GARIBALDI SCRITTORE (E LETTORE) (prima parte)

“1. Ricordare all’Italia tutti quei valorosi che lasciarono la vita sui campi di battaglia per essa. Perché se molti sono conosciuti, e forse i più cospicui, molti tuttavia sono ignorati. A ciò mi accinsi come dovere sacro.

2. Trattenermi con la gioventù Italiana sui fatti da lei compiuti e sul debito sacrosanto di compire il resto accennando colla coscienza del vero le turpitudini ed i tradimenti dei governi e dei preti.

3. Infine campare un po’ anche col mio guadagno.

Ecco i motivi che mi spinsero a farla da letterato, in una lacuna lasciatami dalle circostanze, in cui ho creduto meglio: far niente, che far male.

Né miei scritti quasi esclusivamente parlerò dei morti. Dei vivi meno che mi sia possibile, attenendomi al vecchio adagio: gli uomini si giudicano bene dopo morti.

Stanco della realtà della vita, io stesso ho creduto bene di adottare il genere romanzo storico.

Di ciò che appartiene alla storia, credo essere stato interprete fedele , almeno quanto sia possibile d’esserlo poiché particolarmente negli avvenimenti di guerra, si sa quanto sia difficile poterli narrare con esattezza.

Circa alla parte romantica, se non fosse adorna ella storica, in cui mi credo competente, e dal merito di svelare i vizi e le nefandezze del pretismo, io non avrei tediato il pubbico, nel secoli in cui scrivono romanzi i Manzoni, i Guerrazzi ed i Victor Hugo”.

Questa è la prefazione con la quale Giuseppe Garibaldi aprì il suo primo romanzo -nonchè il più conosciuto-, ” Clelia o il governo dei preti”. In effetti l'”Eroe dei due mondi”, oltre che vindice della libertà e protagonista del nostro Risorgimento, fu anche scrittore: la sua produzione lettararia, oltre alle “Memorie” che narrano le sue epiche imprese, annovera quattro romanzi (“Clelia”, -a cui abbiamo già accennato-, “I Mille”, “Cantoni il volontario” e “Manlio, romanzo contemporaneo”), un dramma storico in cinque atti (“Elisabetta d’Ungheria”) e alcune poesie in italiano e in francese.garibaldi11

L’attività letteraria di Garibaldi inizia a partire dal 1867, quando, dopo il fallimento del suo tentativo di liberare Roma, si trovava in uno stato di amarezza e di delusione, al quale tentò di reagire intraprendendo questa via delle lettere, -peraltro non del tutto nuova per lui, perchè in effetti anche in precedenza si era dedicato alla stesura delle sue memorie e alla composizione di versi-; attività che si intensificò poi negli anni successivi, allorchè, conclusosi con la conquista di Roma il percorso storico dell’Unità d’Italia (alla quale pure mancavano ancora le terre irredente del Trentino, della Venezia  Giulia e dell’Istria, -nonchè della Corsica, che dal punto di vista geografico e storico appartiene anch’essa all’Italia-) (1), sembrava anche terminato l’eroico sforzo compiuto dal movimento risorgimentale. Per, tale ragione Garbaldi credette bene, come afferma egli stesso, lasciare una testimonianza di tutte le vicende epiche ed esaltanti, ma pure tristi e dolorose alla quali aveva assistito, ma soprattutto di cui era stato protagonista.

E se queste vicende sono narrate in modo diretto, quale testimonianza della sua personale esperienza nelle “Memorie”, egli volle anche farne oggetto di romanzi, le cui trame e i cui personaggi,sebbene di fantasia, sono chiaramenti ispirati agli eventi e alle persone reali e restituiscono un quadro suggestivo degli ambienti e dei sentimenti che fecero da sfondo alle lotte risorgimentali.

Per quanto la critica sia stata alquanto severa nei confronti delle fatiche letterarie del nostro, in specie dei romanzi, -che considera una via di mezzo tra il “pamphlet” polemico e il romanzo d’appendice, visto il tono oratorio e il violento anticlericalismo dal quale sono contraddistinte e la complessità rocambolesca delle trame,- mi sembra che almeno certe pagine di questi romanzi, soprattutto le descrizioni e talvolta i discorsi dei protagonisti, siano notevolmente efficaci e degne di essere conosciute.

