tra “Ahura” e “Daeva” (un po’ come i “daimones” della tradizione classica, che da spiriti superiori, “Geni”, pur se in genere ambivalenti, assumono nel giudaismo e nel cristianesimo un carattere del tutto malefico). Solo in età posteriore gli antichi dei vedici, comuni agli Ari antenati dei Persiani e degli Indù, vengono ridotti a figure demoniache che incarnano il disordine e i vizi (9).

Abbiamo ricordato nella nota n. 7 che nel demone Asmodeo, si deve probabilmente identificare il demone babilonese Pazuzu, data la commistione che nell’età achemenide si ebbe in Mesopotamia tra la religione babilonese e quella persiana mazdaica, e l’influenza che esse a loro volta esercitarono sul giudaismo. Questa figura demoniaca peraltro, per la tipica ambivalenza degli esseri soprannaturali, e preternaturali, che caratterizza molte culture religiose -che abbiamo più volte rilevato-, pur essendo considerata in sé malefica e tremenda, proprio per tale ragione era anche invocata in funzione apotropaica, cioè per combattere e allontanare gli altri spiriti maligni, che affollavano le credenze religiose mesopotamiche, e alla cui azione deleteria si attribuivano un gran numero di disgrazie e di malattie, -che pertanto venivano curate soprattutto con esorcismi-.

Tra di essi segnaliamo la temibile Lamastu (o Labartu), dall’aspetto leonino, ma con le orecchie d’asino, artigli di rapace e zampe d’uccello, che talvolta appare come paredra di Pazuzu. Ella si accaniva soprattutto contro le donne gravide, le puerpere (sottraendo loro il latte) e gli infanti che cercava di rapire alle madre; pertanto insieme alla sua “collega” Lilitu (che però era una specie di vampiro) (10) si può considerare l’antenata di quelle demonesse, -come la Lilith palestinese, la Mormò ellenica e la Lamia greco-romana fino alle streghe pedofaghe presenti spesso nel folklore europeo e nelle fiabe (tra le quali celebre è la strega di Hansel e Gretel -F.lli Grimm, “Racconti per bambini e famiglie”, 15-), che rappresentano un grave pericolo per mamme e bambini (11)(12).

Altri demoni assai temuti e pericolosi erano: Asakku, il quale provocava uno stato di languore psico-fisico nell’uomo, ma le cui vittime preferite erano gli animali da soma, quali Asini e Cavalli, soprattutto le femmine gravide, a cui procurava aborti spontanei; Rabisu, simile all’Incubus latino, che durante la notte opprimeva i dormienti premendone il dorso o il petto e causando loro appunto incubi più o meno terrificanti (si tenga presente però che questi “incubi” sono più che brutti sogni e danno sensazioni fisiche); Alu, una specie di “babau” dall’orribile aspetto informe, senza arti, bocca e orecchie, il quale di solito dimorava in luoghi oscuri e deserti, ma di notte si aggirava per le strade dove rapiva gli incauti, specie bambini, che osassero trattenersi all’aperto in quelle ore.

Oltre a queste entità propriamente demoniache, si pensava che diventassero demoni gli spiriti dei defunti ai quali non erano stati tributati onori funebri, o che non avevano ricevuto adeguate offerte commemorative, e che pertanto, insoddisfatti e adirati contro i loro congiunti, tornavano in forma di spettri nel mondo dei vivi ad incutere loro terrore apparendo nel buio della notte e cercando di sottrarre ad essi l’energia vitale: essi dunque erano simili ai “Lemures” e alle “Larvae” romani. A questa categoria appartenevano anche tutti coloro che erano periti di morte improvvisa e/o violenta, la cui brama di vita non era stata saziata; erano immaginati con aspetto vagamente ornitomorfo (con un “vestito di piume”) e quindi sotto questo aspetto potrebbero ricordare le Sirene e le Arpie greche, -anch’esse in origine probabilmente spiriti di defunti irrequieti e malefici-; a codesti spiriti veniva dato il nome di “Ekimmu” (o “Edimmu” o “Etimmu”), che sembra derivare da una radice con significato di “portare via, sollevare” che indica come la loro opera contro gli uomini consistesse nel rapirli e portarli agli inferi anzitempo (con la conseguenza che pure il rapito, -così come avviene per i vampiri- sarebbe divenuto anch’egli un “Ekimmu”).

