SULLA TASSONOMIA DELLE SPECIE ANIMALI E VEGETALI (terza parte) -le regioni biologiche-

A Wallace si deve anche uno studio organico e sistematico riguardante la distribuzione delle piante e degli animali sulla superficie terrestre, ovvero di quella scienza ausiliaria della biologia poi definita Biogeografia, o Geografia biologica, a sua volta divisa nelle due branche della Fitogeografia (riguardante le piante) e della Zoogeografia (che tratta degli animali), che egli effettuò nel 1876, ma che riprende in sostanza quello proposto otto anni prima da un altro naturalista, T. H. Huxley (1825-1895).

Il sistema elaborato da quest’ultimo in ordine al popolamento animale del globo terrestre contemplava due “regni”, denominati rispettivamente ARCTOGEA (“Terra Artica” o “Settentrionale”) e NOTOGEA (“Terra Meridionale”), le quali si articolavano a loro volta in “province”: la prima comprendeva la provincia PALEOARTICA (Europa, Asia settentrionale e occidentale, Africa mediterranea), quella NEOARTICA (America settentrionale), l’ETIOPICA (Africa sub-sahariana e parte meridionale della penisola Arabica) e l’INDIANA (India, Indocina, Indonesia, Cina meridionale; mentre nella Notogea erano incluse le due province NEOTROPICALE (America centrale e meridionale) e AUSTRALASIANA -o PALEOTROPICALE ORIENTALE- (Australia e isole circostanti, Oceania). Wallace non si discostò molto dalla suddivisione istituita dal suo collega, se non per il fatto che egli soppresse i “regni” e sostituì le “province” con “regioni”, -che in pratica corrispondevano nell’estensione territoriale alle province di Huxley, salvo il fatto che la provincia “Indiana” (o “Indica”) divenne la “regione Orientale”.

Sebbene ipotizzate assai prima della formulazione della teoria della “deriva dei continenti” ad opera di A. Wegener nel 1913, risulta evidente che le province, o regioni, faunistiche riflettono in sostanza le grandi placche tettoniche in cui si suddivise l’unica massa terrestre (la “Pangea”) esistente nelle più remote ere geologiche secondo l’ipotesi del geofisico tedesco. In particolare l’Arctogea sarebbe da indentificare nella “Laurasia”, il continente settentrionale derivato dalla frattura della Pangea, a sua volta articolatosi in due estese masse territoriali corrispondenti alle regioni, -o province- Paleoartica e Neoartica (Eurasia e America del Nord); la Notogea è l’insieme delle terre che costituivano la parte meridionale della Pangea, il “Gondwana”, che si divise in cinque minori sub-continenti: l’America del Sud, l’Africa, la proto-India (a volte chiamata Gondwana in senso stretto), l’Antartide e l’Australia. Di questi sub-continenti quello che avrebbe dato origine all’India e all’Indocina nel suo moto di spostamento verso nord andò a cozzare contro la regione Paleoartica (l’Asia centro-settentrionale) saldandosi così con essa e dando origine alla catena dell’Himalaya (su tali argomenti si veda quanto abbiamo scritto nella prima parte della ricerca su “I Continenti comparsi tra mito e scienza” del 27 marzo 2013).

