ANTICHI SPLENDORI (prima parte) -il Palazzo di Ghumdan-

Il palazzo, o castello, di Ghumdan (“Ghumdan Qasr”) è un grandioso palazzo-fortezza che si poteva un tempo ammirare nella città di Sana’a, nello Yemen. Si ritiene che  esso sia il primo edificio costruito al mondo al quale si possa a giusto credito attribuire la definizione di “castello”, ma ora tutto quello che ne rimane è un cumulo di rovine confuse e poco distinguibili che si osserva di fronte alla prima e alla seconda delle porte orientali della “Grande Moschea” di Sana’a, sopra un’altura situata tra i monti Nukum ed Ayban, presso l’estremo angolo sud-orientale della cittadella, -“Al-Qasr”-, a occidente della quale fu edificata la Grande Moschea, e che si estende dal lato est di quest’ultima all’area a nord della “Bab Al-Yemen” (“Porta dello Yemen”).

Di codesto splendido edificio alquanto geografi e storici arabi diedero entusiastiche e accurate descrizioni: secondo Al-Hamdani, -Abu Muhammad Al-Hasan ibn Ahmad ibn Ya’qub Al-Hamdani (893-945 circa)-, le pietre che ne costituiscono le fondamenta furono ivi collocate da Sem, il primogenito di Noè, ma la costruzione fu completata solo molti secoli più tardi dal re dei Sabei Ili-Sharhia-Yahdib, il padre della regina Belkis, -colei che si recò a far visita al re Salomone-. Altri autori ne attribuiscono la costruzione a Salomone, o ad Al-Zabba’; altri ancora sostengono invece che il palazzo sorse ad opera di Sha’r  Awtar, il quale cinse di mura la città di Sana’a. Gli studiosi moderni, -come Charles e Patricia Aithie, e Carolyn Han-, ipotizzano invece una datazione assai più recente, secondo la quale l’imponente fortezza sarebbe stata edificata al tempo del re Al-Sharih Yahdhib (60-20 a. C. circa), -noto con il nome di “Ilasaros” ai Greci e ai Romani (citato in particolare da Strabone dove il famoso geografo tratta della sfortunata spedizione intrapresa dal prefetto d’Egitto G. Elio Gallo nel 25 a. C. sulla via dell'”incenso”), o comunque non prima del II secolo a. C. Il palazzo di Ghumdan divenne poi la residenza degli ultimi sovrani Himyariti, i quali da esso esercitavano il loro dominio sull’Arabia Felix (1).

Il palazzo fu distrutto una prima volta dai conquistatori abissini, provenienti dal regno di  Aksum, guidati da Abraham Al-Hubashi nel 525, ma venne poi fedelmente ricostruito, divenendo in seguito la residenza di Sayf ibn Dhu Yazan, un discendente dei monarchi Himyariti, il quale riconquistò il regno con l’aiuto del Gran Re Sassanide Khusraw (Cosroe) I; quest’ultimo nel 570 inviò nello Yemen il generale Wahriz che sconfisse Masruq, figlio di Abraham, nella battaglia di Hadhramaut. Sayf ibn Dhu Yazan tuttavia in cambio dell’aiuto accordatogli dovette accettare di versare un tributo al sovrano sassanide e dopo la sua morte il paese divenne in pratica un dominio persiano (2).

Nel VII secolo si stabilì nella turrita dimora Abhalah bin Ka’b, un capo della potente tribù sudarabica degli Al-Ansi, il quale, dopo aver in un primo tempo aderito al verbo di Maometto, poco prima della morte di quest’ultimo se ne distaccò, sostenendo di essere stato ispirato da Dio e investito di una missione divina e proclamandosi a sua volta profeta con il nome di “Al-Rahman”, “il Misericordioso”. Egli era conosciuto come “il profeta velato”, poichè teneva sempre il suo volto coperto per creare intorno a lui un’aura di santità e di mistero. Dopo aver sconfitto e ucciso il governatore dello Yemen Shahar, figlio dell’ultimo governatore persiano Badhan, che si era convertito all’Islam, si proclamò sovrano della regione, ma il suo regno fu di breve durata, poichè fu vinto da Fayruz al-Daylami. Alcuni dei suoi seguaci però non si arresero e continuarono a resistere al dominio musulmano sotto la guida di Qais bin Abd Yaghus. Pertanto, dopo che lo Yemen fu conquistato dal califfo Othman (644-656), -terzo successore di Maometto-, il quale temeva che il palazzo di Ghumdan avrebbe potuto essere utilizzato come rifugio e base di ribelli, ne fu comandata la demolizione dal califfo stesso e il materiale edilizio da esso ricavato fu reimpiegato per la costruzione della Grande Moschea di Sana’a.

