OSSERVAZIONI SULLA NASCITA DEL CRISTIANESIMO -seconda parte-

Prima di proseguire nel nostro discorso è opportuno esporre la situazione della Palestina tra la fine del I sec. a. C. e la prima metà del I d. C.

Mentre nel suo sviluppo storico l’area palestinese presenta i confini tra le subregioni che ne fanno parte disposti soprattutto da sud a nord (territori di Edom, dei Filistei, dei due regni ebraici di Giuda e di Israele, Fenicia, Basan e Golan), dal punto di vista fisico le differenze prevalgono nella direzione ovest-est, lungo la quale si possono distinguere una regione mediterranea, piuttosto stretta, che è la più fertile; una fascia centrale caratterizzata da bassi rilievi; e la depressione entro la quale scorre il Giordano, che ha le sorgenti nel monte Hermon in Libano e prima forma il lago di Tiberiade, poi si getta come immissario nel Mar Morto (detto nell’antichità anche “Lago Asfaltite”). Ad oriente del corso del fiume, il territorio si fa sempre più arido e desertico.

Dopo la morte di Erode il Grande, il suo regno era stato diviso fra tre dei suoi figli: Archelao, il maggiore, che il re aveva avuto dalla samaritana Malthake, ebbe la Giudea, la Samaria e l’Idumea (che era la terra d’origine della dinastia), -la parte principale del dominio di Erode il Grande-, non con il titolo di re, ma di “etnarca”, ovvero “capo del popolo”; Erode Antipa, -anch’egli rampollo di Malthake-, divenne tetrarca della Galilea e della Perea; ad Erode Filippo, -nato da Cleopatra di Gerusalemme (1)-, andarono alcune regioni a nord del regno: la Traconitide, l’Auranitide, la Gaulanitide, la Batanea e parte dell’Iturea, sempre con il titolo di tetrarca. Inoltre, secondo Flavio Giuseppe, a Salomè, sorella di Erode (da non confondere con la Salomè citata nei vangeli, figlia di Erode Filippo e di Erodiade), furono assegnate alcune città, tra cui Iamnia e Azoto sulla costa, nonché il palazzo reale di Ascalona. Questa divisione del regno di Erode fu stabilita, oltre che per effetto del testamento del defunto re, in seguito ad un arbitrato di Ottaviano Augusto a cui si era rivolta una delegazione di Giudei, che non erano affatto soddisfatti di Archelao, contro il quale erano scoppiate delle rivolte, oltre che per le rimostranze di Salomè e di Erode Antipa.

La Giudea era il territorio in cui dopo l’ingresso degli Ebrei in Palestina si era insediata la tribù di Giuda e che era stato il fulcro del primo regno israelitico. Dopo la morte di Salomone nel 933 a. C. circa a causa delle discordie che erano nate e si erano sempre più approfondite fra le tribù, lo stato ebraico si divise in due entità distinte: a sud il regno di Giuda, che comprendeva l’omonima tribù e quella di Beniamino, con capitale Gerusalemme; a nord il regno di Israele costituito dai territori occupati dalle altre dieci tribù, che ebbe come capitale prima Tirsa e poi dall’882 a. C. Samaria. I sovrani dei due regni erano rispettivamente Roboamo e Geroboamo, entrambi figli di Salomone.LOCM-Samaria

Gli abitanti della Samaria, -che prese il nome dalla capitale- erano in gran parte discendenti di genti mesopotamiche che gli Assiri avevano trasferito nella regione, dopo che la maggior parte degli Ebrei ne erano stati deportati in Assiria. Infatti il re assiro Tiglat-Pileser III nel 733 a. C. aveva annesso ai suoi vasti domini una parte del regno di Israele, che fu poi definitivamente abbattuto nel 721 con la conquista e la distruzione di Samaria ad opera di Salmanassar V. Secondo quanto narra la Bibbia (IIRe, XVII, 24-40), poiché i nuovi venuti “non temevano il Signore”, questi inviò contro di essi un gran numero di leoni; pertanto il re d’Assiria comandò che fossero loro inviati alcuni sacerdoti ebrei affinché fossero istruiti nel culto del dio del luogo. Essi però, pur accogliendo la nuova religione, continuarono, -sempre stando al racconto biblico-, a venerare anche le divinità assiro-babilonesi. Secondo Flavio Giuseppe (Antichità Giudaiche, IX, 288) gli immigrati provenivano da una regione della Media, detta Chuthia, e pertanto egli li chiama “Chuthei”; dagli accenni che si fanno nella Bibbia alla loro religione originaria sembra però che fossero Assiro-Babilonesi e non Medi.