A conferma di tale ipotesi stanno le indubbie analogie che si riscontrano tra le popolazioni animali (e pure quelle vegetali come vedremo in seguito) delle regioni appartenenti a ciascuno dei due regni, specie tra le regioni Paleoartica e Neoartica, e tra le regioni Etiopica e Orientale: in particolare confrontando le due ultime non si può fare a meno di osservare il parallelismo e l’affinità tra le due Faune, comprendenti molte specie che si possono considerare le varianti del medesimo genere -come ad es. l’Elefante africano (Loxodonta africana e Loxodonta cyclotis)  e indiano (Elephas maximus indicus), le due specie di Rinoceronte africano (Ceratotherium simum, Rinoceronte bianco, e Diceros bicornis, R. nero) e le tre asiatiche (Rhinoceros unicornis, Rinoceronte indiano, Rhinoceros sondaicus, R. di Giava, Dicerorhinus sumatrensis, R. di Sumatra); il Leopardo (Panthera pardus, con un’unica sottospecie africana, e nove sottospecie asiatiche, tutte più o meno gravemente minacciate, se non estinte, -delle quali alcune, il cui habitat è -o era- compreso tra Anatolia, Vicino Oriente, Iran e Asia centrale, rientrano però nella regione Paleoartica-); ecc.-, o comunque simili come diverse specie di Antilopi e Gazzelle, che caratterizzano la popolazione animale degli ambienti delle foreste rade, delle savane e degli ambienti semiaridi esistenti sia in Africa sia in India -e in minor misura in Indocina- (1).

I Regni floristici nella più recente attribuzione.

Meno marcate risultano invece le analogie tra le due regioni paleotropicali con la regione Neotropicale, mentre decisamente forti sono le peculiarità che la regione Australasiana rivela rispetto a tutte le altre, caratterizzata com’è dalla presenza di molte specie endemiche, in particolare Mammiferi Monotremi (esclusivi di quest’area) e Marsupiali (i quali sebbene siano reperibili pure in altri distretti geografici, in nessun altro sono così numerosi).

Anche per quanto riguarda la distribuzione degli organismi vegetali sono state distinte delle circoscrizioni territoriali definite “regioni floristiche” che ricalcano in misura notevole le regioni faunistiche, le quali però, essendo le Piante assai più legate al terreno e alla configurazione geografica e geologica dei territori, sono alquanto più articolate in aree minori, che in ordine decrescente sono: regioni, domini, province, distretti, settori.

Or dunque nella ripartizione delle terre emerse sotto l’aspetto floristico possiamo distinguere: 1) regno Olartico, comprendente due regioni, quella Paleoartica e quella Neoartica, le quali ricalcano pressoché esattamente le omonime regioni faunistiche; 2) regno Paleotropicale, al quale sono ascritte la regione Etiopica, la regione Malgascia e la regione Orientale; 3) il regno Neotropicale, che comprende la sola regione omonima Neotropicale, estendentesi nell’America centro-meridionale; 4) il regno Australo-pacifico, che si articola nelle regioni Australiana, Neozelandese, Oceanica ed Antartica. Nelle impostazioni più recenti delle aree fitogeografiche, tra cui ricordiamo quella del botanico A. L. Takhtajan, già citato nella parte precedente della presente ricerca, la regione Antartica viene elevata a regno, mentre l’estrema punta meridionale del continente africano, in considerazione delle specifiche peculiarità della sua flora (e della sua fauna), è indicata come “regno Capense” (dal nome della regione del Capo), comprendente un’unica regione avente il medesimo nome (regione Capense); questo regno è stato introdotto poiché sebbene occupi una porzione di territorio alquanto ristretta l’80 % delle specie vegetali che vi si trovano sono endemiche di quei luoghi.

La separazione dei continenti che costituivano il “Gondwana”.

Data la notevole complessità della ripartizioni in aree floristiche elaborate negli ultimi decenni, ci limitiamo a riportare qualche esempio -che serva anche ad inquadrare la posizione della nostra Italia- secondo la versione più recente data dal Takhtajan: il regno Olartico si articola in nove regioni, -o “domini”- delle quali sei erano comprese nelle precedenti classificazioni nella regione Paleoartica, ossia: 1) Circumborale; 2) Mediterranea; 3) Turano-iranica; 4) Arabo-sahariana; 5) Macaronesiana (che comprende l’arcipelago della Canarie e altre isole atlantiche); 6) Estremo-orientale; e tre nella regione Neoartica: 7) Atlantico-americana; 8) delle Montagne Rocciose; 9) Madreana (parte del Messico e degli USA meridionali). Tipiche del regno Olartico sono soprattutto piante appartenenti alle famiglie delle Betulacee, Brassicacee (o Crocifere), Cariofillacee, Chenopodiacee, Fagacee, Genzianacee, Juglandacee, Liliacee, Malvacee, Magnoliacee, Papilionacee, Primulacee, Ranuncolacee, Rosacee, Salicacee e Sassifragacee; sono presenti anche famiglie vegetali endemiche delle regioni olartiche tra le quali le più note sono quelle delle Peoniacee e delle Platanacee.