Un altra categoria di spiriti malefici erano gli “Utukku” (o “Utakku”), termine che nelle età più antiche designava i demoni in generale, e in specie quelli delle tempeste, ma che in seguito è attribuito a spiriti di defunti, simili, se non identici, agli “Etimmu”, fantasmi notturni che infestano luoghi sinistri e deserti e vanno errando in cerca di vittime umane.  Per placare gli “Utukku” si organizzava allora un convito in loro onore al quale partecipavano anche gli dei.

Questi spiriti potevano essere evocati, come accade all’ombra di Enkidu che Gilgamesh fa uscire dagli Inferi (Tavoletta XII dell'”Epopea di Gilgamesh”) per sapere quale il sia destino umano nell’al di là. Ad essi erano associati gli uccelli notturni come Gufi e Civette, che pertanto nelle credenza popolari avevano fin da allora significato infausto, mentre Corvi e Falchi si credeva fossero dotati del potere di combattere gli spiriti maligni e di allontanarne gli influssi nocivi (14)(15).

Per combattere questi esseri e gli effetti della loro azione sugli umani e in generale su quanto aveva attinenza con le loro attività si ricorreva ad esorcismi che consistevano nella recitazione di formule di scongiuro -nelle quali era presente il riassunto di una narrazione mitica in cui una divinità con determinati atti e formule aveva operato un effetto simile a quello che si voleva ottenere in quella circostanza (16)-; e nel compiere particolari atti (aspersioni di acqua; fumigazioni con incenso e altre resine o erbe ritenute adatte; imposizione sulla testa dell’indemoniato, o malato, di determinati oggetti (focacce confezionate con farina e carote; pietre e polveri metalliche, in particolare quelle di provenienza meteoritica, ecc).

Oltre agli esorcismi di carattere terapeutico, vi erano numerose formule e riti che servivano a prevenire gli indesiderati interventi dei demoni e a scacciarli da un luogo prima che potessero arrecare danni: ad es. durante la celebrazione dell'”Akitu”, la festa di Capodanno, che durava per i primi 12 giorni del mese di “nissanu” (poi in ebraico e in aramaico “nisan”)- che cadeva tra la fine di marzo e aprile (17)- , corrispondente al “Purulli” degli Ittiti e al Nevrouz, o Nouruz, persiano-, in cui come in tutte le feste di capodanno si intende rievocare l’inizio della creazione per dare inizio in forma simbolica ad una rigenerazione del cosmo-, in tutta la prima fase si recitavano formule scongiuratorie e propiziatorie, mentre le sera del quarto giorno e poi ancora nell’undicesimo veniva letto per intero l'”Enuma Elish”, il poema sacro babilonese (18).

CONTINUA NELLA QUARTA PARTE

Note

1) si ricordi che nel “Simbolo niceno-costantinopolitano” (il “Credo”) si dice di Cristo “generato, non creato, della stessa sostanza del padre”. D’altro canto credo che sia superfluo osservare che la differenza tra “emanazione”, “generazione” e “creazione”, abbastanza precisa sul piano teoretico-metafisico, è alquanto sfumata e opinabile nella sua realtà ontologica, per cui si può dire che di fatto viene ad essere solo una scelta lessicale legata all’intrinseca incapacità dell’uomo di poter concepire e comprendere quanto è molto al di sopra di lui (perché è evidente che applicare a “dio” -principio universale, essere assoluto, o come dir si voglia, e comunque “sostanza” che compenetra, ma al tempo stesso trascende, il mondo materiale- queste categorie, -già sul piano umano per forza di cose imprecise e soggettive-, è assolutamente inadeguato: appare infatti piuttosto difficile “immaginare” Dio che “emana”, che “genera” o che “crea”  e la distinzione “pratica”, non teorica, tra queste operazioni).

2) gli dei greci ad esempio, come appare chiaramente nei poemi omerici e nelle tragedie, non potevano opporsi all’operato dei loro “colleghi”, neppure a favore dei loro protetti, ma tutt’al più attenuarne le conseguenze negative. Si veda ad esempio quanto dichiara Artemide nel suo dialogo con Teseo nell'”Ippolito” di Euripide (vv. 1325-1341), che per la legge degli dei nessuno di loro poteva contrastare quanto stabilito da un altro, e pertanto la dea, con grande dolore, non aveva potuto salvare il suo caro Ippolito dalle funeste conseguenze della collera di Afrodite (com’è noto Teseo, re di Atene, in seguito alle calunnie della matrigna Fedra, aveva maledetto il figlio Ippolito, invocando su di lui il castigo di suo padre Poseidone).