E’ bene precisare che sull’educazione e la formazione culturale di Garibaldi, e in genere sulla sua prima giovinezza, non si conosce molto. Nato da genitori liguri in una città al confine tra Francia e Italia (2), egli ebbe la possbilità di apprendere, oltre all’italiano, il francese (nonchè i rudimenti dell’inglese), ma durante i suoi molti viaggi e le sue celebri imprese nell’America Latina ebbe frequenti contatti soprattutto con lo spagnolo e il portoghese, che imparò alla perfezione.

Sappiamo che i suoi studi scolastici a Genova non furono molto proficui, ma che in lui fu sempre viva una grande passione per la storia antica e per gli scrittori italiani (in special modo Alfieri, Foscolo e Guerrazzi), delle quali, -come avremo modo di vedere-. troviamo un’evidente influenza nei suoi scritti. Garibaldi fu senza dubbio un lettore appassionato, e se non fu certo un intellettuale, tuttavia la scrittura ebbe sempre una parte e una funzione importante nella sua vita. Oltre a intrattenere numerosi rapporti epistolari, -sia in italiano sia in francese-, era solito annotare le sue osservazioni e le sue impressioni durante i lunghi percorsi marittimi e terrestri che compì in varie parti del mondo, e nei momenti di riposo dalle campagne militari (nel 1862 si era cimentato anche in un “Poema autobiografico”). Negli ultimi anni furono anche le ristrettezze economiche, -come afferma lui stesso nella prefazione di “Clelia”-. che lo spinsero a scrivere i quattro romanzi e a curare la revisione definitiva delle sue “Memorie”, alle quale si dedicava fin dagli anni Quaranta.

Nell’ottobre del 1882, a pochi mesi dalla morte del Generale (3), fu redatto, ad opera del notaio Raimondo Altea, un inventario dei beni del fondo di Caprera, che comprende pure un elenco dei libri da lui poseduti. In esso appaiono 3866 volumi (il cui valore è calcolato in 4386 lire), tra i quali, -secondo quanto è riportato nell’atto notarile,- “1175 volumi di autori diversi; un volume grandioso contenente gli ornati, le pareti, i pavimenti delle stanze dell’antica Pompei; un volume atlante del mare Adriatico; 10 volumi di gran lusso delle antichità di Ercolano un volume numismatico; due volumi in grande della “Divina Commedia” di Dante Alighieri; un volume in lusso della storia d’Inghilterra con fotografia, il libro della natura di Fenice Schoedler; la “Vita” di fra Paolo Sarpi; 666 opere di di diversi autori, fra i quali Tasso, Foscolo, Villani, Ariosto, Alighieri, Dossi […]; diverse scritture, lettere e corrispondenze col Generale Garibaldi che, ritrovate e verificate in mezzo a stampati non hanno rapporto al suo satto patrimoniale, ma contengono memorie, ricordi, note e documenti, come si disse, di corrispondenza”.

L'"incipit" del romanzo "Clelia".
L'”incipit” del romanzo “Clelia”.

Quando nel 1916 la vedova Francesca Armosino  e la figlia Clelia (che erano rimaste uniche proprietarie dei beni di Garibaldi, dopo una lunga controversia con Ricciotti) cedettero allo Stato Italiano la casa- museo di Caprera con i cimeli che conteneva, fu redatto un nuovo inventario dei libri, che vennero catalogati e collocati in appositi scaffali a vetri. Dall’esame dei volumi, si rileva che essi nel corso degli anni sono stati sottoposti a diverse fasi di inventariazione (infatti quasi tutti gli esemplari presentano sulle copertine etichette recanti dei numeri manoscritti e ulteriori numerazioni apposte con matite rosse e blu sui frontespizi); ma nella maggior parte dei casi gli inventari corrispondenti non sono più reperibili.

Osservando i libri e i manoscritti che si trovano nella biblioteca di Garibaldi a Caprera emergono, oltre che i suoi interessi e le sue preferenze nell’ambito culturale e letterario, la fitta rete di relazioni che intrattenne con patrioti e letterati, non solo italiani, ma di vari paesi d’Europa.  Antonino Abate, poeta di tendenza mazziniana ed affiliato a società segrete, gli mandava tutti i suoi poemetti; pensatori e scrittori socialisti e repubblicani, quali Vincenzo Moscatelli, Leone Mocci, Mario Rapisardi, Alberto Mario, Mauro Macchi, Quirico Filopanti, Giovanni Bovio e molti altri non mancavano di inviare all'”Eroe dei due mondi” le loro opere non solo di carattere politico e patriottico, ma pure letterario e scientifico, corredandoli di dediche autografe. Donne che profusero il loro impegno umano e politico nelle cause umanitarie più nobili, come Anna Maria Mozzoni, tra le prime propugnatrici dell’emancipazione femminile in Italia, e Alaide Gualberta Beccari, direttrice del periodico “La Donna”; giornaliste che erano state ospiti a Caprera, tra le quali Jesse White Mario, -consorte del patriota Alberto Mario-, che si era prodigata con la sua opera per lenire le misere condizioni delle classi povere, e Louise Colet, continuarono a inviargli per anni le loro pubblicazioni.