La regione -o dominio- Circumboreale si divide a sua volta in 15 province, che sono: 1) Artica; 2) Atlantico-europea; 3) Centro-europea (o Medio-europea); 4) Illirica (o Balcanica); 5) Sarmatica (o Pontica); 6) Caucasica; 7) Est-europea (o Russo-baltica); 8) Nord-europea; 9) Siberiana occidentale; 10) Mongolica (o dell’Altai-Sayan); 11) Siberiana centrale; 12) Transbaikalica; 13) Siberiana nord-orientale; 14) dell’Okhotsk-Kamchatka; ad esse è da aggiungersi 15) la provincia Canadese, che in precedenza era ascritta alla regione Neoartica.

La regione Mediterranea comprende nove province: 1) Marocchina meridionale; 2) Mediterranea sud-occidentale; 3) Mediterranea meridionale; 4) Iberica; 5) Balearica; 6) Tirrenico-ligure; 7) Adriatica; 8) Mediterranea orientale; 9) Cimmeria (quest’ultima ,che si estende sulla Crimea e sulle terre adiacenti al Mar d’Azov, dal punto di vista geografico è del tutto al di fuori dell’ambiente del Mar Mediterraneo, ma le peculiarità della sua flora, simile a quella delle aree egeiche e levantine, hanno indotto ad includerla nella regione fitogeografica Mediterranea).

Il territorio italiano è compreso in parte nella regione Circum-boreale, provincia Centro-europea, con i due distretti Alpino e Appenninico, -ovvero in altre varianti nella regione Medio-europea, dominio Centro-europeo, con le province Alpina e Appenninica-; e in parte nella regione Mediterranea, con le province Tirrenico-ligure e Adriatica. Nella provincia Alpina si distinguono poi i quattro distretti Alpino propriamente detto, Insubrico-euganeo, Monferrino-Langhiano e Padano; la provincia Tirrenico-ligure si divide nel distretto Tirrenico, in quello Siculo e in quello Sardo-corso, mentre la provincia Adriatica annovera i distretti Adriatico-occidentale, Adriatico-orientale e Garganico.

Una sintesi tra circoscrizioni territoriali zoo-geografiche e fito-geografiche sono le “Regioni biogeografiche”, entro le quali si considerano in una prospettiva unitario, date le loro strette interrelazioni, la distribuzione delle specie animali e vegetali analizzando i molteplici fattori di ordine geografico, geologico, biologico e climatico che la condizionano in modo permanente o durevole.

Per quanto riguarda l’Europa, in essa si sono identificate undici regioni: ARTICA, BOREALE, ATLANTICA, CONTINENTALE, ALPINA, MEDITERRANEA, MACARONESICA, STEPPICA, PANNONICA, ANATOLICA e PONTICA. Si noti che tali aree comprendono e accomunano aree in cui si riscontrano i medesimi o simili caratteri e aspetti geomorfologici, climatici e biologici anche quando non esista tra di essi continuità o contiguità territoriale (ad es., nella regione Alpina sono compresi tutti gli habitat di alta montagna, non solo le Alpi dunque, ma pure parte degli Appennini, Pirenei, Balcani, Carpazi, Urali, Caucaso, ecc.).

