INCENSO E MIRRA, GLI AROMI CHE SCRIVONO NELL’ARIA (terza parte)

Con il governo di Areta IV Filopàtore (9 a. C.-39 d. C.), successore di Obodas III, lo stato nabateo, e Petra in particolare, toccarono l’apice delle proprie fortune. Si stima che in quel periodo la capitale del regno contasse circa 30.000 abitanti; in esso si ebbe la maggiore fioritura artistica ed architettonica e vi furono allora costruiti gli splendidi monumenti, -alcuni dei quali rimasti in ottimo stato di conservazione-, che tuttora danno lustro a questo luogo suggestivo (1).

Infatti dopo la morte di Erode il Grande, nel 4 a. C., il cui regno era stato diviso fra i tre figli maschi superstiti, i Romani tornarono a intrattenere cordiali relazioni con la monarchia nabatea. Petra tornò ad essere il principale nodo commerciale della regione che collegava l’Arabia, -donde giungevano lunghe carovane, comprendenti talora fino a 7.000 dromedari, cariche di pregiate mercanzie, provenienti non solo dai paesi di Saba, del Qataban e dell’Hadramaut, ma pure dall’India e dall’Indocina-, con l’Egitto, la Siria e la Mesopotamia. Da Petra si dipartivano poi due vie principali: una che, come abbiamo detto, si dirigeva a Gaza, dove i preziosi carichi erano imbarcati per gli altri porti del Mediterraneo, e in particolare per quelli della Grecia e dell’Italia; l’altra che, prendendo la direzione nord-est, giungeva a Damasco, donde a loro volta altre carovane partivano per la Siria settentrionale, l’Anatolia e la Mesopotamia.

La città di Damasco nel I secolo a. C., e precisamente dall’85 al 64 era stata soggetta alla sovranità nabatea. Poi, con la conquista della Siria, ad opera di Gneo Pompeo, dopo la vittoria su Tigrane II d’Armenia, -il quale aveva occupato quanto rimaneva del dominio dei Seleucidi e l’aveva annesso al suo vasto stato (che fu peraltro effimero)-, la città aveva goduto dello stato di città libera, tanto che alcuni autori antichi, -come Plinio il Vecchio (Nat. Hist., VI)- la comprendono nella “Decapoli palestinese”, la federazione di dieci città ellenistiche della Transgiordania, fondate, -o rifondate-, e ripopolate dei sovrani tolemaici, che governarono la Palestina dal 312 al 199 a. C., che furono dichiarate città libere da Pompeo nel 63 a. C. e che, pur tra alterne vicende, mantennero tale status fino a che nel 106 non furono da Traiano comprese nella nuova provincia dell’Arabia Petrea.

Le terre dei Seleucidi e degli Arsacidi conquistate da Tigrane II d'Armenia fino al 64 a. C.
Le terre dei Seleucidi e degli Arsacidi conquistate da Tigrane II d’Armenia fino al 64 a. C.

Per alcuni Damasco sarebbe stata governata dai re nabatei anche nel I secolo, ma in realtà le notizie sugli staterelli della Palestina e della Siria meridionale in quel periodo sono abbastanza incerte e contraddittorie, e tale dominio appare poco probabile, tenendo conto che Damasco è posta ben più a nord della Nabatea e da essa separata dalla Batanea, dall’Auranitide e dalla Traconitide, le quali a loro volta si interpongono tra l’antica città aramaica e il territorio della Decapoli, per cui, nonostante l’autorevole parere di Plinio, non sembra molto attendibile che Damasco appartenesse a questa federazione.

L’elenco delle città della Decapoli che Plinio ci ha lasciato nella sua opera Naturalis Historia (V, 74) è il seguente: Damasco, Filadelfia -Philadelpheia Ammon, antica capitale degli Ammoniti, caduta poi in abbandono e ricostruita e ripopolata con coloni macedoni da Tolomeo II Filadelfo d’Egitto (re dal 285 al 246 a. C.), corrispondente all’attuale Amman, capitale della Giordania (2)-, Rhàphana, Scitopoli (Scythopolis, chiamata in precedenza Nisa, dal nome della nutrice di Dioniso, che sarebbe stata ivi sepolta secondo una vetusta tradizione e poi così denominata da una colonia di Sciti che l’avevano popolata),- l’unica a destra del Giordano-, Gàdara, Ippo (HIppon), Dion, Pella (che riprendeva il nome dell’antica capitale della Macedonia), Gèrasa e Canatha.