Al tempo di Alessandro Magno, -e precisamente nel 328 a. C., dando credito a Flavio Giuseppe che ne parla in “Antichità giudaiche”, XIII, 9,1 e in “Guerre giudaiche”, I, 2, 6-, i Samaritani edificarono un tempio sul monte Garizim, nel luogo ove sarebbe avvenuto il sacrificio di Abramo, in sostituzione del tempio di Gerusalemme. Questo tempio fu poi distrutto da Giovanni Ircano I, re e sommo sacerdote della dinastia degli Asmonei, nel 128 a. C. Per questa ragione i Samaritani non furono mai considerati “veri ebrei” dai Giudei e tra i due gruppi nacque una tenace avversione reciproca che si è prolungata fino ai giorni nostri.

Teatro romano di Samaria-Sebaste.
Teatro romano di Samaria-Sebaste.

Nella capitale Samaria nel 331 a. C. Alessandro Magno aveva insediato una colonia macedone, e quindi la città aveva perso in gran parte il suo carattere ebraico. Essa fu poi distrutta da Giovanni Ircano nel 108 e dopo alterne vicende fu ricostruita nel 27 ad opera di Erode il Grande che la ribattezzò con il nome di Sebaste (Augusta).

A differenza di quanto era avvenuto nell’ex-regno di Israele, nel regno di Giuda, quando fu annesso all’Impero Neobabilonese (o Caldeo) da Nabuchodonosor nel 587 a. C., -dopo un lungo assedio a Gerusalemme durano più di un anno e mezzo dal gennaio 588 all’agosto 587-, non si stabilirono dei coloni mesopotamici e quindi la popolazione non subì un rilevante mutamento nella sua composizione etnica. Una parte degli Ebrei di Giudea fu sì deportata a Babilonia, -in numero che si stima di circa 50.000 o poco più, dislocati soprattutto a Borsippa e Nippur-, ma la maggior parte rimasero in Giudea, specialmente quelli di umile condizione, tanto che fu nominato un governatore giudeo, un certo Godolia.

Quanto agli esiliati in Mesopotamia, contrariamente a una certa tradizione che dipingeva la loro sorte come assai misera e tribolata, essi non vissero in una condizione di schiavitù e godettero della libertà di praticare la religione avita e di muoversi liberamente, il che consentì loro di conseguire anche una notevole prosperità economica soprattutto nelle attività commerciali, -come è attestato dalla stessa Bibbia (vedi la lettera di Geremia agli esuli di Babilonia, 29)-.

Dopo la conquista dell’Impero Neobabilonese da parte di Ciro il Grande nel 539, questi autorizzò quanti volessero tornare in Palestina a recarvisi e a risiedervi; autorizzò altresì la ricostruzione del tempio di Gerusalemme che era stato distrutto da Nabuchonodonosor, che fu completata nel 515. Capi di questa migrazione furono Sheshbassar e poi Zorobabele (che abbiamo visto tra gli antenati di Gesù). Tuttavia molti dei discendenti dei deportarti rimasero in Mesopotamia, dove si erano “integrati” -come si direbbe oggi- e da allora Babilonia fu sede di una delle più grandi e fiorenti comunità ebraiche.

Rovine dell'"Herodion", il palazzo di Erode.
Rovine dell'”Herodion”, il palazzo di Erode.

Per le ragioni sopra spiegate, i discendenti della tribù di Giuda, sia quelli rimasti in Palestina durante la dominazione neobabilonese, sia quelli tornativi dopo la conquista persiana, si consideravano i soli veri rappresentanti dell’ebraismo autentico (mentre Samaritani e Galilei erano ritenuti ibridati e spuri, sia nell’etnia, sia nella religione), e da allora il termine Giudei divenne sinonimo di Ebrei.

Poiché il tempio riedificato all’epoca di Zorobabele aveva subito danni e  parziali distruzioni sia durante le lotte tra i Maccabei e i Seleucidi, sia durante l’assedio dei Romani nella primavera del 37 a. C., Erode il Grande decise di rifare ex-novo l’edificio e pertanto nel 20 a. C. ebbero inizio i lavori di ricostruzione che si protrassero per oltre un decennio. Il nuovo tempio, molto più grandioso di quello precedente, riprendeva lo schema di quello salomonico, con apporti, -più decorativi che strutturali- dell’architettura ellenistica.

