I REGNI DELLA NATURA – IL CERCHIO DELLA VITA E DELLA COSCIENZA (seconda parte)

Molte persone hanno acquisito una certa familiarità con la teoria darwiniana dell’evoluzione, avendone un’idea piuttosto vaga, nebulosa ed imprecisa, che si potrebbe riassumere nell’idea che l’evoluzione proceda attraverso la “selezione naturale”, ovvero nella “sopravvivenza del più adatto (o del più forte)”. Purtroppo la dottrina darwiniana è stata semplificata e distorta da alcuni in una immagine di competizione brutale, e in seguito applicata pure alla società umana. L’implicazione e la conseguenza che viene tratta da questa interpretazione della teoria di Darwin è che solo gli individui, -o i gruppi, le aziende, le società…- più forti possano sopravvivere e prosperare; alcuni poi vanno ancora oltre e sostengono che solo i più forti – ma forse sarebbe più esatto dire i più prepotenti e aggressivi-  abbiano il diritto di sopravvivere, idea assai pericolosa che può condurre, e già ha condotto talvolta, a perniciose aberrazioni.

E sulla base di simili interpretazioni, del tutto arbitrarie e inappropriate, del principio di “selezione naturale”, applicate al mondo umano, si vorrebbero talvolta legittimare, giustificare o quanto meno tollerare comportamenti violenti, prepotenza, sopraffazione, quali si manifestano in tristi e riprovevoli fenomeni quali “bullismo”, sfruttamento e financo criminalità organizzata, che sono propri delle società umane e non certo di quelle animali.

E’ vero che anche negli animali esistono forme di conflittualità e di competizione; ma occorre osservare:

1) innanzitutto che tali comportamenti sono dettati dall’istinto e finalizzati alla conservazione della specie -che ovviamente prevale nelle loro espressioni vitali sulle esigenze dei singoli individui, così come gli istinti specifici hanno maggior forza delle qualità individuali -che pure esistono, quanto meno negli animali superiori, che non sono certo la copia una dell’altro-;

2) che i comportamenti conflittuali e competitivi (combattimenti, ecc.) sono di solito “ritualizzati” e contenuti entro limiti ben definiti nel loro modo di esprimersi (sono soggetti a “regole” molto precise, potremmo dire in termini umani) – e quindi la cosiddetta “legge della giungla” in realtà è la “legge” di certi ambienti umani, più che della giungla, o di altri ambienti naturali-;

3) che i criteri e i dinamismi secondo i quali si dispiegano le competizioni interne sono legati alle qualità più utili per il gruppo e per la specie. Quindi, volendo fare un parallelo tra società animali e mondo umano, -nel quale, com’è ovvio, le esigenze e le necessità sono diverse e più complesse-, le qualità ritenute più valide per costituire le gerarchie sociali e definire le posizioni di guida nell’ambito del gruppo sociale sarebbero la solidità psicologica, l’affidabilità, l’intelligenza, la capacità di impegnarsi per il bene comune e non certo la violenza, il sopruso o la sbruffonerie e neppure la prestanza e la forza fisica.

In effetti la teoria darwiniana, per superficialità, ignoranza e talora malafede,  è stata spesso travisata e fraintesa, poiché le originarie osservazioni dello scienziato erano assai più sottili e complesse di questa cattiva caratterizzazione che ne è stata data: “adatto” non equivale a “forte”, ma può riferirsi a qualunque tratto ereditario che conferisca all’organismo le maggiori probabilità di sopravvivere e riprodursi. Inoltre, se è vero che molte specie ne predano altre o competono con esse per il cibo, le simbiosi (1), in cui specie diverse intrattengono interazioni a lungo temine più o meno complesse che arrecano benefici ad una o ad ambedue di esse, sono ampiamente diffuse sia nel regno animale sia in quello vegetale.

Esempio tipico di simbiosi mutualistica: la collaborazione tra i pesci pagliaccio (genere Amphiphrion) e le Attinie.
Esempio tipico di simbiosi mutualistica: la collaborazione tra i pesci pagliaccio (genere Amphiphrion) e le Attinie.

