SULLA TASSONOMIA DELLE SPECIE VEGETALI E ANIMALI -quarta parte- (gli habitat dei deserti e gli ambienti acquatici)

3) le praterie di alta montagna, che si incontrano in tutti gli elevati sistemi montuosi, al di sopra del limite del bosco, e dunque con clima quasi sempre freddo e notevole disponibilità di acque al suolo. Pure esse sono costituite in prevalenza da erbe a breve ciclo vegetativo, che non estende in genere oltre il periodo estivo, con l’aggiunta di alcuni arbusti di modesta statura -come, nelle nostre Alpi, il Pino Mugo e il Rododendro-, nonché di Muschi e Licheni, presenti soprattutto in prossimità delle più alte vette dove la vegetazione diventa assai povera; tuttavia a dominare sono senza dubbio le Graminacee, -come in tutte le formazioni vegetali erbacee-, nonché, lungo i corsi d’acqua e nelle zone più umide, le Ciperacee di media o modesta altezza (Carici, Scirpi). Spesso queste praterie sono utilizzate dalle comunità antropiche montane quale pascolo estivo. Formazioni analoghe si riscontrano nei paesi subartici, fra la zona ricoperta dalle foreste di aghifoglie e quella delle tundre. Tra gli Animali tipici di queste zone troviamo Caprioli, Marmotte, Ermellini ed altri Mustelidi, l’Urogallo, il Crociere, il Picchio rosso maggiore, la Vipera marasso, la Rana temporaria. Le zone più ad alta quota quasi interamente rocciose sono il regno degli Stambecchi, dei Camosci, delle Capre di montagna.

Quanto alla vegetazione desertica, si possono distinguere i deserti tropicali, i deserti freddi e i deserti salati; i tre tipi sono caratterizzati tutti dall’aridità -poiché in essi si riversa una scarsissima quantità di piogge durante l’anno (meno di 25 cm, oppure una quantità superiore ma concentrata in un’unica precipitazione)-, dalla forte escursione termica tra giorno e notte e quindi dagli sbalzi di temperatura, che frantumano le rocce, e dalla tempeste di vento che modellano le alture e sospingono i detriti più fini.

1)nei deserti dei paesi tropicali, -i deserti veri e propri, come il Sahara e il Kalahari in Africa, il deserto arabico, quelli dell’altopiano iranico e di Thar in India, i deserti australiani-, essendo pressoché privi di precipitazioni e di circolazione superficiale delle acque, manca ogni forma di vegetazione, tranne quella, effimera, che compare a seguito di piogge eccezionali, o quella che si raccoglie nel fondo di solchi e depressioni (come gli “widian” del Sahara), nei quali scorre qualche velo acquifero sotterraneo a lieve profondità. Alle zone più aride e desolate si ascrivono sia i deserti rocciosi (come la “hamada” del Sahara), sia i deserti a dune (“erg”), la cui differenza è dovuta ai fenomeni morfogenici citati sopra.

Anche nel Kalahari, più che aree assolutamente desertiche, si trovano steppe con scarsa vegetazione, costituita specialmente da piante a foglie dure e coriacee, spesso lanceolate, come la singolarissima “Welwitschia mirabilis”, pianta della classe delle Gimnosperme (come le Conifere) in cui da una sorta di tronco assai largo e basso si dipartono due sole grandi foglie che possono arrivare alla lunghezza di 3 o 4 metri, le quali alla base continuano a crescere mentre alle estremità si sfrangiano e si accartocciano.

Esemplare di Welwitschia mirabilis. Si possono notare al centro gli strobili, i frutti femminili, simili alle pigne delle Conifere.

In Australia compaiono su vastissime estensioni consorzi di cespugli fittissimi, tanto da essere intransitabili, il cosiddetto “scrub”. I deserti dell’Asia centro-settentrionale, come il Gobi -che si estende tra la Mongolia e la Cina nord-orientale-, pur ricordando gli aspetti tipici del deserto roccioso e sabbioso, presentano una minore desolazione e insensibile è il passaggio alla steppa desertica.

Anche in mezzo ai più crudi deserti si possono trovare tuttavia delle aree limitate ricoperte di ricca vegetazione, nei rari punti dove l’acqua, -che pure nel deserto scorre nelle viscere della terra-, affiori in superficie o si porti a breve profondità così da poter essere raggiunta dagli organi sotterranei delle piante o attinta artificialmente mediante pozzi all’uopo scavati: sono queste le “oasi”, caratteristiche del Sahara, ma presenti anche in Arabia e nei deserti asiatici. In esse si osservano diversi piani di vegetazione. l’albero dalla statura più elevata, che conferisce a questo bioma ina impronta peculiare è la Palma da dattero (“Phoenix dactylifera”).