Ammiratrici straniere, tra cui si notano la nobildonna inglese Emma Roberts, la scrittrice Dora d’Istria (4), la storica inglese Emma Blyton e la letterata tedesca Maria Speranza von Schwartz (che nel 1861 aveva pubblicato sotto il nome d’arte di Melena Elpis -in greco “speranza”- la traduzione in tedesco delle sue memorie) contribuirono ad arricchire la biblioteca di Garibaldi non solo con gli scritti che avevano personalmente composto, ma pure con libri di altri autori che ritenevano potessero interessarlo,

Molti di coloro che avevano combattuto a fianco del Generale, una volta tornati alla vita quotidiana, vollero confermare la loro stima e ammirazione dedicandogli i propri scritti: primo tra tutti il tenente Enrico Albanese, suo medico personale, seguito dal memorialista dei Mille Giuseppe Bandi (5), dal caporale Giuseppe Barberis, da Salvatore Pastiglia e Luigi Orlando, due degli organizzatori della spedizione del Mille. -il primo dei quali aveva capitanato il “Piemonte”, uno dei due vascelli con i quali i garibaldini avevano raggiunto il suolo siciliano-, e da diversi altri che avevano partecipato alle avventurose imprese delle Nostro.

Nella biblioteca sono conservati testi in varie lingue, poichè Garibaldi parlava cinque lingue: oltre all’italiano e al francese, appreso fin dall’infanzia, e allo spagnolo e al portoghese nei quali aveva imparato a esprimersi durante la lunga permanenza nell’America Latina, i suoi biografi sostengono che parlasse un ottimo tedesco.

Da notare la presenza nella biblioteca di Caprera di opere di ispirazione anticlericale, come “Jesus devant l’histoire n’a jamais vécu” di Louis Ganeval (5) e l’anonimo “Le Maudit”, che era stato messo all’Indice non appena era stato stampato nel 1864. Tra le opere straniere, emergono gli scritti dell’esule russo Aleksandr Ivànovic Herzen e della celebre “infermiera” Florence Nightingale, entrambi conosciuti da Garibaldi a Londra ripsettivamente nel 1864 e nel 1874, del generale austriaco Franz Kuhn, suo avversario nella battaglia di Bezzecca del 1866, del filosofo politico spagnolo Eugenio Garcìa Ruiz e della pedagogista Augustin Girault, che nel 1869 aveva inviato una sua pubblicazione, dedicandola “aux petits enfants du Genéral Garibaldi”.

La presenza nel fondo di testi di argomento militare e strategico, di carte geografiche e topografiche si può considerare ovvia tra le letture di un grande condottiero; così come, tenendo conto della sua attività politica, lo è la serie dei volumi degli Atti Parlamentari e gli opuscoli dei discorsi dei deputati e senatori, appartenenti sia allo schieramento governativo, sia all’opposizione.

La casa di Garibaldi a Caprera.
La casa di Garibaldi a Caprera.

I progetti di bonifica delle aree paludose della Sardegna infestate dalla malaria attraverso un vasto programma di lavori idraulici giustificano le numerose pubblicazioni e relazioni riguardanti opere di bonifica già attuate in altre arti d’Italia, nonchè di trattati di medicina sulle malattie infettive. Un numero considerevole di libri di matematica, astronomia, geografia e diritto commerciale è da ascrivere al fatto che la conoscenza di queste discipline era necessaria per il conseguimento del diploma di capitano della Marina. Dalle biografie di Garibaldi apprendiamo che la dimestichezza con le matematiche gli fu utile allorchè, trovandosi nella condizione di escogitare un’occupazione per guadagnare di che vivere, fece l’insegnante di aritmetica, -come avvenne a Costantinopoli nel 1828 e in America Latina nel 1841-. Quanto all’astronomia, manifestò per essa una passione crescente, tanto che a fianco della casa di Caprera costruì una torretta per avvalersene a guisa di osservatorio celeste.