L’Idumea era la terra degli Edomiti (poi detti Idumei in forma ellenizzata), i discendenti del biblico Edom, il figlio primogenito di Isacco (descritto come rosso e peloso, -v’è forse un’influenza del Seth egiziano antagonista di Osiride?-), al quale il secondogenito Giacobbe in modo molto sleale strappa prima il “diritto di primogenitura”, -con il famoso “piatto di lenticchie”-, e poi la benedizione del padre, il quale, ormai quasi cieco, si lascia ingannare dal travestimento con il quale il figlio minore si fa passare per il fratello (vedi Genesi, XXV e XXVI). Dopo la costituzione del regno giudaico in seguito alla rivolta dei Maccabei contro il seleucide Antioco IV Epifane che aveva tentato l’assimilazione degli Ebrei, iniziata nel 176 a. C., anche gli Idumei furono sottomessi da Giovanni Ircano I il quale, dimostrando un’intolleranza almeno pari a quella di Antioco IV, impose loro la conversione forzata all’ebraismo (2). Idumeo per nascita era anche Erode il Grande, il quale era figlio di Antipatro, -divenuto poi potente ministro dell’asmoneo Giovanni Ircano II-, e della nabatea Cypro (3).

Nel 6 d. C., a seguito delle rimostranze dei Giudei, Tiberio destituì Archelao e lo mandò in esilio a Vienna (odierna Vienne in Provenza), nella Gallia Narbonese (dove morì nel 18), mentre le regioni da lui controllate vennero affidate ad un governatore romano con il titolo di “praefectus”. Questi aveva la sua sede a Cesarea Marittima, antica città di origine fenicia, -nota col nome di “Torre di Stratone”-, che Erode il Grande aveva fatto ricostruire secondo i canoni dell’edilizia ellenistica.

La Galilea era un territorio a nord della Samaria, che confinava con la Fenicia e la Gaulanitide, la cui capitale dal 20 era la città di Tiberiade costruita da Erode Antipa sulle irive del lago di Genesaret, detto anche “mare di Galilea”, e che da tale città prese il nuove nome di lago di Tiberiade. Il nome deriva da “galil” = “distretto”, al quale era sottinteso degli “infedeli” poiché anche gli abitanti di questa regione erano considerati dai Giudei ibridati sia sotto l’aspetto etnico che su quello religioso con stirpi diverse da quella ebraica, sebbene a differenza dei Samaritani non fossero discendenti di Assiro-Babilonesi, ma di altre tribù ebraiche, in particolare quelle di Dan e di Nephtali.

Della Perea possiamo dire che era un territorio posto al di là del Giordano: per tale ragione era stata così denominata: infatti in greco “Περαiα [χωρα] significa “terra al di là”, -di un fiume o di uno stretto di mare-; era una regione arida e desertica, poco abitata, il cui principale centro era la cittadina fortificata di Macheronte. In questo luogo, sulle rovine dell’antica fortezza degli Asmonei, Erode il grande si era fatto costruire un grandioso palazzo in cui si trovavano peristili, triclini e terme splendidamente decorati con stucchi e mosaici di cui rimangono scarsi frammenti. Il palazzo di Macheronte fu anche il teatro della decapitazione di Giovanni Battista.

La Traconitide, la Gaulanitide, l’Auranitide e la Batanea, erano i nomi ellenizzati dei quattro territori che avevano costituito la regione di Basan, che era stata occupata in parte dalla tribù di Manasse dopo l’entrata degli Ebrei in Palestina (4). Queste regioni però erano abitate solo in minima parte da Ebrei, -pur essendovi città prevalentemente ebraiche, -come Gàmala in Gaulanitide-, poiché la loro popolazione, peraltro scarsa, era in prevalenza di origine aramaica ed araba, in parte nomade. Le quattro regioni in cui si era smembrata Basan, -alle quali su può aggiungere l’Abilene-, avevano fatto parte del regno di Israele, al quale erano state contese però dal regno aramaico di Damasco; dopo il dominio assiro, neobabilonese, persiano, tolemaico e seleucida, la Gaulanitide era stata conquistata dal re Alessandro Ianneo (103-76 a. C.), mentre le altre tre regioni (“toparchie”) nel 20 a. C. erano state assegnate ad Erode il Grande da Augusto il quale, dopo la vittoria su Antonio e Cleopatra ad Azio, le aveva tolte ad un dinasta locale, Zenodoro, – forse figlio di Lisania I, che le aveva governate fino al 34 a. C., -colpevole di proteggere le numerose bande di briganti che infestavano quelle terre (e specialmente la Traconitide)(5).