In molto luoghi desertici siti in prossimità delle distese marine -come in Namibia e nella penisola arabica meridionale- l’acqua di cui necessita la scarsa vegetazione è assicurata dalle nebbie provenienti dal mare; esse condensandosi in rugiada nelle ore meno calde sul terreno e sulle foglie e questa viene così assorbita dalle piante.

La fauna dei deserti soprattutto di quelli caldi, sebbene povera di esemplari per la scarsità di nutrimento che tale ambiente naturale offre, è insospettabilmente ricca di specie: anche in queste lande in apparenza del tutto desolate vivono numerosi erbivori, quali Antilopi e Gazzelle, -tra cui annoveriamo le ormai rare Antilopi dalle corna a vite (Addax nasomaculatus) nel Sahara e l’Orice nell’Africa meridionale-, il Dromedario nei deserti del Sahara e dell’Asia anteriore (1) e il Cammello battriano in quelli dell’Asia centrale e della Mongolia; carnivori tra i quali nelle zone aride troviamo alcuni di quelli propri delle savane e steppe (compresi Leoni, Tigri, Leopardi, Ghepardi, almeno in origine poiché nell’habitat desertico questi Mammiferi si sono pressoché estinti), nonché piccoli Canidi, come la Volpe pallida e la Volpe del deserto nel Sahara e nei deserti caldi asiatici, il Suricato (Suricata suricatta) nel Kalahari. Ad essi sono da aggiungersi molti Rettili, come lo Scinco e serpenti quali il Ceraste e il Cobra del deserto, Insetti ed Aracnidi (soprattutto Scorpioni).

Un esemplare di Sirratte (Syrrhaptes paradoxus).

Tra gli Uccelli sono degni di nota soprattutto alcune specie appartenenti alla famiglia degli Pteroclidi, -compresa nell’ordine dei Columbiformi-, come il Sirratte (Syrraptes paradoxus), che vive nei deserti asiatici, e la Ganga e altri volatili ascritti al genere “Pterocles”, viventi nelle aree semidesertiche africane. Essi hanno la particolarità di percorrere decine o addirittura centinaia di chilometri per raggiungere corsi o specchi d’acqua: una volta che li hanno trovati imbevono con il prezioso umore le loro piume per portarlo ai loro pulcini; poiché al ritorno il loro peso è notevolmente aumentato a causa dell’acqua che trasportano lo sforzo è notevolmente maggiore: mirabile esempio dei sacrifici ai quali molti animali si sottopongono per dissetare la loro prole.

2) i deserti dei paesi subartici e artici, al di là del limite polare del bosco, -ossia della “taiga”-, si designano col nome di “tundre”, usato nell’Europa e nell’Asia settentrionali (a cui corrispondono i “barren grounds” del Nordamerica). La tundra nel lunghissimo periodo del gelo invernale è coperta da una crosta di ghiaccio; nel breve stagione estiva del disgelo si ammanta di una vegetazione relativamente abbondante, la cui caratteristica qualificante è il rapido ciclo vegetativo che non si prolunga oltre i due o tre mesi. In questo ambiente prevalgono piante appartenenti alla divisione delle Briofite, come gli Sfagni, nei luoghi più umidi, e il Politrico, ove l’umidità è minore; ma le entità vegetali più caratteristiche della tundra sono i Licheni (i quali com’è noto sono un’associazione simbiontica di un’Alga (in genere Clorificea) e di un Fungo (di solito un Ascomicete). Si trovano inoltre Eriche, Carici, erbe e cespugli a modesto sviluppo verticale. La tundra è per eccellenza il regno delle Renne e dei Caribù, il cui scarso nutrimento è costituito principalmente proprio da Licheni.

Un Caribù nella tundra canadese.

Alcune aree montane e soprattutto altipiani molto elevati, come il Tibet, avendo caratteristiche climatiche e ambientali del tutto simili a quella delle tundre mostrano un analogo tipo di copertura vegetale.

3) ricordiamo infine i deserti salati, che si riscontrano soprattutto in Iran (deserti di Kavir e di Lut) e in altre regioni dell’Asia anteriore e centrale, dall’aspetto quanto mai desolato. Di solito derivano da antichi bacini lacustri prosciugatisi, da cui derivano l’abbondanza di sali che si mescolano a sabbia e rocce che in certi punti assumono contorni accidentati e pittoreschi con guglie e pinnacoli. La vegetazione che può resistere in luoghi tanto ingrati si limita a poche specie alofile -come le Salicornie, gli Scirpi, le Tamerici, alcune Artemisie (Artemisia caerulea), l’Erba Kali (Salsola kali), ecc.