Nel 1828, mentre navigava alla volta di Costantinpoli, Garibaldi incontrò David Barrault, deputato liberale al parlamento francese, dal quale ricevette in dono una copia de “Il Nuovo Cristianesimo”, -l’opera principale di Claude Hernry de Saint-Simon-, che egli conservò per tutta la vita. In tal modo il Nostro entrò in contatto con il socialismo saint-simoniano, dal carattere solidaristico e romantico, nato agli inizi del XIX secolo in contrapposizione a quello rivoluzionario di Babeuf e di Filippo Buonarroti, e che ebbe una profonda influenza su di lui.

Gli autori classici e i grandi narratori romantici suscitarono sempre un vivo interesse in Garibaldi, e ne ispirarono le opere letterarie. Tra i romanzi primeggiano quelli di Alexandre Dumas padre e di Victor Hugo, con i quali aveva stretto amicizia e che furono suoi ferventi ammiratori e sostenitori (a Victor Hugo aveva anche dedicato il suo lungo “Poema autobiografico”). Dante, Leopardi, Alfieri e Tasso furono le sue letture predilette, accanto a parecchi volumi di narativa straniera. Assai significativa è la presenza di una cinquantina di titoli della “Collection of British authors”, donatigli dal colonnello John Chambers e dalla moglie Emma, quando nel 1862 si trattennero a lungo nell’isola di Caprera, durante la convalescenza dell’eroe, che era rimasto ferito negli scontri in Aspromonte, per cercare di convincerlo a tornare in Inghilterra.

Nella biblioteca del Generale figurano anche diverse opere di autori sardi e sulla storia e le bellezze artistiche e naturali di quella terra, alla quale era assi legato. Tra di esse, il catalogo del Regio Museo Archeologico di Cagliari, inviatogli dal senatore Giovanni Spano, canonico e docente dell’università cagliaritana, di orientamento liberale. Giovanni Battista Tuveri, singolare figura di pensatore politico, gli fece pervenire il suo libro “Della libertà e delle caste”, pubblicato nel 1871, mentre l’impresario Luigi Falqui Massidda gli diede la sua “Illuminazione della città di Cagliari” del 1877.

A Caprera Garibaldi aveva creato una piccola azienda agricola che bastava al sostentamento di una modesta comunità, al centro della quale era la sua famiglia: per questo tra i suoi libri troviamo non pochi volumi ed opuscoli che trattano di agronomia e altri temi pertinenti la coltivazione dei campi e le colture arboricole, e l’allevamento degli animali.

Garibaldi a Caprera.
Garibaldi a Caprera.

Tra di essi compaiono “Lezioni di agricoltura pei contadini con molte figure nel testo”, “Lo stato e l’allevamento equino”, il “Trattato completo di agricoltura compilato dietro le più recenti cognizioni scientifiche e pratiche” dell’agronomo Gaetano Cantoni e molte altre pubblicazioni che restano a testimoniare l’opera diuturna con la quale Garibaldi aveva trasformato la brulla isoletta di Caprera impiantandovi vigneti, oliveti, alberi da frutto ed allevando bestiame.

Dobbiamo peraltro sottolineare che nell’allevamento degli animali della fattoria Garibaldi dimostrò sempre una grande umanità e sensibilità, anzi fu in Italia uno dei primi difensori degli animali, tanto che nel 1871, anche per consiglio e impulso della nobildonna inglese Anna Winter, fondò a Torino la “Società Reale per la Protezione degli Animali”, -che nel 1938, unendosi ad altre associazioni divenne l’ENPA (Ente Nazionale Protezione Animali)-.

Quando nel 1863 si recò a far visita all’Eroe dei Due Mondi, Michail Bàkunin, -uno dei fondatori del movimento anarchico-, osservò i componenti della comunità “mentre lavoravano i campi in giacca di tela dal colletto aperto e camicia rossa, o macinavano il grano, o riposavano stesi sulle rocce in pose pittoresche” e vi vide “il modello di una repubblica democratica sociale, quasi un’eco dell’isola del pirata ne “Il Corsaro” di Byron”.