Le città della "Decapoli" secondo Plinio il Vecchio.
Le città della “Decapoli” secondo Plinio il Vecchio.

Altri autori però forniscono un elenco che differisce in parte da questo e vi aggiungono anche altri centri così che, nonostante il nome, la Decapoli viene ad annoverare un numero di città maggiore di dieci (tuttavia si potrebbe anche pensare che alcune di esse non fossero autonome ma comprese per quanto riguarda l’amministrazione nelle città principali, -in partica “frazioni”, come i “vici rustici” nell’ordinamento romano-): Claudio Tolomeo, il celebre astronomo e geografo greco-egizio (100-175 circa), ad esempio, nella sua “Geographia” (V, 15), cita 18 città: tra quelle non comprese nella lista di Plinio ricordiamo Capitolias (che alcuni però identificano con Rhàphana), Adra, Abila (che potrebbe essere una città sita in una regione a nord-ovest di Damasco da essa detta “Abilene”) ed Heliopolis (Baalbek), -anche quest’ultima ben lontana dall’area principale delle federazione, trovandosi, -come avremo modo di approfondire in seguito-, in Iturea-. Inoltre v’erano già nell’antichità, e a maggior ragione ai tempi nostri incertezze  circa l’identificazione di alcuni di tali centri il cui nome talora variava nel tempo, o secondo le informazioni più o meno accurate degli scrittori che ce ne hanno lasciato notizie (ad esempio si ritiene la Rhàphana citata fosse talvolta designata con il nome di Abila, -da non confondere con la più importante Abila dell’Abilene-).

Le più note di queste città, oltre a Damasco e a Filadelfia, -che era la capitale della regione palestinese (ed ora sita in gran parte in  Giordania) definita “Decapoli”-, erano Gàdara, famosa per aver dato i natali a diversi poeti e filosofi, tra i quali si segnalano in particolare Menippo, filosofo e poeta satirico vissuto nel III secolo a. C, il quale compose satire costituite da parti in prosa e parti in versi (la parte in prosa era in genere in forma di dialogo, e quella in versi si presentava come mimo lirico), -genere che conobbe una certa fortuna anche nella letteratura latina-; Meleagro (130-60 a.C. circa), celebre come autore di epigrammi; e Filodemo (110-35 a. C. circa) filosofo epicureo, venuto in Italia verso l’80 a. C. e stabilitosi a Ercolano dove aprì una scuola frequentata anche da Virgilio (di cui abbiamo detto nell’articolo su Virgilio ed Orfeo) (3); e Gerasa, di cui rimangono grandiose rovine (notevoli soprattutto quelle dell'”agorà”) che danno un’idea della maestosità architettonica di questo centro abitato, pur se non grandissimo.

Di quello che era stato il regno di Erode il Grande, l’Idumea, la Giudea e la Samaria, furono assegnate ad Archelao, -con il titolo di “etnarca” e non di re-; la Galilea e la Perea (cioè la piccola regione al di la del Giordano non compresa nella Decapoli)(4) a Erode Antipa; l’Iturea, la Batanea, l’Auranitide e la Traconitide (regioni situate tra l’attuale Giordania settentrionale e Siria meridionale, nonché il Libano sud-orientale -la valle della Beqaa, l’Iturea-) a Erode Filippo.

Veduta del foro di Gèrasa.
Veduta del foro di Gèrasa.