Non di rado risalendo i fianchi di una montagna di cospicua altezza si può osservare un mutare degli habitat naturali che ripete in forma compendiata la medesima successione che si incontra passando dall’Equatore ai Poli. Ad esempio, nei grandi massicci montuosi dell’Africa equatoriale (Kilimangiaro, Ruwenzori) dalla foresta pluviale che alligna alle pendici inferiori si trapassa alla savana-parco, e poi alla savana steppica e alla foresta temperata, fino a giungere alle praterie alpine e al paesaggio delle zone culminali, che mostra qualche analogia con la tundra.

Dobbiamo osservare che in tutta la penisola italiana l’altitudine esercita una preponderante influenza sulla distribuzione della flora. Una classificazione proposta da Aldo Pavari (1888-1960) e perfezionata da A. De Philippis (1908-2002) distingue le seguenti zone altimetrico-climatiche secondo un ordine che va dal livello del mare alle vette alpine: Lauretum; Castanetum; Fagetum; Picetum; Alpinetum. A loro volta codeste zone (ad eccezione dell'”Alpinetum”) sono ulteriormente suddivise in sottozone sulla base delle temperature medie e della distribuzione delle piogge in esse prevalenti.

Le Piante di montagna, -“Orofite”- mostrano poi di solito opportuni adattamenti che consentono loro di adeguarsi all’altitudine, alla composizione del suolo, alle sferzate del vento. Di ciascuna specie è proprio un limite altimetrico, che tuttavia varia in misura notevole secondo la latitudine (per cui a parità di quota tale limite si abbassa progressivamente spostandosi dall’equatore verso nord e verso sud); ma pure alla medesima latitudine si notano differenze talora assai cospicue tra il versante meridionale, maggiormente esposto all’irradiamento solare, e quello settentrionale più spesso  in ombra. Particolare interesse geografico e biologico riveste il “limite del bosco” che varia in misura notevole con il mutare dei fattori che abbiamo segnalato in precedenza: esso può collocarsi intorno ai 2100 m nei settori più elevato delle Alpi e dei Pirenei, ai 2300 sul Caucaso per giungere ai 3700 m in alcuni punti delle Montagne Rocciose e addirittura ai 4600 m in Tibet. Ma pure al di sopra di questi limiti possono incontrarsi non di rado alberi isolati; nelle nostre Alpi i più resistenti sono il Larice e il Pino Mugo, di cui si trovano esemplari fino a 3600 m. Tuttavia oltre il limite del bosco in generale alligna solo la vegetazione erbacea tipica dell’alta montagna che nelle Alpi è rappresentata, oltre che da Muschi e altre Briofite, da Sassifraghe, Achillee, Genziane, Ranuncoli, ecc. e di cui alcune specie hanno colonizzato persino le vette dei monti come il Ranunculus glacialis che si spinge fino ai 4200 m sul monte Cervino! Questa vegetazione, definita “nivale” per il suo habitat caratterizzato dalla lunga permanenza delle nevi sul terreno e sulle rocce ove essa vive, costituisce talvolta delle “isole” verdi che ravvivano il biancore dell’alta montagna, sia pure per il breve corso dell’effimera estate dell’alta montagna, e che pertanto sono state denominate “Giardini dei Camosci”.

Oltre a questi “biomi” principali, due altri importante habitat sono quelli legati alle acque marine e a quelle interne. La vegetazione acquatica consta di un numero relativamente limitato di Cormofite, presenti solo in prossimità delle coste fino a modesta profondità (e dunque in particolare in quelle che vengono definite “zone umide” -lagune, stagni e paludi-), e da tantissime specie di Alghe, di aspetto e dimensioni assai variabili, da quelle microscopiche, che formano il “fitoplancton” a quelle enormi, con le pseudo-foglie (2) che possono giungere alla lunghezza di 20 metri e oltre come alcune Fucoidee e Laminarie.

La fascia nella quale nei mari si può rinvenire sviluppo di vita vegetale (“zona eufotica”, ovvero quella ove la luce solare può penetrare senza perdere la sua intensità) non va oltre gli 80-100 metri anche nei mari più limpidi. Si possono distinguere in essa: 1) una fascia litoranea, compresa tra il livello dell’alta e della bassa marea, in cui predominano Cloroficee (Alghe verdi) e Feoficee (Alghe brune) che sono in grado di tollerare la temporanea assenza delle acque; 2) una zona sub-litoranea, che si estende fino a 40-50 m di profondità ed è la più ricca di specie (anche animali, come avremo modo di vedere meglio in seguito); in essa prosperano piante fissate al fondale ed altre natanti; 3) una zona elitoranea, fino al limite della penetrazione della luce solare, più povera di specie e meno popolata (sia da piante sia da animali). Nei mari tropicali certe specie di Alghe si associano non di rado in estesi consorzi: il Mar dei Sargassi, che occupa la parte dell’Oceano Atlantico compresa tra i 20 e 35 gradi di latitudine nord e i 35 e 75 gradi di longitudine ovest, è costituito da vaste praterie galleggianti di Alghe del genere Sargassum disposte spesso in lunghissime strisce secondo la direzione del vento. Formazioni analoghe ma di minore estensione si incontrano anche nell’Atlantico meridionale e nel Pacifico.