Questo excursus sul libri posseduti sa Garibaldi ci aiuta a capire il sostrato culturale e ideale del quale, -oltre ovviamente che dalla sua vasta esperienza di combattente e di navigatore accumulata in varie parti del mondo,- del quale si sostanziarono i suoi scritti letterari. Sono oltremodo significativi i nomi dei tre scrittori che cita nella prefazione di “Clelia”, per proclamare la propria inferiorità ad essi -e implicitamente per dichiarare la sua ammirazione verso le loro opere-: Manzoni, Guerrazzi e Victor Hugo, poiché è evidente che ad essi intese ispirarsi nel suo primo romanzo (e in generale anche negli altri che scrisse in seguito): ai “Promessi Sposi” nel tema della fanciulla felicemente fidanzata ad un suo pari vittima della malsana passione di un tiranno (il cardinale Procopio in Clelia) che cerca di usare del potere da lui detenuto per soddisfare le sue brame sensuali; ai “Miserabili” la descrizione e la denuncia dell’ingiustizia sociale, della miseria e della corruzione regnanti a Roma sotto il “governo dei preti”. Ma è soprattutto con i romanzi storici di Francesco Domenico Guerrazzi  (6) che si riscontrano in “Clelia” le più spiccate affinità, sia di stile sia di contenuto: ad essi l’accomunano la focosità oratoria e l’ardente anelito patriottico, nonché un certo gusto dell’orrido che traspare qua e là in alcune atmosfere e descrizioni.

La trama del romanzo, -la cui ambientazione è contemporanea all’epoca di redazione (1866-67)-,  è alquanto complessa, e numerosi i personaggi che vi hanno parte e sarebbe troppo lungo farne un riassunto dettagliato; per cui la riassumo in modo molto sintetico.

Clelia è la bellissima figlia dello scultore Manlio, e di Silvia. Ella, detta per la sua radiosa leggiadria la “Perla di Trastevere”, suscita la lasciva passione del cardinale Procopio, corrotto prelato nella cui figura è quasi certamente adombrata quella del cardinale Giacomo Antonelli, segretario di stato di Pio IX -notoriamente tutt’altro che insensibile alle grazie femminili-, il quale tramite i servigi di un suo losco lacchè, cerca di ottenere la condiscendenza del padre alla sua opera di seduzione. Non essendo riuscito nel suo intento, fa arrestare Manlio con l’accusa di cospirazione contro il governo pontificio. La fanciulla si reca allora dal cardinale, insieme alla madre e a una generosa vicina di casa, Aurelia, per perorare la causa del padre; ma questi tenta con vari allettamenti di convincere Clelia a cedere alle sue profferte in cambio della salvezza di Manlio. Ella  rifiuta con sdegno tale infame mercimonio e viene sottratta alle brame di Procopio dall’arrivo di Attilio, amico d’infanzia di Clelia, combattente per la libertà e anima della resistenza al governo papale, che si stava concretando in quei giorni in una congiura che avrebbe dovuto abbatterlo. Per difendere la fanciulla egli non può fare a meno di togliere alla vita al cardinale e a due suoi malvagi accoliti.

Clelia e Attilio vengono aiutati da una loro amica inglese, Giulia, e al suo fidanzato rivoluzionario, Muzio; essi fuggono dapprima nelle selve della campagna romana e da qui, raggiunta la costa, si imbarcano alla volta di un’isoletta, dove prospera una piccola comunità, il cui capo, “il Solitario”, fervente repubblicano, -nella cui figura si cella Garibaldi stesso-, li persuade a tornare sulla terraferma a combattere per la libertà della patria. Attilio e Muzio cadono in battaglia, divenendo martiri della causa dell’indipendenza e unità d’Italia e conquistando così gloria imperitura.

CONTINUA NELLA SECONDA PARTE

1) per molti  patrioti la Corsica apparteneva di diritto alla nazione (si veda ad esempio G. Mazzini nel capitolo sulla patria dei “Doveri dell’uomo”).

2) nel 1807 Nizza apparteneva all’Impero francese.

3) Garibaldi era morto a Caprera il 2 giugno di quell’anno.

4) nome d’arte della principessa russa d’origine romena Helena Koltsova Massalskaya, nata Elena Glika (1828-1906).

5) l’opera del Bandi, “I Mille”, che era stata pubblicata a puntate su alcuni giornali, tra cui “Il Telegrafo” di Livorno, -giornale fondato dal Bandi stesso.-, distinta in tre serie successive. “Da Genova a Marsala. Da Marsala a Palermo. Da Palermo a Capua”, fu poi riunita in un volume unico nel 1902 dall’editore Salani.

5) studioso di antichità egizie (e insegnante di francese in Egitto). Nell’opera citata, -pubblicata nel 1874-, gli sosteneva che la figura di Gesù Cristo fosse una trasformazione del dio greco-egizio Serapide. il cui culto, affermatosi nell’età tolemaica, si era sovrapposto a quello di Osiride.

6) in special modo “Veronica Cybo”, “Isabella Orsini” e “Beatrice Cenci”.

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