I due ultimi avevano il titolo di “tetrarca” (5); si tenga presente che Erode il grande aveva avuto dieci mogli e non meno di sedici figli, tra maschi e femmine, tre dei quali, -Alessandro e Aristòbulo nel 7 a.C. e Antìpatro, il primogenito, nel 4 a. C., cinque giorni prima della morte del padre-, furono da lui condannati a morte con l’accusa di voler usurpare il suo regno (6). Sebbene Erode fosse un personaggio crudele e del tutto privo di scrupoli, è alquanto dubbio che gli sia da attribuire la famosa “strage degli innocenti” della quale si parla nel vangelo di Matteo (II, 1-16), ma che non trova conferme neppure negli altri evangeli. Tuttavia lo scrittore latino Ambrosio Teodosio Macrobio, vissuto tra il IV e il V secolo, ma che nelle sue opere si avvalse di molteplici fonti assai più antiche (delle quali molte andate perdute), nel secondo libro dei “Saturnalia”, -dove vengono esposti aneddoti che vertono su giochi di parole-, riferisce (Sat., II, IV, 11) che Augusto, venuto a conoscenza di un eccidio nel quale Erode avrebbe fatto uccidere anche il proprio figlio, osservò che in Palestina era meglio essere un maiale che un suo figlio, dal momento, che il re, fedele alla legge mosaica, non avrebbe mai consumato carne suina (7).

Le regioni della Siria-Palestina nel I secolo.
Le regioni della Siria-Palestina nel I secolo. Nell’area meridionale, -sebbene non segnata in questa cartina-, si trova la Nabatea.

Il dominio di Archelao durò solo fino al 6 d. C., poiché in quell’anno Augusto, dando seguito alle lagnanze dei Giudei, scontenti del nuovo sovrano anche più di quanto non fossero di suo padre Erode, -del quale peraltro non aveva le doti politiche-, decise di esiliarlo nella Gallia Narbonese ove morì nel 18, mentre i territori da lui detenuti passavano alle dirette dipendenze di Roma che vi esercitava la propria potestà tramite un procuratore. Archelao aveva sposato in prime nozze la cugina Mariamne, -figlia del suo fratellastro Aristòbulo e di Berenice-; in seguito invaghitosi di un’avvenente principessa chiamata Glafira (nome che in greco significa “aggraziata, raffinata, distinta”), figlia del re Archelao IV di Cappadocia, che era già stata unita in matrimonio con di lui fratellastro Alessandro ed era poi stata impalmata da Giuba II di Mauretania (vedovo di Cleopatra Selene, figlia di Cleopatra VII Filopàtore e Marco Antonio), ed essendone ricambiato, la sposò nel 4 o 5 a. C., suscitando le ire degli Ebrei osservanti che consideravano peccaminosa tale unione tra (ex) cognati.

Quanto ad Erode Antipa (20 a. C.- dopo 39 d. C.) (8), che aveva sposato una figlia di Areta IV di Nabatea, dopo aver regnato più di 40 anni, nel 39 fu anch’egli condannato all’esilio in Gallia, -da Giulio Cesare Germanico (meglio noto come Caligola)-, mentre i territori da lui governati venivano assegnati a suo nipote Erode Agrippa I, figlio di Aristobulo e di Berenice. Dopo aver ripudiato la legittima consorte (della quale non è noto il nome), egli convisse con Erodiade, moglie di suo fratello Erode Filippo, suscitando così le aspre critiche degli Ebrei, -così come era successo per Archelao- e in particolare di Giovanni Battista.

Rovine del palazzo di Erode a Gerico.
Rovine del palazzo di Erode a Gerico.

La parte del dominio di Erode il Grande ereditata invece da Erode Filippo (Iturea, Calcide, Traconitide e altre piccole regioni) alla morte di costui nel 34 furono in parte annesse alla provincia romana di Siria, in parte (la Batanea) furono concesse, sempre con titolo di tetrarca, a un certo Lisània, presumibile discendente di un omonimo, -del quale parleremo più oltre-, che nel secolo precedente aveva regnato in quelle regioni prima della dinastia erodiana, e che sembra già governasse l’Abilene. In seguito però, nel 37 o nel 38, esse furono di nuovo assegnate da Caligola a un membro della dinastia erodiana nella persona di Erode Agrippa I, salvo l’Iturea, che,- stando a quanto affermano gli storici più reputati, come Cornelio Tacito in “Annales”, XII, 23, e Dione Cassio in “Storia Romana”, XLIX, 12-, fu restituita a un certo Soemo, discendente dell’antica dinastia araba o aramaica che l’aveva governata prima che fosse unita da Erode il Grande al suo stato, -grazie alla protezione di Augusto della quale l’abile, pur se spietato, sovrano godeva-, salvo la sua parte più settentrionale, costituita dal circondario della città di Calcide, assegnata invece a un altro appartenente alla dinastia erodiana, fratello di Erode Agrippa, anch’egli di nome Erode, -detto appunto “Erode di Calcide”-. Nel 41 poi Claudio, appena asceso al trono imperale, il quale riponeva profonda stima in Erode Agrippa, gli diede anche la Giudea e la Samaria, per cui quest’ultimo riunì sotto la sua sovranità la maggior parte dei territori che erano stati del suo avo Erode il Grande.