Quanto all’Iturea, essa era una regione a nord del Lago di Tiberiade che era stata occupata dalla popolazione araba degli Iturei, famosi soprattutto per la loro abilità come arcieri; essa aveva tratto il nome dall’antico regno di Ghetur (o Jetur), che sarebbe stato fondato da uno dei dodici figli di Ismaele,-di nome appunto Jetur-. Ad Erode il Grande e poi ad Erode Filippo fu attribuita però solo la parte meridionale di codesta regione che si estendeva in un striscia lunga e stretta tra gli attuali Libano e Siria. Nella parte settentrionale dell’Iturea -che però non fu mai sotto il dominio degli Erodiani-, si trovava la citta di Heliopolis, -Baalbek in aramaico-, dove si ergeva il grandioso complesso templare, -di cui rimangono ora solo imponenti rovine-, ricostruito però in gran parte nei secoli II-III in uno stile ellenistico-romano caratterizzato da una fastosa esuberanza barocca, dove si venerava la triade eliopolitana Giove-Venere-Mercurio (o secondo altri Bacco)-i quali peraltro corrispondevano rispettivamente a Baal-Hadad, ad Astarte-Atargatis e a Adone-Tammuz. Questa triade di divinità appare ormai l’insieme di persone o ipostasi di un’unica sostanza divina, forme di un’unità che si espande nel mondo fenomenico con uno sviluppo dialettico, e ormai avulsa dalla mitologia (che pure è la narrazione per immagini e simboli di una realtà metafisica), sia quella semitica, sia quella greco-romana.

Secondo la testimonianza dell’erudito romano Macrobio (Saturnalia, I, 9-22) il simulacro del dio sarebbe stato trasportato in quel luogo dall’Egitto al tempo del faraone Senemure, chiamato anche Senepos, e la città avrebbe tratto il nome con cui era conosciuta nel mondo greco-romano, Heliopolis, da quello dell’omonima città egiziana,-il cui nome però nella lingua egizia era On-, dove si venerava Osiride. Il sovrano citato da Macrobio potrebbe identificarsi con Sekhemra-Khutaui, primo faraone della XIII dinastia (1780 circa).

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Ricostruzione del tempio d Giove a Heliopolis.

Lo scrittore latino afferma che al seguito della statua del dio giunsero nella città alcuni sacerdoti egizi sotto la guida di un certo Pertemetis, primo sommo sacerdote del tempio; Macrobio sostiene comunque che, pur se venerata con il nome di Giove, la divinità di Baalbek-Heliopolis è in effetti il Sole e i caratteri e gli attributi con i quali era rappresentata la confermano: la statua era di oro massiccio, le fattezze del dio erano di giovane imberbe, il quale teneva nella mano destra una frusta alla maniera degli aurighi (e quindi nell’atto di guidare il carro solare), mentre nella sinistra aveva una saetta e un fascio di spighe (attributi che si riferivano a Giove). Inoltre nel tempio si praticava la divinazione, che nel mondo greco-romano era prerogativa soprattutto di Apollo, dio solare per eccellenza (6).

A tale riguardo egli cita l’esempio del responso che l’oracolo di Heliopolis diede a Traiano quando questi nel 114 volle consultarlo mentre si apprestava ad iniziare la campagna contro i Parti. L’imperatore però pensò bene di accertarsi della credibilità dell’oracolo e inviò ai sacerdoti delle tavolette cerate sigillate sulle quali non aveva scritto nulla e ne ebbe in risposta un rotolo di papiro ugualmente bianco. Rassicuratosi che poteva fare affidamento su di esso, pose all’oracolo la vera domanda sull’esito della sua impresa e ne ebbe in risposta un tralcio di vite tagliato in pezzi e avvolto in un sudario; l’interpretazione fu che avrebbe vinto la guerra, ma non sarebbe più tornato vivo in patria.

La statua di Giove Heliopolitano veniva anche trasportata in processione su di una lettiga da alcuni dei notabili della provincia che per l’occasione si erano rasati il capo ed avevano osservato un periodo di astinenza e castità; si credeva che costoro non andassero dove volevano, ma dove erano guidati dalla divinità, e anche da questo si traevano predizioni ed oracoli così come avveniva nel tempio della Fortuna ad Anzio.

Macrobio aggiunge che gli Assyrii, -termine con il quale però egli intende i Siri, le popolazioni aramaiche della regione tra il mar Mediterraneo e l’Eufrate- adoravano come sommo nume Adad, nonché la sua sposa Adargatis, -che è una deformazione di Atargatis, probabilmente per far assomigliare questo nome a quello di Adad -, che incarnano rispettivamente il Sole e la Terra, i quali governano tutte cose del mondo. Per tale ragione, -così asserisce Macrobio-, Adad è raffigurato con una corona di raggi inclinati verso l’alto a significare le energie celesti inviate sulla terra, mentre i raggi della corona di Adargatis sono disposti verso il basso onde mostrare che per mezzo della potenza del cielo la terra produce tutto quanto sopra di essa nasce.