Gli ecosistemi di acqua dolce hanno una estensione relativamente modesta e si dividono in ambienti ad acque correnti (a corrente rapida -come i torrenti- e a corrente lenta -come il corso inferiore dei fiumi e i laghi-) e in ambienti di acque stagnanti, dove l’ossigenazione è scarsa (paludi e stagni). I più vasti ambienti acquatici continentali sono i laghi, nei quali si notano stratificazioni di profondità simili a quelle del mare: una zona litoranea con acque poco profonde, dove compare una vegetazione di sponda, immersa almeno in parte nell’acqua, dove trovano un habitat ideale numerosi piccoli animali, soprattutto Anfibi, Rettili e Uccelli palustri; una zona limnica, quella con acque più profonde; solo nei laghi più ampi troviamo una zona abissale, che ricorda in scala ridotta quelle marine (3).

Nei laghi, specie quelli delle regioni temperate, si osserva anche una differenza di temperatura della acque, che in linea di massima decresce con l’aumentare della profondità, e pertanto anche di densità -poiché l’acqua, come l’aria, quanto più è fredda più è densa-. Tuttavia occorre pure rilevare che lo strato superficiale delle acque è quello più soggetto alle variazioni termiche in conseguenza dei mutamenti stagionali e dei fattori climatici contingenti; meno gli strati intermedi e per nulla quelli inferiori (4). Questa situazione peraltro comporta anche negative conseguenze, poiché la mancanza, o l’insufficienza, di circolazione tra gli strati superficiali e quelli sottostanti impedisce lo scambio tra di essi di ossigeno e sali minerali, causando talvolta condizioni di anossia al fondo e scarsità di sostanze nutritive alla superficie. Qualora poi il problema sia aggravato da fattori indotti dall’azione umana (inquinamento provocato da scarichi urbani e/o industriali, cementificazioni delle rive, ecc.), gli effetti sull’ecosistema diventano tragici e si possono avere morie di Pesci, o addirittura di tutti gli esseri viventi presenti nel bacino.

Persicaria amphibia, pianta acquatica con il fusto in parte sommerso e in parte esterno.

Nella zona litoranea delle acque interne (fiumi, laghi, paludi) si riscontra una copiosa vegetazione, che comprende piante che prosperano nella fascia dove le acque lambiscono le rive (Carici, Equiseti), piante con radici fissate nella fanghiglia del fondo e il fusto emergente o affiorante nell’atmosfera, talvolta con foglie sommerse o galleggianti (Fragmites, Tife, Scirpi, Ninfee), piante completamente sommerse (Potamogeton, Elodea, Lenticchie d’acqua). L’accumulo dei residui di tali piante sul fondo, dove vengono a poco a poco ricoperte di spessi strato di fanghiglia, dà inizio alla formazione di torbiere, specie nei climi temperato-freddi e subartici.

Dei fiumi tropicali sono invece caratteristici gli erbai natanti, costituiti da masse di piante palustri strappate dalle rive e trascinate dalla corrente fluviale, che rivestono notevole importanza per la diffusione e disseminazione di piante e animali.

Rispetto agli organismi vegetali, quelli animali si caratterizzano per la loro mobilità (anzi nelle antiche concezioni biologiche il fattore discriminante per l’attribuzione di un essere vivente all’uno o all’altro regno era proprio la sua capacità di movimento), e per tale ragione il loro legame con l’ambiente naturale è meno stretto, poiché, entro certi limiti, con il movimento e la maggior varietà di comportamenti che ne deriva, possono sottrarsi alle avverse condizioni ambientali.

Si distinguono innanzitutto le faune terrestri, quelle delle acque dolci e quelle marine. Tra gli animali terrestri ve n’è un cospicuo numero che non può distaccarsi dal suolo (“terricoli”), altri che possiedono i mezzi per elevarsi nell’aria e trattenervisi alquanto (“aericoli”), altri ancora che trascorrono tutta la loro esistenza, o lunghi periodi di essa, nelle acque dolci o nei mari (“acquicoli”), ed altri infine che vivono, in permanenza o in alternanza con uscite più o meno regolari all’aria aperta, nelle cavità del sottosuolo (“cavernicoli”).

Molteplici fattori ambientali influiscono e talora determinano la vita e la distribuzione degli animali. Tra di essi in primo luogo la luce, essendovi animali che ricercano la piena luce (“lucifili”) ed altri che preferiscono l’ombra (“lucifughi”); questi ultimi, e pure alcuni animali detti con comune espressione “notturni” (come gli uccelli Strigiformi, ovvero i rapaci notturni), mostrano particolari modificazioni o adattamenti dell’apparato visivo, che talora può essere perfino atrofizzato (come certi animali cavernicoli o abitanti negli abissi oceanici), mentre appaiono sviluppati gli organi di tatto.