L’Iturea era una regione che si estendeva alle pendici del monte Libano tra l’attuale Libano e la Siria meridionale, in quella che è oggi la valle della Beqa’a, -la “Celesiria” (Siria Cava, Koiλη’ Συρìα)- celebre per i complessi di templi monumentali edificati nel II e III secolo a Baalbeck, -chiamata allora anche Heliopolis-; il suo nome derivò probabilmente da quello del biblico Jetur, figlio di Ismaele, ricordato in Genesi, XXV, 15, 16. Dopo aver fatto parte dell’Impero Seleucide, quando questo si sgretolò tra il II e il I secolo a. C. vi si insediò un certo Menneo, di origine araba o aramaica, che vi fondò un piccolo principato. A lui nell’85 a. C. succedette il suo rampollo Tolomeo, a cui a sua volta seguì Lisania, figlio di Tolomeo e di Alessandra, sorella di Antigono Mattatia, ultimo sovrano giudeo della dinastia degli Asmonei, il quale, essendosi alleato con i Parti, fu destituito e fatto giustiziare da Erode, sostenuto dai Romani, che divenne re nel 37 a. C.

Lisania nel 34 a. C. fu accusato da Marco Antonio, forse su istigazione di Cleopatra, di essere complice dei Parti che avevano invaso la Siria, e per questo condannato a morte (si veda “Antichità Giudaiche”, XV, 92). Nel 23 a. C. tuttavia lo staterello passò a un certo Zenodoro, che si ritiene fosse figlio di Lisania, al quale però esso fu tolto da Erode tre anni più tardi.

Dopo la morte di Erode il Grande, come abbiamo detto sopra, passò a Erode Filippo fino alla sua morte nel 34, poi fu per breve tempo riunita alla provincia di Siria, e infine fu assegnata all’itureo Soemo, alla cui morte nel 49 tornò per la maggior parte alle dirette dipendenze di Roma, salvo una piccola porzione mantenuta da suo figlio Noaro fino al 53.

Della Batanea ( termine che era la forma ellenizzata di “Basan” territorio citato più volte nella Bibbia e della quale fu re un certo Og, descritto -in Deuteronomio, III, 11- come un vero e proprio gigante, anzi come l’ultimo rappresentante di una stirpe di dimensioni assai superiori a quelle umane normali, i “Refaim”) (9) e dell’Abilene nel 34 era invece stato insignito con titolo di tetrarca quel Lisania citato sopra, che vi era succeduto a Erode Filippo. Questa regione prendeva il nome dalla sua capitale, Abila, distante circa 18.000 passi (13 km e mezzo) da Damasco e 38.000 passi da Heliopolis di Siria -Baalbek- (28 km) -da non confondere con quella compresa nella Decapoli-, che fu indicata da allora come “Abila di Lisania”, poiché sembra che il suddetto l’abbia rifondata, o comunque rinnovata, tanto che ancora nel secolo seguente il geografo Claudio Tolomeo (100-175 circa), nella sua opera “Geographia” (V, 15, 22), la ricorda come “Aβιλα επικληθεìσα Λυσανìoυ” (-Abila chiamata “di Lisania”-). Questo Lisania è altresì menzionato nel Vangelo di Luca (III, 1-2), e da quanto si afferma in questo passo (“Nell’anno decimo quinto del governo di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era procuratore della Giudea, Erode [Antipa] tetrarca della Galilea e Filippo suo fratello tetrarca dell’Iturea e della regione Traconitide e Lisania tetrarca dell’Abilene”)  sembra che costui fosse a capo della tetrachia di Abilene ben prima del 34, -ma almeno dal 29 (il 15° anno di Tiberio)-. Notiamo inoltre che il termine “abel” o “abil” nel lingue semitiche occidentali significa “prato, distesa erbosa”, e si suppone quindi che sia indizio del fatto che i centri abitati designati con tale nome sorgessero in luoghi fertili e rigogliosi; è messo altresì in relazione con l’Abele biblico, -pastore, e quindi legato ai prati e ai pascoli-, tanto che in una montagna a sud-ovest del borgo sorto sulle reliquie dell’antica cittadina viene mostrata una tomba che dovrebbe essere, secondo la credenza musulmana, il sepolcro del figlio di Adamo. Accanto alla presunta sepoltura, della lunghezza di 54 piedi (quasi 16 m), si vedono i resti di un piccolo tempio, di cui rimangono due colonne. In effetti questo luogo fu accreditato come teatro dell’uccisione di Abele anche da S. Gerolamo.