La biologa Lynn Margulis sostiene con valide argomentazioni che la simbiosi, ovvero la cooperazione, è un’importante forza motrice all’interno dei processo di evoluzione.

Occorre ribadire con forza che i principi di “selezione” e “adattamento” che la teoria darwiniana pone come fattori fondanti e determinanti dell’evoluzione degli esseri viventi, -sia all’interno di una specie, sia tra una particolare specie ed un’altra che da quest’ultima si sviluppi-, non significano affatto sopraffazione, dominio del più “forte” e sottomissione o annientamento del “debole” (o presunto tale).

Per chiarire questo principio con un esempio, poniamo che una specie di piccoli Roditori viva in un ambiente naturale in cui prevalgono terreni colore chiaro e di natura sabbiosa, come sono molte zone desertiche, gli esemplari dotati di pelame più chiaro, che riescono a mimetizzarsi meglio nell’ambiente che li circonda, saranno meno di frequente vittime dei predatori, e di conseguenza favoriti rispetto ai loro congeneri dal pelame più scuro, così che a lungo andare saranno destinati a prevalere su di essi, più visibili e quindi più vulnerabili: dunque la loro sopravvivenza ed affermazione è assicurata e determinata non dal fatto che siano più aggressivi o competitivi, ma dalle loro caratteristiche cromatiche che li rendono maggiormente in sintonia con l’ambiente naturale nel quale si trovano a condurre la loro esistenza. Abbiamo dunque in questo caso una forma di”adattamento passivo”,che si contrappone, ma talora puo anche affiancarsi, ad un “adattamento attivo”, quale ad esempio quello dimostrato da molte specie animali mettendo in atto adeguate strategie per ripararsi dai rigori del clima  o per conservare le proprie risorse alimentari quando non vengano cosumate subito dopo averle procurate.simbiosi2

Inoltre vediamo che se nel mondo animale esistono senza dubbio la predazione e la competizione, sia tra specie diverse sia nell’ambito della medesima specie, non meno numerosi, importanti e significativi sono gli esempi di collaborazione e di reciproco aiuto (basti pensare alle società dei lupi, degli elefanti e molte altre).

Sembra però che lo studio dell’evoluzione fisica non offra una chiara indicazione sul modo con cui l’umanità si colleghi e sul tipo di relazioni che dovrebbe instaurare con gli altri regni della Natura: pertanto, dobbiamo considerare l’evoluzione sotto una luce diversa: la luce della Coscienza. La tradizione della Saggezza Eterna ci addita il compito di favorire e assecondare le sviluppo di tale coscienza in tutti gli esseri, oltre che in noi stessi.

Quest’opera di sostegno e di aiuto ha grande importanza e si può compiere nel modo più fruttuoso, significativo e tangibile soprattutto in tre aree: gli animali di notevole intelligenza, cioè i Vertebrati (ma anche certi Invertebrati, come Cefalopodi e alcune specie di Insetti); gli animali domestici “da compagnia” o “da affezione” e gli animali da allevamento. E’ da notare peraltro che queste tre aree si sovrappongono spesso in modo assai rilevante.

Gli animali più a contatto con le popolazioni umane in generale sono senza dubbio gli animali domestici, nel senso etimologico del termine, cioè che vivono nelle case in una stretta relazione con i loro padroni -o forse sarebbe più appropriato dire compagni- umani. L’interazione che viene ad instaurarsi con essi per molti aspetti è simile alle relazioni affettive inter-umane, giungendo talora a sostituire, in tutto o in parte, queste ultime. L’ovvia analogia che risulta evidente in questo tipo di rapporto tra uomo e animale è quella con la relazione adulto-bambino, poiché un animale, come un bambino, è ampiamente dipendente dall’umano adulto per la cura e la crescita. Non v’è dubbio che tra animali domestici e umani si possano sviluppare forti e profondi affetti e che questo sia benefico per entrambi.