Notevole influenza esercita anche la temperatura, in ordine alla quale gli animali manifestano diversa facoltà di adattamento. Alcuni non tollerano variazioni rilevanti (“stenotermi”); altri invece possono sopportare sbalzi di temperatura piuttosto forti (“euritermi”, tra i quali si trovano precipuamente gli animali omeotermi -“a sangue caldo”), spesso in  virtù di speciali conformazioni anatomo-morfologiche, quali lo sviluppo di adipe sotto l’epidermide, che funge da coibente nei climi freddi (come avviene nelle Foche), ovvero la crescita di un folto pelame: ad esempio la Tigre nei paesi caldi (come nel Bengala) ha il pelo quasi raso, mentre in quelli freddi (come in Manciuria e in Siberia) si riveste di una ricca pelliccia.

I mutamenti in conseguenza delle variazioni di luce e di temperatura dei quali si è fatto cenno testè sono senza dubbio degli adattamenti passivi. Adattamenti attivi al modificarsi delle condizioni ambientali sono invece i periodi di riposo che alcuni animali, al pari di molte piante, ciclicamente trascorrono: in particolare osserviamo che esiste un riposo invernale (“ibernazione”), che consiste in un rallentamento del metabolismo e delle funzioni vitali -come nella Marmotta, in taluni Serpenti, ecc.); e un riposo estivo (“estivazione”), che riguarda diversi Anfibi e pure alcuni Pesci tropicali, che si affondano nel fango per trascorrervi la stagione calda e secca. Una forma assai complessa e nota di adattamento attivo sono poi le migrazioni che molti animali, specie Uccelli, ma anche Mammiferi, Pesci e Insetti, compiono, -percorrendo talvolta anche migliaia di chilometri-, per sfuggire ad avverse condizioni di vita (rigori del clima, difficoltà o impossibilità di procurarsi il nutrimento, ecc.), sia periodiche, in corrispondenza delle alternanze stagionali, sia sporadiche,allorchè circostanze eccezionali rendano difficile per loro la sopravvivenza nei luoghi ove abitualmente dimorano.

E passiamo infine a considerare in particolare la fauna degli ambienti marini, che, essendo la superficie del globo terracqueo costituita principalmente da mari e oceani, rivestono grandissima importanza per conservare l’equilibrio del pianeta: i principali fattori ecologici che influiscono sul costituirsi e il mantenersi di un bioma marino sono:

1) il tipo di substrato dei fondali;

2) la profondità, da cui dipende la penetrazione della luce e la pressione;

3) la salinità, la temperatura, la densità, il colore e la trasparenza dell’acqua, che condizionano la possibilità della luce di giungere ad una maggiore o minore profondità;

4) le correnti marine, le maree e l’incessante moto ondoso che caratterizza gli oceani, i mari ed anche i laghi più vasti, i quali per tale ragione, oltre che per la profondità e l’alta salinità che non di rado si riscontra in essi possono essere ai mari assimilati;

5) infine l’abbondanza di elementi nutritivi, determinate per lo sviluppo rigoglioso della fauna, -e pure della flora-, marine.

Nel complesso tuttavia il mare per la continuità spaziale che lo contraddistingue appare un ambiente assai più uniforme che non le terre emerse, e pertanto nelle faune che abitano le diverse aree marine e oceaniche si riscontrano spesso significative affinità anche tra regioni molto distanti tra loro, tanto che vi sono specie pressoché ubiquiste sia tra i Mammiferi (come parecchi Cetacei), sia fra i Pesci (Tonni, alcuni Squali) e i Rettili (alcune specie di Tartarughe marine). Inoltre le correnti marine favoriscono la diffusione di diversi animali, specie quelli più piccoli e quelli che dispongono di scarsi o inesistenti mezzi di locomozione e fluttuano in balia delle acque.

Peraltro non poche specie sono invece reperibili solo in aree ristrette, mentre di altre la presenza negli attuali habitat non si spiega con la configurazione delle terre emerse e dei mari negli ultimi millenni, ma con l’esistenza di ponti continentali in seguito scomparsi che impedivano la comunicazione tra i vari bacini oceanici; oppure, all’inverso, che vi fossero spazi che consentivano la circolazione tra mari ora non più comunicanti.

Nella fauna marina sono rappresentati tutti i “phila” animali, anzi tre di essi, -gli Echinodermi, i Tunicati e i Cefalocordati (i quali tuttavia secondo le più recenti classificazioni sono considerati “sottotipi” del “philum” del Cordati, il cui principale ramo è quello dei Vertebrati)-, sono esclusivamente marini, mentre anche in altri gruppi si annoverano classi e famiglie aventi come unico habitat quello degli oceani e dei mari.