Particolare del cornicione del tempio di Giove con gocciolatoio a forma di testa di leone.
Particolare del cornicione del tempio di Giove con gocciolatoio a forma di testa di leone.

Giove di Heliopolis, che era venerato in molte parti dell’Impero Romano, specie dove vi fossero colonie di Siriani, era raffigurato come un giovane inguainato a guisa di Artemide d’Efeso, -con la quale aveva molti punti di contatto-, in una stretta tunica, l'”ependytes”, ornato nella parte anteriore di testine in rilievo raffiguranti in forma antropomorfa il Sole, la Luna e i cinque pianeti, portante sulla testa un copricapo a forma di canestro, il “kàlathos”, e di solito affiancato da due tori (su Juppiter Heliopolitanus si veda anche l’articolo sul declino dell’impero romano del 21 giugno 2015 e la quinta parte della ricerca sulle Amazzoni del 6 settembre 2015).

Le origini del complesso cultuale risalgono all’età cananea, anzi ad un periodo ancora anteriore, databile al III millennio a. C. se non prima. Oltre la magnificenza delle costruzioni di epoca romana, colpirono gli studiosi tre enormi pietre a forma di parallelepipedo lunghi quasi 20 m e larghi mediamente 4,50, pesanti ciascuna oltre 800 tonnellate, dette “Trilithon”. Esse erano state tagliate e trasportate da una cava non molto distante, dove si trova tuttora una quarta pietra ancora più mastodontica avente la lunghezza di 21 m e la larghezza di 10, il cui peso si ritiene essere di 1200 tonnellate. Questo blocco, detto in arabo “Hajar al-Hibla” (“pietra della gestante”), -poichè è considerato di buon auspicio per una donna gravida toccarla-, si pensa sia rimasta in loco perché si temeva che si spezzasse durante il trasporto, oppure che le sue misure non fossero state calcolate con esattezza.

Nello strato inferiore dei muri che delimitano a SE e a NO il vasto peristilio che precede il tempio vero e proprio sono poste delle file di blocchi di granito di 300 tonnellate ciascuno che sostengono i triliti sui quali è stata eretta parte dell’imponente costruzione, che furono assemblati in quel luogo in epoca antichissima e che ricordano i blocchi megalitici presenti in enigmatiche costruzioni preistoriche site in varie parti del mondo e ritenute affascinanti testimonianze di civiltà dotate di avanzatissime tecnologie sviluppatesi in età assai anteriori a quelle comunemente riconosciute come le prime civiltà complesse della storia.

Veduta aerea delle rovine del tempio di Giove a Baalbek.l
Veduta aerea delle rovine del tempio di Giove a Baalbek.l

Il tempio di Giove, -perìptero decàstilo (cioè interamente contornato di colonne delle quali dieci sulla fronte),  che è la costruzione più antica del complesso monumentale, essendo stato terminato nel 60, misura 90 m di lunghezza per 50 di larghezza ed ha una perìstasi di 54 colonne corinzie; i portici che circondano il vasto peristilio che precede il tempio constavano di 128 colonne di granito, delle quali pochissime rimangono in piedi. Il peristilio e i propilei, così come i coevi templi di Bacco e di Venere, furono edificati durante l’impero di Settimio Severo (193-211) e di Caracalla (211-217), mentre l’insolito cortile esagonale risale all’epoca di Filippo l’Arabo (244-249).

Con Baalbek potrebbe essere identificata la città di Baalath, che, come attesta la Bibbia (IRe, IX, 17 e IICronache, VIII, 6), re Salomone fece costruire per la figlia di un sovrano egiziano, presumibilmente Psusennè II (959-945 a. C.) o Shesonq I (945-924). Osserviamo peraltro che Baalat era il nome (che significa appunto “signora”) della principale dea venerata a Byblos, forma locale di Astarte, identificata anche con Atargatis e con l’egizia Hathor, dalla quale aveva derivato l’iconografia con la corona egiziana “atef” sul capo (quella bianca affiancata da due piume di struzzo), -che era il suo segno distintivo rispetto alle analoghe divinità semitiche-. Ben noto era un tempio a lei dedicato in una località detta appunto Baalat-Gebal.