Sebbene l’antica dimora sia ora ridotta in rovina, lo stile e la struttura a molti piani che la caratterizzavano secondo le descrizioni degli storici e dei geografi che la videro o che ne riferirono sulla base di autorevoli testimonianze,  lasciano supporre che essa fosse il protipo delle tipiche abitazioni che pure ai giorni nostri conferiscono alla capitale dello Yemen il suo aspetto pittoresco e che riprodurrebbero l’aspetto del favoloso edificio, quantunque su scala ridotta, . Circa la sua altezza nella struttura originale vi è tuttavia disaccordo tra gli autori arabi che ne parlano, tra i quali, oltre al citato Al-Hamdani, ricordiamo Mohammed Al-Qazwani, e probabilmente essa fu esagerata negli antichi racconti, secondo i quali il palazzo-torre avrebbe svettato nel cielo sviluppandosi con ben venti piani; gli studiosi moderni, -come il dott. Adnan Tarsis-, ritengono che non superasse i sei o sette piani, -che tenendo conto dei tempi in cui fu costruito, rappresentano comunque una ragguardevole altezza, tanto che molti reputano sia stato il primo “grattacielo” della storia-.

Stando a testimonianze risalenti agli inizi del IX secolo, il palazzo-fortezza avrebbe avuto sette piani, dei quali il più alto era mirabilmente rivestito di marmi policromi, mentre il tetto era costituito da un’unica lastra di marmo verde. Al-Hamdani, che scriveva nel X secolo, nell’ottavo libro della sua celebrata opera sulla geografia e le antichità dello Yemen, “Al-Iklil”, fornisce del palazzo di Ghumdan la seguente descrizione: “Esso era un imponente edificio di venti piani, ciascuno avente l’altezza di otto cubiti [ma in altre descrizioni di dieci cubiti] (3). Le quattro facciate apparivano rivestite con pietre di differenti colori: bianco, nero, verde e rosso. All’ultimo piano si trovava una stanza le cui finestre erano incorniciate di marmo con tarsie di ebano e di legno di platano, mentre il soffitto constava di una lastra di marmo lucidissimo e trasparente, così che quando il signore di Ghumdan si recava a coricarsi e giaceva nel suo talamo poteva ammirare gli uccelli che volavano sopra il suo capo e li vedeva tanto bene che era in grado di distinguere un corvo da un nibbio. A ogni angolo della stanza era collocato un leone di bronzo cavo all’interno, e quando il vento soffiava entro le cavità di codesti simulacri leonini produceva un suono del tutto somigliante al ruggito dei leoni”.

Palazzo yemenita che potrebbe dare una pallida idea di come doveva essere il palazzo di Ghumdan.

L’ultimo piano della torre comprendeva pure la “Sala di Belkis”, anch’essa descritta da Al-Hamdani, la cui principale meraviglia era un soffitto sostenuto da lunette costituite da otto pezzi di alabastro. Delle aperture poste ai quattro angoli della sala consentivano di contemplare il chiarore della Luna, venerata dagli antichi re di Saba (4)(5). Tuttavia la più straordinaria meraviglia che potevasi ivi ammirare si dice fosse una grande clessidra collocata al centro del palazzo. La porta di ingresso, nota con il nome di “Qasr al-Selah”, si tramanda sia stata l’ultimo vestigio rimasto in piedi dell’imponente costruzione.

Per la sua magnificenza e lo stupore che suscitava nei visitatori la splendida costruzione fu cantata da alquanti poeti arabi preislamici o di poco posteriori alla nascita dell’Islam, tra i quali Umayya ben Abu’l-Salt, Alkama ben Dhu Djadan, Dhu Jadan Al-Himyari e Adiy ben Zayd Al-Hiri, del quale citiamo i seguenti versi: “Che c’è di più magnifico del palazzo di Sana’a,/ ove un tempo vissero i sovrani di un regno generoso dei suoi ricchi doni?/ Il suo creatore lo elevò fino a toccare le più alte nubi,/ le sue superbe stanze sprigionavano l’aroma del muschio,/ Le montagne circostanti proteggevano la sua altezza ineguagliabile dagli attacchi dei nemici./ In quel luogo era dolce anche il canto notturno del gufo,/ che ivi risonava come un sonatore di flauto”. Ed anche dopo la distruzione definitiva ancora nel X secolo Al-Hamdani, il quale, come abbiamo visto, descrisse con commossa ammirazione l’antica residenza dei sovrani himyariti, così si esprimeva, citando alcuni versi ispirati da essa: “Venti piani avea il palazzo,/ dall’entrata ad un terrazzo,/ con alquante stanze belle/ per baciar nuvole e stelle./ Se il Paradiso si estende sopra i cieli,/ Ghumdan lo tocca coi suoi veli”.