Sulla base del genere di vita che conducono gli organismi animali del mare sono stati suddivisi in tre categorie:

una prima categoria, detta BENTHOS- o BENTON-, comprende tutti gli animali legati strettamente al fondale; nell’ambito di questo gruppo, si distinguono a loro volta un “benthos sessile”, in cui sono inclusi tutti gli organismi che trascorrono la vita adulta fissati sul fondo (e che un tempo erano chiamati “Zoofiti” -“Animali-Piante”), quali Poriferi (Spugne); Celenterati (Coralli, Madrepore, Attinie), Cirripedi (Crostacei che vivono attaccati a rocce, gusci di Molluschi conchiferi); un “b. sedentario”, al quale appartengono animali capaci di compiere modesti e lenti spostamenti sul substrato, quali la maggior parte degli Echinodermi (come Stelle di mare, Oloturie, Ofiurie, ecc.); un “b. vagile”, i cui membri, pur strisciando, compiono movimento veri e propri sul fondo, come la maggior parte dei Crostacei, dei Molluschi e degli Anellidi.

Talvolta si ascrivono al benthos anche animali che pur spostandosi con il nuoto rimangono sempre assai vicini ai fondali al quale sono legati per il nutrimento e la riproduzione e in cui trovano riparo: in questo gruppo rientrano molti dei Pesci “di melma” e di “scoglio”, Molluschi Cefalopodi e Crostacei Decapodi. Altri animali vivono all’interno del substrato, nella sabbia o nel fango (“endobenthos”); tra di essi si trovano soprattutto organismi escavatori e detritìvori, quali Anellidi Policheti e Molluschi Bivalvi).

La seconda importante categoria è quella denominata PLANCTON: si tratta di organismi, il più delle volte piccolissimi o addirittura microscopici, che vivono sospesi nell’acqua ed essendo dotati di insufficienti mezzi di locomozione e dunque di scarse capacità di movimento, vengono trasportati dalle correnti.

Accanto a quello costituito da organismi animali, lo “zooplancton”, esiste anche un plancton vegetale, -il “fitoplancton”-; nello zooplancton troviamo principalmente Protozoi (quali Flagellati, Foraminiferi e Radiolari), ma anche Crostacei di minute dimensioni (come Cladoceri e Copepodi), Tunicati (che talora, come fanno le Salpe, possono formare grandi colonie galleggianti) e Meduse di piccole e medie dimensioni; dello zooplancton fanno pare anche larve e uova di animali che allo stato adulto rientrano nel benthos o nel necton (del quale parleremo in seguito).

Il fitoplancton comprende Alghe unicellulari (come le Diatomee, dotate di un caratteristico “scheletro” siliceo) e Cianobatteri (un tempo detti “Alghe azzurre”), che hanno una fondamentale importanza negli ecosistemi marini, sia perché sono il primo anello della “catena alimentare” -costituendo il nutrimento principale per gli organismi zooplanctonici, sia per le essenziali finzioni biochimiche che svolgono.

Osserviamo peraltro che mentre il plancton di superficie è assai vario e mostra notevoli peculiarità da un mare all’altro, quello di profondità, composto esclusivamente di microrganismi animali, è più uniforme riguardo alle specie che vi si possono trovare.

Vi è infine la schiera di animali marini dotati di adeguati mezzi di locomozione che consentono loro di spostarsi liberamente a nuoto: essi costituiscono la terza categoria detta NECTON (in greco “natante”), -a motivo del fatto che nuotano-, e che comprende precipuamente i Pesci, Mammiferi acquatici come i Cetacei, i Sirenidi e pure i Pinnipedi, le Tartarughe marine, e alcuni molluschi Cefalopodi (come Polpi, Piovre e Calamari).

Il necton peraltro dipende per la sua esistenza dal plancton, che fornisce il principale nutrimento a molti degli animali più grandi -quali i Cetacei Misticeti, molti Pesci e Molluschi- e pertanto l’abbondanza e la distribuzione di esso influisce in modo decisivo sulla presenza e la diffusione di quasi tutte le specie (6).