E’ bene peraltro precisare che nel Corano si accenna ai due figli rivali di Adamo, senza farne il nome, nella sura V, dove si afferma che Allah inviò un corvo a Caino per mostrargli dove e come dovesse seppellire il corpo del fratello ucciso, che era stato il primo degli umani a morire. Nelle tradizioni islamiche extra-coraniche la storia dei due fratelli, -chiamati rispettivamente Habil e Qabil-, si arricchisce invero di numerosi particolari assenti nella scarna narrazione biblica: Qabil (Caino), il primogenito sarebbe nato nel Paradiso terrestre, -e quindi prima della cacciata da esso di Adamo ed Eva-, mentre Habil nacque sulla terra. Inoltre ciascuno dei due avrebbe avuto una sorella gemella (un po’ come Càstore e Pòlluce) aventi i nomi di Aqlima, -quella di Qabil-, e di Labuda, -quella di Habil-. Il padre Adamo avrebbe voluto che ciascuno dei suoi figli si unisse in matrimonio con la sorella gemella dell’altro. Sembra però che Qabil avesse l’intenzione di sposare la propria gemella, che gli appariva più leggiadra. Fu a causa di questo conflitto cha Qabil uccise il suo fratello minore, -che avrebbe avuto l’età di 20 anni- (10). Poiché Habil era il primo uomo sulla terra a perire, l’assassino non sapeva che fare del cadavere: prima lo mise in un sacco, per evitare che fosse spolpato dagli avvoltoi, e poi se lo caricò sulle spalle, vagando senza meta in preda alla disperazione, fino a che non vide un corvo il quale, avendo ucciso il suo avversario nel corso di un combattimento, dopo aver scavato una piccola buca nel terreno, gli dava in essa sepoltura. Qabil pensò dunque di fare altrettanto con il corpo esanime del suo fratello ed inventò così la prima tomba.

Nelle antiche testimonianze si ricorda poi una terza Abila, sita nella regione della Perea di Palestina, -e pertanto detta Abila di Perea-, circea 12 km a nord-est del Mar Morto, già citata nella Bibbia (Numeri, XXXIII, 49) con il nome di “Abel- Shittim” (Prato delle Acacie), dove avrebbe sostato Giosuè prima di attraversare il Giordano. Secondo Flavio Giuseppe (Ant. Giud. IV, 8, 1), era un luogo ricco di alberi da frutto e in particolare di palme da dattero (la Giudea e le regioni circonvicine erano rinomate nell’antichità per la produzione di questo frutto prelibato, che era assai diffuso allo stato fresco sulle mense di tutto l’Impero Romano, dove era largamente esportato -assai più di quanto non sia ora, poiché in Europa è reperibile quasi solo essiccato-).