3) in effetti gli “angeli” compaiono anche nel tardo “paganesimo”, come “messaggeri”, -poiché tale è il significato del nome- delle divinità, talora sovrapponendosi ai “daimones”, che a loro volta si possono considerare equivalenti ai “genii” romani. Essi erano spesso invocati nella “teurgia” praticata in certi ambienti neoplatonici: era questa una sorta di spiritismo con cui si cercava di entrare in contatto con gli dei facendo in modo che essi entrassero nel corpo di un “medium” o addirittura di un simulacro artificiale, con l’intento di poter ricevere “rivelazioni” dirette sull’al di là e sul mondo divino. Inutile aggiungere che queste “sedute”, -come d’altronde accade ai giorni nostri-, specie nel caso delle “statue parlanti”, davano luogo ad innumerevoli abusi e invenzioni ciarlatanesche, tanto più che molti ricorrevano a tali pratiche con motivazioni assai meno nobili e molto più terrene che il contatto diretto con il divino. Ed è davvero sconcertante che superstizioni così grossolane potessero riscuotere credito anche presso personaggi notevoli quali l’imperatore Giuliano, detto l'”Apostata”, attirando così su di essi la facile ironia e lo scherno dei cristiani; infatti gli eventuali fenomeni “paranormali” autentici che potevano aver luogo in tali sedute si devono considerare manifestazioni psichiche, o comunque di entità inferiori, e non certo epifanie divine. Il filosofo Porfirio di Tiro in primo tempo inclinò anch’egli verso tali concezioni, ma in seguito dopo aver conosciuto Plotino si allontanò da esse, ed anzi polemizzò con i loro sostenitori nella “Lettera ad Anebone” (il quale era un sacerdote egiziano); proprio per confutare le tesi di Porfirio sulla “teurgia” Giamblico, -che ne era invece un convinto seguace- compose la sua opera su “I misteri dell’Egitto” che abbiamo citato nella parte precedente. “Anghelos” era chiamato anche quello che gli esoteristi moderni chiamano “spirito guida”. Nei testi magici dei primi secoli dell’era volgare troviamo una gerarchia di “spiriti”, alla sommità della quale sta il Dio Supremo, il Principio Assoluto; dopo di Lui vengono gli dei (che sono in genere quelli della mitologia greco-romana, spesso sincretisticamente identificati o mescolati con quelli delle religioni “barbare”, in particolare di quella egiziana); ad un gradino inferiore stanno i “daimones”, (i geni, i protettori); e infine gli “angheloi” (i messaggeri) -i quali solo in parte possono essere assimilati agli “angeli” della teologia giudaica e cristiana ortodossa-, che sono quelli con cui più facilmente l’uomo può entrare in contatto: in effetti questa gerarchia appare come la trasposizione banalizzata, e talora svilita per uso pratico, della concezione filosofica neoplatonica. La probabile etimologia del termine “daimon” (che può essere usato sia al maschile sia al femminile) è connessa, -come abbiamo già avuto modo di vedere-, con il verbo δαιoμαι = dispensare, e quindi dovrebbe significare “dispensatore della sorte”; in Omero, -come abbiamo osservato nella prima parte della presente trattazione-, tale termine è usato quale sinonimo di “theos”, ma in un’accezione che si avvicina a quella latina di “numen”, cioè di potenza superiore all’uomo (e al mondo terreno) che ne determina il destino. Nelle età successive assume un significato simile a quello di “genius”, di spirito protettore di un individuo, di una famiglia, di un luogo, e talora è impiegato anche per indicare gli spiriti dei morti come i “manes” latini.

4) o addirittura assumono dei tratti comici e caricaturali, come sarà nel folklore europeo medioevale e moderno.