Secondo la profondità delle acque e la lontananza dalla costa si possono distinguere nella stratificazione della vita animale tre domini:

1) il “dominio neritico”, la fascia che lambisce la costa, fino a profondità non superiori ai 200 m, il quale comprende a sua volta una zona “intercotidale” e una zona “litoranea”. La prima di esse è quella situata tra il limite dell’alta e della bassa marea, così che gli organismi bentonici in essa viventi (Alghe, Cirripedi, Molluschi Lamellibranchi e Gasteropodi) si trovano a fasi alterne immerse nelle acque e all’asciutto così che corrono il rischio di disidratazione e devono possedere notevoli qualità di adattamento. La seconda si colloca sulla piattaforma continentale, fino al limite di penetrazione della luce: è questa la zona più ricca di forme animali e vegetali poiché l’abbondanza di sali minerali trasportati in mare dai fiumi e le buone condizioni di luminosità consentono il proliferare del fitoplancton e di conseguenza degli animali che da esso dipendono in modo diretto o indiretto. Sulle possibilità di vita in tale ambiente tuttavia esercitano una determinante influenza la temperatura, soprattutto con le sue variazioni stagionali, e la salinità che può essere variabile anche entro un breve spazio (ad esempio in prossimità della foce dei fiumi), nonché la natura del fondale, poiché ai vari tipi di esso che si incontrano -roccioso, sabbioso, fangoso-, corrispondono delle faune peculiari. Le acque inoltre in questa zona sono in genere mosse a causa del moto ondoso e delle maree, per cui molte specie tentano di resistere agli urti coprendosi di dure corazze o fissandosi al fondo.

2) il “dominio pelagico” o “oceanico”, che include le aree lontane dalla costa, in alto mare, dove pure notevole è l’influenza della temperatura e della salinità delle acque, a cui si aggiunge quella delle correnti marine che agiscono da distributrici del plancton, a spese del quale vive il necton. Esso si divide in una zona “fotica”, fino ai 200-250 m di profondità, nella quale riesce a giungere una certa quantità di luce, sebbene sempre più fioca, ed è la zona più popolata, ricca di plancton e di necton, quella dove nuotano i Pesci e i Cetacei più grandi; ed una zona “batiale”, che copre la scarpata continentale tra i 200 e il 2000 m; qui non arriva per nulla la luce solare e gli organismi viventi sono assai più scarsi, benché vi si rilevino alquante specie animali, tra cui Stelle di mare e Calamari giganti.

3) infine il “dominio abissale”, dai 2000 m in poi, dove troviamo condizioni molto uniformi di temperatura (che in genere si avvicina allo 0, ma rimanendone sempre al di sopra -si tenga presente che l’acqua salata gela a -2°-, anche nelle fosse abissali più profonde) e di salinità. Questa zona, dove regna l’oscurità assoluta e la pressione è tale da non poter essere tollerata da alcun altro organismo vivente, ospita una fauna assai singolare che mostra speciali adattamenti che le consentano di sopravvivere in un ambiente tanto ostile come occhi gradi e complicatissimi, o viceversa atrofizzati, organi fotogeni con i quali illuminare tenuemente le tenebre, lunghe e delicate appendici tattili, ecc. Poiché è del tutto assente qualsiasi tipo di organismo vegetale e di plancton, gli animali che vivono in questi luoghi desolati, in apparenza incompatibili con la vita, sono solo carnivori, per lo più Pesci, -i quali sono spesso dotati di bocca molto ampia e denti lunghi e affilati-, ma non mancano Molluschi ed Echinodermi; la base della catena alimentare è rappresentata dai residui organici che discendono dagli strati marini superiori e che fungono da cibo per gli animali più piccoli.

La fauna che popola le acque continentali è assai meno ricca di quella degli oceani e dei mari, e pur tuttavia non di rado presenta essa pure innegabili analogie tra bacini fluviali e lacustri molto distanti tra loro. Inoltre le acque termali superiori ai 40°, così come quelle ultrasalate di taluni laghi senza emissario (come il Mar Morto); anche on queste ultime però allignano organismi unicellulari come i Batteri.

Salvo talune eccezioni -come Anguille, Cheppie, Storioni, Salmoni in alcuni stadi della loro vita (6)-,le specie marine non possono viere nelle acque dolci e viceversa. La acque salmastre (lagune e paludi costiere, estuari d fiumi, ecc.) ospitano una fauna eurialina, spesso copiosa (quando non sia turbata da inquinamento e altri fattori di disturbo antropico), ma abbastanza povera di specie. Le acque fluviali, soprattutto quelle dei fiumi più lunghi e profondi, albergano nella corrente superficiale poche specie di nuotatori vigorosi e un maggior numero di abitatori verso il fondo. Si noti che nelle acque fluviali sono del tutto prive di rappresentanti di alcuni grandi gruppi animali, come Ctenofori, Briozoi, Echinodermi, o ne ospitano pochissime specie (come l’Idra appartenente al tipo dei Celenterati, alcune Spugne).

Più varia e interessante è la fauna lacustre; nei grandi laghi si distingue come nel mare una fauna litoranea, una pelagica e, -nei laghi molto profondi-, una fauna abissale. Ad uguale latitudine e in condizioni analoghe di temperatura, bacini lacustri anche assai lontani tra loro, -come i laghi montani dell’Antico e del Nuovo Continente-, mostrano singolari affinità faunistiche.

Alcune Foche siberiane sulle rive del lago Baikal.