Con il regno di Malchos II (39-69) la potenza e la prosperità di Petra cominciarono a diminuire, poiché l’importazione delle spezie e dei profumi nell’Impero Romano, sul quale i Nabatei avevano di fatto il monopolio, iniziò ad esercitarsi in parte attraverso le vie marittime del Mar Rosso che la spedizione di Elio Gallo alla fine del secolo precedente aveva contribuito ad aprire, con approdo nei porti egiziani di Myos Hormos, di Berenice e altri. Da essi partivano e giungevano navigli che si spingevano fino alle lontane coste del Malabar e all’isola di Tapròbane (l’attuale Sri Lanka) per rifornire le metropoli dell’Impero Romano, oltre che di spezie e di profumi, pure di tessuti, di gemme, di legni odorosi, financo di animali esotici, come i pappagalli, -e certamente anche allora i cacciatori e i mercanti non si facevano molto scrupolo di strapparli con insidie e violenze ai loro habitat naturali-, che i ricchi romani amavano esibire nelle loro sontuose dimore. E sembra che perfino alcune località dell’Indocina e dell’Indonesia, tra cui l’importante scalo di Kattigara (l’odierna Singapore) avrebbero accolto i mercanti romani: e più tardi al tempo dell’imperatore Marco Aurelio (161-180) missioni diplomatiche e commerciali romane sarebbero state ricevute perfino nella remota Cina degli imperatori Han.

D’altro canto, l’ascesa di Palmyra, nel nord-est della Siria, che era divenuta un importante centro carovaniero che collegava l’Impero Romano a quello parto Arsacide, e accoglieva le carovane che giungevano dal golfo Persico, era causa di un’ulteriore diminuzione dei traffici che facevano capo a Petra. Di questa nuova situazione però trasse beneficio la città di Bosra (o Bostra), altro centro nabateo situato molto più a nord di Petra, che dalla seconda metà del I secolo conobbe un rapido sviluppo e cominciò a rivaleggiare con Damasco.

A causa delle mutate condizioni “geo-politiche”, come si direbbe oggigiorno, al tempo di Rabel II, l’ultimo sovrano indipendente dei Nabatei, che regnò con la regina Giamilah (“Bella”) del 70 al 106, il declino di Petra si accentuò a beneficio di Bostra, ma in generale tutto lo stato nabateo perse la sua importanza fino a che nel 106, alla morte dell’ultimo re, il governatore della Siria Aulo Cornelio Palma, annettè allo stato romano il regno per conto dell’imperatore Traiano, integrandolo, insieme alla Decapoli e ad altre parti della Siria Palestina, nella nuova provincia dell’Arabia Petraea, che prendeva il nome dalla città di Petra, ma la cui capitale era Bostra. Sembra però, da indizi epigrafici non del tutto sicuri, che almeno un altro re dopo Rabel si sia mantenuto nella regione più meridionale e desertica dell’area nabatea, che non fu mai sottoposta al dominio politico né di sovrani ellenistici, né di Roma, il cui centro principale era quella città di Hegra che abbiamo altre volte nominato nella seconda parte del presente articolo.

Tuttavia la fine dell’indipendenza politica non comportò la perdita della floridezza economica e del rigoglio artistico e architettonico della regione, che fu anzi dotata dai Romani di magnifiche strade e di splendidi edifici, soprattutto a Bostra che, come abbiamo detto, aveva sostituito Petra come capitale. Tra le opere pubbliche più grandiose costruite dai Romani si ricorda una strada lunga ben 400 km che collegava Bostra, Petra e la città di Aelana, (l’attuale Elat) posta al vertice del “sinus Aelaniticus” (o “Laeaniticus”) -ovvero il golfo di Aqaba-.

CONTINUA NELLA QUARTA PARTE

Note

1) tuttavia il più famoso monumento di Petra, la tomba rupestre nota con il nome di “el-Khasneh al-Faroun” (“il Tesoro del Faraone”, così detta a motivo di una leggenda araba che vuole che essa contenga il favoloso tesoro di un faraone), divenuta il simbolo della misteriosa città del deserto, risalirebbe al I secolo a.C. poiché sarebbe il mausoleo di Areta III Filelleno (che fu re dall’87 al 62 a.C.); secondo altri però essa sarebbe la sepoltura di Areta IV, -e dunque sarebbe di età posteriore (ipotesi a mio giudizio più probabile).