Questa regione, che corrispondeva alla valle della Beqa’a, dipendeva allora dalla dinastia araba (o arabo-aramaica) dei Sampsiceramidi, che risiedevano ad Emesa (attuale Homs in Siria), ed erano una stirpe sacerdotale a cui appartenevano i sacerdoti del dio El-Gabal (il “Dio della Montagna”), venerato in quella città sotto forma di un monolite nero di forma conica, sulla cui base erano scolpiti alcuni rilievi rappresentanti un’aquila con un serpente nel becco. La pietra sacra di Emesa riprendeva la tradizione semitica dei “betili” (da “beth-El” = “casa di dio” -o del dio-), della quale abbiamo parlato a proposito delle pietre sacre, così come la “pietra nera” della Mecca, e come quest’ultima era probabilmente un meteorite.

Il foro ovale di Gèrasa.
Il foro ovale di Gèrasa.

La dinastia emesiana, -i cui membri portarono quasi sempre i nomi di Sampsiceramus (da Shams dio del Sole), Azizos (arabo Aziz = grazioso, amabile), Soaemus (Suhaym) e Iamblicus-, tenne il governo della città e dei territori circostanti almeno fino al 254; da essa, per il tramite di Giulia Domna, moglie dell’imperatore Settimio Severo, e della di lei sorella Giulia Mesa, sarebbero venuti gli imperatori Elagabalo e Alessandro Severo. Ricordiamo che Drusilla, figlia di Erode Agrippa I (7), era stata presa in sposa da Azizos -C. Iulius Azizos, re di Emesa dal 42 al 54 (il quale aveva accettato di abbracciare la religione ebraica)-, ma poi l’aveva lasciato per unirsi al procuratore di Giudea M. Antonio Felice.

Infine la Decapoli era costituita, come dice il nome, da dieci città ellenistiche, che erano state fondate, o rifondate, da sovrani della dinastia dei Lagidi, -i re d’Egitto, detti anche Tolomei, poiché tutti i sovrani appartenenti alla dinastia chiamavansi Tolomeo- ai quali la Palestina fu attribuita dopo la battaglia di Ipso del 301 (8) e fu soggetta fino a quando dopo la battaglia di Panion del 199 non passò ai Seleucidi-, in particolare da Tolomeo II Filadelfo (re dal 282 al 246). Dopo la conquista della Siria e della Palestina nel 63 a. C., Pompeo Magno le sottrasse al dominio dei sovrani asmonei e diede loro lo status di “civitates liberae”, ovvero non soggette all’autorità del legato della provincia (9) (10).

Per quanto riguarda la “Pentapoli Filistea”, il gruppo di cinque città fondate dai Filistei, -che avevano dato il nome alla Palestina-, Gaza, Ascalona, Azoto (Asdod), Gat e Ekron (o Akkaron), non fu mai sottoposta all’autorità dei re giudei, -sebbene circondata per la maggior parte dei suoi confini dai loro domini (salvo quello sud-orientale con l’Egitto)-, e fu sempre alle dirette dipendenza del legato di Siria. Questo territorio comprendeva, oltre l’attuale “striscia di Gaza”, anche un tratto dell’attuale costa meridionale di Israele (11). Nel II secondo a. C. le città filistee avevano dovuto subire gli attacchi di Giuda e Gionata Maccabeo e poi nel secolo seguente subire la dura dominazione, per quanto intervallata da effimeri tentativi di riconquistare l’indipendenza, degli Asmonei (12), ma non si erano mai sottomesse. Nonostante la composizione etnica di questa regione si fosse alquanto modificata, -sia perché i Filistei si erano progressivamente acculturati ai costumi e alla religione semitica, in particolare quella fenicia e aramaica, sia perché durante la dominazione persiana e tolemaica nella pentapoli erano immigrati in gran numero Fenici, Idumei e Nabatei-, gli abitanti mantenevano immutata l’avversione per gli Israeliti. Come si è detto in precedenza, stando alla testimonianza di Flavio Giuseppe, alcune città di questo territorio sarebbero state assegnate a Salomè, sorella di Erode il Grande, ma di fatto più che di una vera sovranità, dovette trattarsi di un dominio personale sotto il diretto controllo del legato di Siria.

La città più importante era Ascalona, -dove era nato Erode il Grande-, celebre soprattutto per il venerato tempio di Atargatis, con annesso stagno di pesci sacri (si veda sull’argomento la prima parte della ricerca su “Le Amazzoni, guerriere della Luna” del 27 agosto 2015).