Lo scopo principale delle relazioni parentali è, o dovrebbe essere, aiutare il bambino che cresce a scoprire i propri punti di forza per svilupparli e valorizzarli; ed anche individuare i propri punti di debolezza per superarli, o magari trasformarli in qualità positive; in altre parole imparare a “conoscere sé stesso”, secondo l’insuperato insegnamento socratico. E, fatte le dovute differenze, così dovrebbe essere per l’animale domestico, per quanto possano riconoscersi punti di forza e di debolezza nel suo carattere.

E questo in fondo è il significato etimologico e il senso più esatto del termine “educazione”, che deriva dal verbo latino “e-, duco, -ere”, =condurre o guidare fuori, e quindi condurre all’esterno e portare a compimento, o quanto meno avviare tale opera, le qualità presenti allo stato potenziale, o “in nuce”, in un individuo (in termini aristotelici potremmo definire tale processo portare dalla potenza all’atto). Non v’è dubbio che un autentica educazione non possa essere che un'”autoeducazione”, poiché l’intervento e l’opera di un vero maestro non tendono a imporre e inculcare le idee, i valori, i comportamenti, le nozioni, più o meno validi, che egli ritiene importanti, ma a fornire degli stimoli che consentano al discepolo di scoprire dentro sé stesso le sue capacità e le sue autentiche qualità: la sua missione è dunque essenzialmente “maieutica”: non dà qualcosa dall’esterno, ma aiuta a far schiudere nell’interiorità, nello spirito e nella mente dell’educando, il germoglio della sua natura personale. Questo vale per il bambino, per l’adolescente (ma anche per l’adulto, perché il processo educativo, inteso in questo senso, non ha mai termine) e per l’animale, -ovviamente ciascuno in ordine alla propria natura specifica, oltre e prima di quella individuale-.

Per questo sono da riprovare certi metodi di addestramento che tendono a conculcare le esigenze e gli istinti degli animali, anziché guidarli e finalizzarli a scopi utili, per l’uomo, ma soprattutto per l’animale stesso, o addirittura fanno ricorso a strumenti crudeli e fonte di stress per l’animale che vi viene sottoposto; per non parlare di quelle forme di addestramento che, oltre a far ricorso a metodi violenti, hanno anche delle finalità alquanto discutibili, come offrire degli spettacoli alla spesso malsana brama di divertimento dell’uomo.

La vera educazione è anche uno scambio, perché non vi è persona, per quanto saggia e colta, che non abbia qualcosa da imparare dagli altri, e quindi un autentico maestro saprà sempre trovare nella relazione e nel dialogo con il discepolo, sia esso umano o animale o perfino pianta, degli insegnamenti e degli spunti di riflessione.

Inoltre assegnare ad un bambino, se dotato di adeguata sensibilità e opportunamente preparato, la cura e la responsabilità parziale di un animale domestico può risultare un fruttuosa fonte di lezioni di vita.

CONTINUA

Note

1) ricordiamo che le relazioni di tipo sinbiontico tra due organismi diversi -sia entrambi vegetali, sia entrambi animali e talvolta tra un vegetale e un animale-, assumono principalmente le tre forme del MUTUALISMO, che si insatura allorché sia l’uno che l’altro degli esseri viventi coinvolti traggono vantaggio dalla convivenza e si ha quindi una vera e propria collaborazione; del COMMENSALISMO, quando solo per uno dei due tale comunione di vita risulti utile, ma senza che l’altro ne subisca danno alcuno, dell’INQUILINISMO, allorché uno degli organismi beneficia del nido o della tana dell’altro abitandovi stabilmente, ovvero attaccandosi al guscio, corazza o carapace del suo ospite si fa trasportare da esso. Il termine “simbiosi” fu coniato dal botanico tedesco Heinrich Anton de Bary (1831-1888) nel 1879 per qualificare la natura dei Licheni, che egli dimostrò essere una associazione di un’alga e di un fungo.

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8 Risposte a “I REGNI DELLA NATURA – IL CERCHIO DELLA VITA E DELLA COSCIENZA (seconda parte)”

  1. Some genuinely great information, Glad I discovered this. Good teaching is onefourth preparation and threefourths theater. by Gail. gefacadgadkf

    1. Sorry, but I dont know english very well and I’m not able to translate my research. Tank you anyway for follow my blog! Ciao!

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