2) poichè la Palestina dal 312 a. C. appartenne al regno tolemaico d’Egitto e passò alla dinastia dei Seleucidi nel 199 dopo la battaglia di Panion, nella quale Tolomeo V Epifane fu sconfitto da Antioco III il Grande.

3) in età ellenistica fiorì nella regione siro-palestinese una scuola poetica, che coltivò soprattutto il genere epigrammatico, detta appunto “scuola fenicia”, in genere di ispirazione cinica ed epicurea. I membri di tale “scuola” spesso soggiornarono a Tiro, l’antica città fenicia sviluppatasi soprattutto con la produzione e il commercio della porpora, che era divenuta forse il più importante centro culturale della regione, ma spesso poi si recarono e vissero in altri luoghi (specie Asia Minore, Grecia, Italia).

4) “Perea” (Περαiα), -derivato dalla preposzione περαν = “oltre, al di là”-, è un nome attribuito nell’antichità ellenica a territori situati oltre un fiume o un braccio di mare rispetto al centro geografico e/o amministrativo al quale facevano riferimento. Un’altra famosa Perea dell’antichità era la Perea rodia, la piccola porzione di territorio continentale confinante con la Licia che dipendeva dall’isola di Rodi. Le città che avevano fatto un tempo parte della cosiddetta “Pentapoli filistea” (ma che a quel tempo erano popolate soprattutto da Idumei, Arabi e Fenici), -ovvero Gaza, Ascalona, Azoto, Gath e Akkaron (le ultime due già decadute o abbandonate nel periodo da noi considerato – erano invece dipendenti dall’Egitto, e poi direttamente da Roma.

5) in senso stretto il titolo di “tetrarca” indicava il governatore o il sovrano della quarta parte di un territorio in precedenza sottoposto ad unico governo. In particolare era il titolo che era stato attribuito ai piccoli sovrani della Galazia, la regione dell’Asia Minore che alla metà del III secolo a. C. era stata occupata dalla popolazione celtica dei Gàlati (termine greco che corrisponde a quello latino di Galli), che erano stati respinti dalla penisola balcanica, dove nel 279 a. C. avevano assediato Delfi. Questo regno era suddiviso tra le tre tribù dalle quali i Galati erano costituiti, -rispettivamente i Tolistòbogi, la cui capitale era Pessinunte, famosa per essere la sede di un grande santuario di Cibele, la Madre degli Dei della religione anatolica, poi ellenizzata e romanizzata; i Tectòsagi, con capitale Ancyra, l’attuale Ankara; e i Trocmi, la cui capitale era Tavio-, ciascuna delle quali era a sua volta suddivisa in quattro tetrarchie (che però nel corso degli anni si ridussero a tre, a due e infine al comando di una sola persona). In seguito il titolo di “tetrarca” fu attribuito per estensione dai Romani a piccoli sovrani dell’area anatolica e siro-palestinese, “clienti” di Roma.

6) oltre a una cugina e a una nipote delle quali non si conosce il nome, le mogli di Erode furono le seguenti: Doris, di nazione nabatea (e probabilmente legata a lui da parentela per parte materna), da cui ebbe il primogenito Antìpatro; Mariamne I, appartenente alla famiglia reale degli Asmonei, che aveva dominato la Palestina prima di lui (e che secondo le fonti fu la più amata delle sue compagne), dalla quale ebbe cinque figli -3 maschi e 2 femmine-; Mariamne II, figlia di Simone, sommo sacerdote; Malthake, samaritana, madre di Archelao e di Erode Antipa; Cleopatra di Gerusalemme, madre di Erode Filippo; Pallade; Fedra; ed Elpis (“Speranza”), che gli diede una figlia di nome Salomè (“Pace”) (da non confondere con la figlia di Erode Filippo, e divenuta concubina di Erode Antipa, citata nei Vangeli). L’elenco di queste mogli si trova nelle “Antichità Giudaiche” (XVII, 19) di Flavio Giuseppe, che è la più completa fonte di informazione sulle travagliate vicende della dinastia erodiana.