A sud dell’Idumea e della Perea si estendeva il vasto territorio desertico dominato dagli Arabi Nabatei, in gran parte disabitato e percorso da tribù nomadi, ma nel quale sorgevano anche alcune importanti città come la famosa Petra.

NB: si consiglia di integrare e approfondire la lettura di questo articolo con quella di altri due: la terza parte di “Incenso e mirra: gli aromi che scrivono nell’aria”, del 12 maggio 2015; e la sesta parte di “Le Amazzoni, guerriere della Luna”, pubblicato il 9 novembre 2015.

CONTINUA NELLA TERZA PARTE

Note

1)per l’elenco completo delle mogli di Erode il Grande si veda la III parte della ricerca su “Incenso e mirra, gli aromi che scrivono nell’aria” del 12 maggio 2015.

2) Ebrei di norma si era, e si è tuttora, per nascita; tuttavia anche un non ebreo per nascita può adottare e professare la legge mosaica, e se accetta di essere circonciso viene equiparato all’ebreo di nascita. Un caso famoso di conversione all’ebraismo accaduto proprio nel periodo che stiamo considerando fu quello della regina Elena di Adiabene e di suo figlio Izate. L’Adiabene era un piccolo regno nella Mesopotamia settentrionale vassallo dei parti Arsacidi, la cui capitale era la città di Arbela (odierna Erbil nel Kurdistan iracheno), -il cui nome è legato ad una famosa battaglia nella quale Alessandro Magno sconfisse in modo definitivo il re persiano Dario III Codomano, ma che in effetti si svolse a Gaugamela, località assai lontana da Arbela-, in cui risiedeva una cospicua comunità ebraica discendente dagli Ebrei deportativi dagli Assiri.

Sarcofago di Elena di Adiabene.

Izate, figlio di re Monobazo, di stirpe iranica, dopo la morte del padre, per sfuggire a eventuali insidie dei fratellastri che avrebbero potuto contendergli il trono, era stato inviato nella Caracene, dove fu convertito all’ebraismo da un mercante di nome Anania; egli in seguito a sua volta aveva contribuito ad orientare verso tale religione la madre Elena. In principio la sua adesione ai principi dell’ebraismo era soltanto teorica e “ideologica”, ma a causa delle insistenza di un altro giudeo, Eleazaro, assai più rigorista di Anania, si lasciò convincere a farsi circoncidere, nonostante il parere contrario di sua madre che paventava il popolo non avrebbe tollerato un sovrano dedito a culti stranieri. In seguito anche il fratellastro Monobazo II (succeduto a Izate come re) e il resto della famiglia si convertirono alla religione ebraica. Elena visitò Gerusalemme e dopo la morte sia lei, sia il figlio Izate vennero sepolti in tale città.

3) Erode il Grande era però nato ad Ascalona, città dell’antica pentapoli filistea, che non fu mai soggetta ai re di Giudea.

4) secondo quanto è detto in Deuteronomio, III, 1-7, il re di Basan era un gigante della stirpe dei Refaim (vedasi al riguardo quanto abbiamo detto nella quinta parte della trattazione sui “Miti e misteri di Atlantide” del 10 febbraio 2015).

5) da una tribù araba della Traconitide sarebbe venuto nel III sec. l’imperatore Marco Giulio Filippo, noto con il nome di Filippo l’Arabo (244-249).

6) peraltro anche a Zeus erano attribuite funzioni divinatorie, e da lui dipendevano importanti oracoli, in primis quello celebre di Dodona, in Epiro forse il più antico e venerato del mondo ellenico, precedente pure a quello di Delfi, dove i responsi venivano tratti dallo stormire delle fronde delle querce sacre; o quello di Zeus Ammone, sito nell’oasi di Siwa in Egitto, il quale peraltro avrebbe avuto un’origine comune con il precedente. Riferisce infatti Erodoto (Storie, II, 55) che due colombe volate via da Tebe d’Egitto si sarebbero dirette l’una in Libia e l’altra in Epiro: entrambe agli abitanti del luogo ove erano giunte, -ovvero a Siwa e a Dodona-, comandarono di fondare un oracolo, ordine che, ritenendosi provenisse dagli dei, fu tosto eseguito (tuttavia lo storico precisa, razionalizzando il racconto, che a suo parere non di colombe dovea trattarsi ma di donne).