Alcuni grandi laghi ospitano una fauna, -e in minor misura una flora-, con caratteristiche del tutto peculiari. Così il lago Baikal in Siberia, tipico lago di affossamento dal contorno lungo e stretto in direzione nord-sud, con un’ampiezza di 31.722 kmq, uno dei più antichi sul globo terracqueo, poiché la sua formazione risale almeno all’epoca miocenica, e che è pure il più profondo, potendo raggiungere nel punto più lontano dalla superficie la profondità di 1.940 m. In esso si trovano una Foca (Phoca, o Pusa, sibirica), -l’unica di acqua dolce-, alcuni generi e parecchie specie di Pesci (27 su 52) che non è dato rinvenire altrove; ed inoltre numerose specie endemiche di Crostacei Anfipodi, di Molluschi, di Anellidi, di Poriferi (18 specie di Spugne, di cui 14 reperibili solo in questo specchio d’acqua, tra le quali la più tipica è la Lubomirskia baicalensis). Una parte di codesta fauna, dai caratteri piuttosto arcaici, rappresenta senza dubbio un relitto della fauna terziaria siberiana.

Anche il lago Tanganica in Africa, pure esso profondissimo e di forma allungata, è un lago di affossamento, la cui ampiezza di 32.900 kmq lo rende uno dei più grandi del mondo. Delle specie animali ospitate nelle sue acque ben il 70 % sono endemiche, specialmente Pesci (in particolare 300 specie appartenenti alla famiglia dei Ciclidi, che è la più rappresentata in questo bacino lacustre) e Molluschi Gasteropodi (quelli con conchiglia spiralata), ma pure Crostacei -tra cui Granchi di acqua dolce- e Anellidi. Codesta situazione attesta l’isolamento del lago da una remota antichità: esso infatti non aveva emissario prima di essere “catturato” dal fiume Lukuga, che nei tempi attuali, almeno nei periodi di piena, ne versa le acque nel Congo.

Note

1)si tenga presente tuttavia che il Dromedario è originario dei deserti dell’Arabia e del Medio Oriente; in Africa fu importato negli ultimi secoli precedenti l’era volgare.

2) le vere foglie sono organi proprie delle piante superiori attraverso i quali si compie sia la traspirazione sia la fotosintesi. Le Alghe di medie e grandi dimensioni mostrano a volte delle differenziazioni morfologiche che rimembrano e sembrano apparentarle alle Cormofite, ma tali somiglianze sono solo apparenti, poiché ad esse non corrispondono diversità nella costituzione dei tessuti e nelle funzioni.

3) due soli laghi al mondo hanno una profondità superiore ai 1.000 m: il Lago Baikal in Siberia, -il più profondo in assoluto con i suoi 1.940 m-, e il Lago Tanganika -1.435 m-. Entrambi questi laghi, situati in fosse tettoniche di sprofondamento, possiedono spiccate peculiarità di carattere geografico, ma soprattutto di carattere biologico data l’abbondanza, anzi la prevalenza degli endemismi nella loro flora e nella loro fauna. Al terzo posto, con 946 m, troviamo il Mar Caspio, il quale, come abbiamo già segnalato, per le sue caratteristiche (dimensioni, profondità, salinità, moto ondoso) dal punto di vista biologico a tutti gli effetti si può considerare un mare.

4) com’è noto l’acqua assorbe e cede il calore più lentamente della terra per cui trattiene più a lungo il caldo immagazzinato durante l’estate, rilasciandolo durante l’inverno: per tale motivo le regioni poste sulle rive dei mari e dei laghi di una certa ampiezza godono in genere un clima più mite di quello delle area che non beneficiano di tale condizione.

5) alcuni autori alle grandi categorie sopraddette ne aggiungono una quarta: il NEUSTON. Di esso farebbero parte quegli organismi che vivono intorno al pelo dell’acqua, poco sopra (“epineuston”) o poco sotto (“iponeuston”), tra i quali si annoverano, oltre a diverse piccole specie planctoniche, -Crostacei Anfipodi, Celenterati Idrozoi, Protozoi, ecc.-, nonché Batteri e Alghe brune, come i Sargassi, i pochissimi Insetti e Aracnidi che possano definirsi marini, -come gli insetti Rincoti del genere Halobates (“che cammina sul mare”). Al Neuston si ascrivono pure i Pesci volanti.

6) delle specie ittiche che compiono migrazioni dai fiumi e laghi al mare e viceversa, sono dette “catadrome”, o “talassotoche”, quelle, come le Anguille, che vivono normalmente in acque dolci e vanno a deporre le uova in acque salate; “anàdrome”, o “potamòtoche”, quelle, come Cheppie, Salmoni e Storioni, che al contrario dimorando abitualmente nei mari si recano nei fiumi o nei laghi per riprodursi.

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