7) Il testo di Macrobio è il seguente: “Cum audisset inter pueros quos in Syria Herodes rex Iudaeorum intra bìmatum iussit intèrfici filium quoque eius occisum, ait: -Melius est Herodi porcum esse quam filium!-” (Avendo saputo che tra i fanciulli di età inferiore ai due anni che Erode, re dei Giudei, aveva comandato di sopprimere in Siria, era stato ucciso anche suo  figlio, [Augusto] disse: -E’ meglio essere un maiale di Erode che un suo figlio!-). In effetti il gioco di parole si comprende tenendo presente che in greco, -lingua nella quale presumibilmente la frase fu pronunciata, poiché di uso abituale nell'”elite” politica e intellettuale romana-, i termini “υς” =maiale, e “υιòς” si rassomigliano alquanto. Da questa testimonianza, la cui fonte non è dichiarata, sembrerebbe che Erode abbia davvero ordinato una strage di infanti, per motivi peraltro ignoti. Flavio Giuseppe, lo storico che narrò con ampiezza le vicende del regno di Erode, descrivendone tutte le efferatezze, non fa alcun accenno a questo episodio, che rimane dunque controverso.

8) il nome “Antipa” con il quale è passato alla storia questo personaggio è un forma ipocoristica, -cioè un abbreviativo- di “Antipatros” (Aντìπατρoς), nome il cui probabile significato è quello di “(colui) che sta davanti al padre”, -che può essere inteso sia come augurio di sopravvivenza (in questo senso si confrontino alcuni antroponimi in uso in età medioevale, quali “Passavanti”, “Passa-in-nante”, ecc. divenuti poi cognomi), sia nel senso di degno continuatore delle virtù paterne-. Tale nome fu piuttosto comune nell’età ellenistica anche perché fu portato tra gli altri da un famoso generale di Alessandro Magno. Quanto al nome “Erode” (Hρωδης) significa “eroico”, “degno di un eroe” o “discendente di un eroe”, derivando da ηρως (eroe, che in senso stretto voleva designare i semidei, figli di una divinità e di una, o un, mortale; poi usato per indicare persona illustre e valorosa in genere).

9) di questo gigante abbiamo fatto menzione nella quinta parte di MITI E MISTERI DI ATLANTIDE, pubblicata il 10 febbraio 2015.

10) in effetti pure in alcune fonti giudaiche extra-canoniche compaiono i nomi e le vicende delle sorelle-spose dei figli di Adamo ed Eva: secondo il “Libro dei Giubilei”, -che è una esposizione ampliata degli eventi narrati nella “Genesi” canonica e nei primi dodici capitoli dell’Esodo (così chiamato perché la narrazione è suddivisa per “giubilei”, ossia i periodi di 49 anni che scandivano l’antica cronologia ebraica, e segnati dalla celebrazione della grande festa del “giubileo”), risalente al II secolo a. C.-, dopo Caino e Abele, Eva aveva partorito la figlia Awan; dopo la morte di Abele, generò Set, e in seguito una figlia, Azura. Caino prese in moglie la sorella Awan, da cui ebbe Enoch, -o Enoh- (da non confondere con l’Enoch figlio di Yared e presunto autore del libro che da lui trasse il nome), mentre Seth sposò Azura che gli diede il figlio Enosh. Dopo questi, Adamo ed Eva avrebbero avuto altri nove figli. In altri testi, quali l'”Apocalisse dello Pseudo-Metodio”, le due sorelle e spose si sarebbero chiamate rispettivamente Calmana e Balbira. Quale sposa di Abele in altre tradizioni si cita il nome di Luluwa (“Perla”); si asserisce ancora che Adamo ed Eva avrebbero avuto come primogenita una femmina, Aclima, e che costei sarebbe stata destinata a sposare Caino, ma egli scelse invece la sorella Awan, che avrebbe trovato più attraente, mentre Azura sarebbe stata moglie di Abele prima di diventarlo di Set; da questa fonte deriva probabilmente la versione riportata nel Corano.

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