5) da quanto esposto appare evidente come il pensiero di Origene sia assai più affine al neoplatonismo che allo gnosticismo; anzi egli polemizzò con gli gnostici, pur avendo in comune con essi la svalutazione della corporeità e del mondo materiale, -elemento peraltro comune al platonismo e al pitagorismo antichi, nonché a molte altre dottrine metafisiche e mistiche (manicheismo, giainismo, buddismo, ecc.), che deriva dalla drammatica consapevolezza che nel mondo fisico, in “questo” mondo, dati i limiti intrinseci alla corporeità e alla natura materiale (o “inferiore”) è impossibile conquistare sia la “felicità” sia la “giustizia”, intese come completo appagamento e piena realizzazione di un ideale superiore-. Possiamo inoltre affermare che le tesi di Origine precorrono in un certo modo il neoplatonismo cristiano di molti pensatori e mistici del ME e dell’età moderna, da Scoto Eriugena, a Eckhart, a Nicola Cusano, a Marsilio Ficino, financo a Spinoza. Senza dubbio egli rappresenta una versione del cristianesimo più tollerante, dialogante e “inclusiva” di quella intollerante e dogmatica, invadente e prepotente che è quella che purtroppo ha prevalso. D’altro canto non possiamo fare a meno di evidenziare che l'”apocatastasi”, sebbene in un senso e una prospettiva un po’ diverse da quelle origeniane, è uno dei cardini dell’escatologia della chiesa ortodossa: infatti le pene dell’inferno (“kolasis” = punizione) non sono considerate eterne, ma destinate in ogni caso ad estinguersi alla fine dei tempi nella reintegrazione di tutti gli esseri in Dio, -quando anzi avverrà la presenza di Dio in tutte le creature-. Infatti nella teologia ortodossa il trionfo di Dio e della sua opera di salvezza non potrebbe coesistere e non si può conciliare con la sussistenza di realtà ed entità maligne.

6) gli Amesha Spenta (Amahraspand in pahlavico e Amshasfand in persiano moderno) sono: Vohu Mana -Vahuman in pahlavico e Bahman in persiano moderno- (“Buon Pensiero”); Asha Vahista -Artavahist; Ardibihist o Urdibisht- (“Ottima Legge”); Zsadhra Vairya -Sharèvar- (“Dominio Desiderabile”); Armatay, o Spenta Armaiti -Spandarmat, Asfendarmad- (“Pietà”); Haurvatat -Hordat; Khurdad- (“Integrità”) e Ameretat -Amurdat; Murdad- (“Immortalità”). Il settimo Amesha Spenta è considerato talora lo stesso Auhra Mazda -Ohrmazd o Ohrimisd-, talaltra Sraosha -“Obbedienza” (il quale più comunemente è annoverato tra gli “Yazata”, gli angeli, posti a un gradino inferiore rispetto agli Amesha Spenta, e che corrisponde all’indiana Sarasvati, sposa di Bhrama e dea della saggezza (si veda anche quanto abbiamo detto sull’argomento in “Uccelli nel mito – Malak Taus, l’Angelo Pavone degli Yezidi”, pubblicato il 29 settembre 2014). Degli Amesha Spenta parla anche Plutarco (De Iside et Osiride, 47), il quale afferma che Horomazes (Ahura Mazda) creò sei dei: della bontà (Eunoia); della verità (Aletheia); della buona legge (Eunomia); della saggezza (Sophia); della ricchezza (Ploutos) e “dei piaceri che nascono da nobili occupazioni”. In modo simile e parallelo Arimanios (Ahriman) creò sei demoni malvagi antagonisti dei precedenti. Secondo lo scrittore greco, Horomazes per contrastare il potere malefico di Arimanios creò altri 24 dei (da identificare forse con gli “Yazata”, gli angeli della religione mazdaica), e li depose in un uovo; ma il suo avversario creò a propria volta altri 24 demoni, i quali riuscirono a perforare il guscio dell’uovo, così che da allora il bene e il male furono mescolati.