7) egli era figlio di Aristobulo, a sua volta rampollo di Erode il Grande e di Mariamne l’Asmonea, e di Berenice, nata da Salomè, sorella di Erode il Grande, e da Costobar . Molto amico dei Romani (aveva trascorso a Roma la sua giovinezza alla corte di Ottaviano Augusto e poi di Tiberio) ma parimenti ligio alla legge mosaica, nel 37 gli furono restituite da Caligola la Traconitide e la Batanea, regioni che nel 34 (anno della morte di Erode Filippo) erano state assegnate a Lisania II, presunto discendente dello Zenodoro citato nel testo (di costui si accenna anche nel vangelo di Luca, III, 1, dove viene definito “tetrarca dell’Abilene”, -per quanto il titolo ufficiale attribuito ai regoli di questi territori fosse “toparca” = signore del luogo-). L’Iturea meridionale era stata invece assegnata a Soemo, della dinastia di Emesa-, mentre nel 41 anche la Giudea fu aggiunta da Claudio ai domini di Erode Agrippa. Alla morte di questi però la regione tornò sotto il dominio diretto di Roma e fu governata da un “procurator”, alle dipendenze dal legato di Siria. Erode Agrippa I non deve essere confuso con Erode Agrippa II, suo figlio, al quale Claudio aveva assegnato alcune parti dei domini di E. Filippo e di E. Antipa (ma non la Giudea); davanti a costui, che si trovava a Cesarea nella residenza del procuratore romano Porcio Festo, venne condotto s. Paolo, il quale però avendo fatto appello a Cesare fu fatto imbarcare alla volta di Roma (Atti degli Apostoli, XXV e XXVI).

8) in tale battaglia, -che prese il nome dalla città della Frigia nei pressi della quale fu combattuta-, una coalizione di diadochi (i successori di Alessandro Magno) aveva sconfitto Antigono Monòftlamo, vecchio generale di Alessandro che mirava a ricostituirne l’impero, e suo figlio Demetrio Poliorcete. In virtù di tale vittoria, Seleuco Nicàtore aggiunse ai suoi domini di Persia e Mesopotamia anche la Siria, mentre Tolomeo Sotere conquistò la Celesiria e la Palestina.

9) le province dell’Impero Romano dal 27 a. C. erano divise in due categorie: le province senatorie e le province imperiali. Le prime erano quelle ritenute pacifiche e ormai integrate nello stato romano, in cui non erano stanziate legioni, la cui amministrazione dipendeva dal senato, che le governava a mezzo di un proconsole o un propretore, ossia un ex-console o un ex-pretore, -a seconda dell’ampiezza e dell’importanza della provincia stessa-, che durava in carica normalmente per un anno (ma il cui mandato poteva essere prorogato). Le province imperiali erano quelle dove ancora covavano focolai di resistenza alla dominazione romana, o che comunque erano irrequiete ed agitate da tensioni etniche e sociali, o che trovandosi ai confini dell’impero erano più esposte agli attacchi nemici; per tali motivi esse erano sotto la diretta autorità dell’imperatore il quale vi inviava quale suo rappresentante un “legatus Augusti pro praetore”, che rispondeva direttamente a lui del suo operato e durava in carica a tempo indeterminato (anche se di solito i legati non mantenevano la carica per molti anni).

10) La Decapoli fu teatro di uno dei miracoli di GC -narrato da Marco (V, 1-20) e da Luca (VIII, 26-39)-: nel territorio di Gèrasa (o di Gàdara in alcune lezioni) egli espulse dal corpo di un uomo un’intera legione di demòni che lo tormentavano da vent’anni, i quali entrarono nei corpi di un numeroso gregge di maiali che pascolavano all’interno; i poveri animali dopo essere stati indemoniati a loro volta si gettarono nelle acque di un lago. Il miracolo è da interpretare in senso nettamente simbolico: infatti, com’è noto il maiale è animale “impuro” per gli Ebrei, -ed infatti l’episodio è ambientato nelle terre “pagane” della Decapoli, poiché i Giudei non allevavano certo maiali-.

11) i Filistei avevano colonizzato pressoché tutta la costa palestinese, fino al monte Carmelo al confine con la Fenicia, e in origine filistee erano anche le città di Giaffa e di Dor. In seguito però, anche con la protezione dei Persiani che queste città furono ripopolate da Fenici e Aramei, e poi conquistate dai Giudei.

12) Gionata Maccabeo nel 145 a. C. aveva distrutto il porto di Gaza; Giaffa fu conquistata nel 143 da Simone Maccabeo, padre di Giovanni Ircano I, il fondatore della dinastia degli Asmonei. I cinque fratelli Maccabei che avevano guidato la rivolta degli Ebrei contro i Seleucidi erano Giuda, Giovanni, Simone, Eleazar e Gionata.

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