Note

1) intorno al 275 Shammar Yarish, re dell’Himyar, riuscì a conquistare i regni di Saba, del Qataban e dell’Hadhramaut, unificando così tutti i territori sud-occidentali della penisola arabica e pose la sua capitale a Zafar, poco lontano da San’a. Quest’ultima divenne in seguito la capitale dello stato. Nel corso del IV secolo il paese divenne soggetto ad una sempre più forte influenza giudaica, e sembra che il re Abu Karib Assad (390-420) si sia convertito alla fede ebraica. Secondo la leggenda, caduto ammalato mentre assediava la città di Yathrib (la futura “Medina” islamica dove Maometto riparò nel 622 dopo essere fuggito dalla Mecca), il re sarebbe stato guarito da due medici ebrei che si erano recati al suo accampamento per convincerlo a desistere dall’assedio ed egli per riconoscenza avrebbe abbracciato la loro religione. Di certo si sa che aveva aderito al giudaismo Yusuf As’ar Yathar, noto anche con il nome di Dhu Nuwas, regnante del 517 al 527, il quale prese a perseguitare i cristiani, che erano numerosi nel paese, specie nell’oasi e città di Najaran. Egli pose l’assedio a codesta città e ne sterminò gli abitanti che non avesssero abiurato alla fede cristiana. Secondo l’interpretazione agiografica i suoi atti perscutori furono dettati solo da motivi religiosi, ma in realtà sembra che alla decisione del sovrano non fossero estranee motivazioni più concrete, ossai la ricchezza dei mercanti cristiani della città, con i quali aveva contratto ingenti debiti, che egli non poteva , nè voleva rifondere. In tal modo tuttavia Dhu Nuwas suscitò la reazione del cristiano re di Axum, Abraham, il quale invase il regno e iniziò la dominazione etiope, che fu peraltro di breve durata poichè nel 570 venne scalzata dai Persiani.

2) la figura di Sayf  ibn Dhu Yazan divenne poi assai popolare nel folklore arabo grazie ad una biografia assai romanzata, “Sirat Sayf ibn Dhu Yazan”, che conobbe vasto successo.

3) non è chiaro a quale cubito si riferisca, se al cubito arabo , -“dirah”-, equivalente a m. 0,49, ma che non dovette essere in uso nell’Arabia meridionale al’epoca presunta della costruzione dell’edificio; al cubito reale egizio, -“meh suten”-, pari a m. 0,52; o al cubito corto egizio, -“meh net’s”-, pari a m. 0,46. L’ipotesi più probabile è che si tratti del cubito reale egizio e che l’altezza delle stanze fosse di dieci cubiti: in tal modo i vani del palazzo di Ghumdan sarebbero stati alti oltre cinque metri; se si prende per buono il cubito corto e l’altezza di otto cubiti essi sarebbero stati alti 3,68 metri, che non sembrano adeguati alla magnificenza della magione.

4) come in Mesopotamia (Sin) e in Palestina (Yarich), anche in Arabia la Luna era considerata una divinità maschile, venerara con il nome di “Sayin” (= Sin assiro-babilonese), o di ‘Amm (nel Qataban).

5) in effetti però la capitale del regno di Saba era Marib; poi capitale degli Himyariti fu in primo tempo Zafar, e dal IV secolo Sana’a. Sul fondamento di quanto osserva lo stesso Al-Hamdani, è stata avanzata inoltre l’ipotesi che, almeno in alcuni casi, quello citato e lodato dai poeti arabi sia un altro palazzo che si trovava proprio a Marib e dal nome assai simile (“Humdan”), -sul quale peraltro si conosce ben poco-, e che nella loro memoria e nelle loro lodi i due edifici abbiano finito per confondersi.

CONTINUA CON LA SECONDA PARTE

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