7) in parallelo con gli Amesha Spenta, esistono sei demoni create da Ahriman (insieme al quale formano un’eptade contrapposta a quella benefica della luce), che sono rispettivamente: Aka Manah, (Akoman), -“Cattivo Pensiero”; Andar (Andra, Indar), -“Disordine”; Saurva (Savar, Savul), -“Prepotenza”; Nanghait (Nonkhait, Nakait ), -“Insoddisfazione”; Taurvi (Tarev, Tarich), -“Impudicizia” (ma pure “Sete”); Zairica (Zairi, Zarich), -“Decrepitezza” (e “Fame”). Quando non  si comprenda nell’eptade anche Ahriman, il settimo spirito impuro è appunto Aeshma, o Aeshm (“Collera”), il quale dunque corrisponde a Sraosha. Tuttavia, come si è detto, nonostante occupi il settimo posto nella gerarchia demoniaca, egli è considerato una delle entità più influenti nel mondo terrestre e nelle vita dell’uomo. Si ritiene inoltre che in età tarda in area mesopotamica nella figura di Aeshm sia confluita e si sia sovrapposta quella di Pazuzu, uno dei demoni più potenti e pericolosi della religione assiro-babilonese, re degli spiriti malvagi dell’atmosfera, suscitatore di tempeste e soprattutto del vento di sud-ovest, apportatore di siccità e di malattie, per cui egli sarebbe stato identificato con il precedente durante la dominazione persiana in Mesopotamia; l’Asmodeo biblico, sebbene il nome sia persiano, sarebbe in effetti il Pazuzu babilonese. A proposito di quest’ultimo ricordiamo, che ebbe un nuovo momento di popolarità negli anni ’70 del XX secolo, allorché divenne il “protagonista” del famoso film “L’esorcista”, -del regista William Friedkin-, a sua volta tratto dall’omonimo romanzo di William P. Blatty.

8) ricordiamo che nella successiva riflessione religiosa e filosofica indiana, sia nel bhramanesimo che nel buddismo “maya” è chiamata l’illusorietà del mondo materiale e della vita terrena, che deve essere superata per comprendere la vera sostanza spirituale dell’Universo; in questa posteriore accezione essa si lega e si manifesta soprattutto negli Asura.

9) si noti però che i grandi dei dell’induismo -Bhrama, Visnù e Siva-, che incarnano i tre aspetti principali dello Spirito Universale (creazione, conservazione, distruzione) non sono mai definiti o qualificati come “Deva”. “Deva” sono le divinità minori (Ganesa, Agni, Lakshmi, Kartikeya, ecc.) che coadiuvano i grandi dei, e si possono considerare a loro volta come particolari manifestazioni della loro azione e presenza nel mondo; nonché alcune figure divine importanti nei “Veda” (e in particolare nel “Rig Veda” -il Veda reale), i testi sacri più antichi degli Indù, ma che furono messi nell’ombra dal successivo sviluppo della religione bhramanica (Indra, Rudra, Suvar).

10) da Lilitu, divenuta poi Lilith in Palestina (è citata anche nella Bibbia, Isaia, XXXIV, 14), e considerata capostipite di una classe di spiriti maligni (fenomeno frequente nelle mitologie, per cui una singola entità si moltiplica in un secondo tempo in una intera categoria di esseri), i “Lillim”, trasse origine la credenza nelle “Empuse” (le “Intruse”) nell’ambiente ellenico, una sorta di “vampire” che prendevano di mira soprattutto gli uomini giovani. Occorre peraltro rilevare che gli esseri, -siano essi spiriti primariamente incorporei, ovvero anime di defunti umani-, che sottraggono ai viventi le energie vitali (spesso sotto forma di sangue) sono presenti nelle tradizioni religiose di molti popoli (anche se il “vampiro” in senso stretto è tipico delle culture slavo-balcaniche). In una tradizione rabbinica extra-biblica Lilith divenne la prima compagna di Adamo, la quale, essendo stata anch’ella creata direttamente da Dio, e non tratta dalla costola dell’uomo, voleva stare alla pari del compagno e non a lui sottomessa.

Rilievo in argilla risalente al XIX-XVIII secolo a. C. che raffigura Lilith, o, più probabilmente. Ereshkigal, la regina degli Inferi, affiancata da civette.
Rilievo in argilla risalente al XIX-XVIII secolo a. C. che raffigura Lilith, o, più probabilmente. Ereshkigal, la regina degli Inferi, affiancata da civette.

Per questo ella fu scacciata e, incattivita da quella dolorosa esperienza, si trasformò in un demone che insidiava gli uomini con la lussuria che li portava alla perdizione e tormentava le partorienti, le madri e i bambini piccoli. Tuttavia Lilitu nell’antica Babilonia faceva parte di una triade demoniaca: Lilu, -demone maschio, personificazione dell’uragano, ma che in seguito dalle perturbazioni atmosferiche passò a incarnare anche quelle che sconvolgono la mente degli uomini; Lilitu, -sua compagna-; e Ardat Lili, loro ancella, anch’ella istigatrice di morbosa lussuria.

11) in effetti queste figure erano donne alle quali erano stati sottratti i figli e pertanto per vendetta e gelosia si accanivano contro le madri e i fanciulli. Anche il fatto che cerchino di divorare bambini deve essere interpretato come un tentativo di “reintrodurre” in loro stesse un nuovo essere e rivivere così una sorta di gravidanza e/o di futura maternità che ad esse era stata negata.

12) Lamia era una mitica regina di Libia, amata da Zeus, alla quale la gelosa Era aveva sottratto tutti i figli. Per questa ragione, -così come la Lilith palestinese-, adirata e incattivita si mise a rapire e a divorare i figli altrui, mentre il suo viso da leggiadro che era divenne una orrenda maschera. Questa figura, che spesso era associata o assimilata alle Empuse, si diffuse anche presso i Romani, e veniva evocata dalle madri e dalle nutrici come spauracchio per i bambini disubbidienti.

13) Enkidu è l'”uomo d’argilla”, creato dalla dea Aruru: egli è il compagno e l’amico fedele di Gilgamesh re di Uruk nelle sue avventure, fino a che non morì di malattia. Addolorato dalla dipartita del suo amico, Gilgamesh decide di cercare l’erba dell’immortalità e giunge così all’isola dei Beati dove incontra Utanapishtim che era sopravvissuto al diluvio universale con la sua famiglia salvandosi sull’arca. Seguendo i consigli datigli da Utanapishtim, egli, con l’aiuto di Ursanabi, il nocchiero dell’arca, riesce a trovare sul fondo del mare l’erba miracolosa, ma se la lascia sottrarre da un serpente uscito da un pozzo e attratto dal profumo del fiore.

14) si noti che Gufi, Allocchi e Civette erano associati alle “Larvae” romane, e nella forma di tali uccelli potevano apparire sia gli spiriti stessi, sia una sorta di fattucchiere dette “striges”, dal cui nome deriva appunto il termine scientifico (Strigiformi) dato ai rapaci notturni. I Corvi invece avevano significato beneaugurante e legato alla profezia presso diverse popolazioni indeuropee, quali Greci -che lo consideravano sacro ad Apollo-, Celti – era l’uccello di Lug, o Lugos, e della britannica Morrigan- e Germani -di Wotan-; quanto ai Falchi essi erano notoriamente incarnazione di molte divinità egizie (Ra; Horo; Atum le principali).

15) le credenze della religioni dell’area mesopotamica e siriaca legate agli spiriti dei defunti trascurati o morti in modo accidentale e prematuro appaiono dunque molto simili a quelle di quelle romane e italiche. D’altro canto in generale in quasi tutte le civiltà si è convinti che gli spiriti dei defunti che non abbiano ricevuto adeguate onoranze funebri, o che siano state vittime in vita di torti più o meno gravi, oppure che fossero animati da un’intrinseca cattiveria, -o ancora che siano stati stroncati nel pieno delle energie quando erano ancora molto attaccati all’esistenza terrena-, e che quindi non hanno lasciato in pace questo mondo-, si trasformino dopo la morte in fantasmi, vampiri, o altre entità negative che tornano nel mondo dei vivi a tormentarli per vendicarsi delle ingiustizie subite, o per cercare di soddisfare in qualche modo le loro non appagate brame terrene (si veda anche quanto abbiamo detto negli articoli sulla festa di Halloween e la commemorazione dei defunti pubblicati nell’ottobre e novembre 2014).

16) questa parte dello scongiuro, -che si ritrova poi nella religione e nella medicina popolare di moltissimi paesi fino all’età contemporanea-, è stata chiamata dagli antropologi moderni “historìola” (raccontino).

17) come quasi tutti i calendari antichi, anche quello mesopotamico era luni-solare, ossia quel tipo di calendario ove i mesi coincidono con le lunazioni (e come abbiamo già spiegato “mensis” in origine significava “lunazione”), ma l’anno viene fatto iniziare partendo da una data astronomica fissa, -in genere un equinozio o un solstizio-.

18) in esso vengono descritte la teogonia, l’emergere dal caos di Apsu (o Abzu) -l’acque dolci- e Tiamat -l’acqua salata marina-, gli dei primordiali della mitologia babilonese che generano gli altri e da cui deriva anche Marduk, il quale con il corpo di Tiamat crea il Cielo e la Terra, e con il sangue del gigante Kingu impastato con argilla dà vita all’uomo.

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