L’Italia è interessata da tre di queste regioni: l’Alpina, la Continentale e la Mediterranea, che ricalcano nelle grandi linee le omonime fasce climatiche. Si tenga presente che le caratteristiche della flora (e della fauna) sono nei fatti assai più differenziate e non certo uniformi e omogenee all’interno delle singole zone di quanto non appaia dalla cartina allegata. Infatti a nord esistono isole di vegetazione spiccatamente termofila e xerofila nel distretto Insubrico-euganeo che rimembrano quella della regione Mediterranea (con Olivi, Lauri, Rosmarini, Agrumi, ecc.), specie nell’area intorno al Lago di Garda, o Bènaco che dir si voglia, mentre i laghi occidentali presentano aspetti più simili alla flora legata ai climi Atlantico o Cinese -dei quali parleremo poco oltre-, tanto che il Köppen con felice intuizione adottò per essi la suggestiva definizione di “clima delle Camelie”. A sud e nelle isole al contrario, nelle aree interne e nei pressi delle vette appenniniche a causa dell’altitudine e/o della lontananza dal mare prevalgono specie decisamente più medio-europee o alpine, come Faggi, Cerri, Roveri, Abeti, Agrifogli (si pensi in particolare all’Appennino abruzzese con i massicci del Gran Sasso e della Maiella, all’altopiano della Sila, nonché alla vegetazione che cresce sulle falde dell’Etna e del monte Gennargentu in Sardegna). Si aggiunga inoltre che i mutamenti climatici sopravvenuti negli ultimi decenni soprattutto a causa delle attività umane hanno contribuito alquanto ad attenuare le differenze climatiche nella penisola.

Ricordiamo peraltro che, secondo lo schema di classificazione proposto da Wladimir A. Köppen (1846-1940) nel 1900 e successivamente perfezionato nel 1918, esistono undici tipi-base di clima (da non confondere con le specifiche condizioni climatiche di una determinata regione, ovvero il “clima locale”): quattro di essi sono propri della “zona torrida” del globo terrestre, ovvero quella che si trova tra le isoterme annue di 20°, sia a nord che a sud dell’equatore -all’incirca nella fascia intertropicale-: il CLIMA EQUATORIALE o AMAZZONICO; il CLIMA DELLE SAVANE (di cui si distinguono a sua volta due sottotipi: CLIMA SUDANESE e CLIMA MONSONICO); CLIMA SUBDESERTICO e CLIMA DESERTICO altrimenti detto SAHARIANO. Di questi quattro climi i primi due sono in prevalenza umidi, -pur se con un periodo secco nei climi Sudanese e Monsonico); gli altri due sono invece alquanto siccitosi, specie il clima Sahariano.

Altri cinque tipi di clima sono invece propri delle zone temperate, ovvero quelle limitate dalle isoterme annue di 20° verso la zono torrida e l’isoterma di 10° del mese più caldo (di solito luglio nell’emisfero nord e gennaio nell’emisfero sud); essi sono: CLIMA CINESE, CLIMA MEDITERRANEO, CLIMA ATLANTICO, CLIMA RUSSO-SIBERIANO, CLIMA MANCESE, e sono caratterizzati dall’esistenza di stagioni ben definite. Di essi i primi tre sono considerati temperati-caldi o sub-tropicali, mentre gli altri due temperati-freddi o subartici. A questi si può aggiungere il CLIMA TURANICO, una variante del clima subdesertico, proprio dei deserti freddi dell’Asia centrale e della Mongolia, -come il deserto del Gobi-.

Infine in prossimità delle calotte polari, dove manca un’estate vera e propria, si possono distinguere due tipi di clima: il CLIMA DELLE TUNDRE, e il CLIMA GLACIALE. A questi tipi di clima, -caratterizzati dal gelo perenne (nel secondo tipo, il Clima Glaciale), e intervallato nel Clima delle Tundre da un breve periodo di disgelo-, si possono assimilare i climi di alta montagna anch’essi dominati dal freddo intenso e ininterrotto.

In Europa è dato riscontrare tre dei climi base, -quello Atlantico, quello Russo-siberiano e quello Mediterraneo-; tuttavia, specie nell’Europa centrale, in pratica i climi prevalenti sono delle forme di transizione tra di essi, spesso definiti “continentali”, termine che però non indica uno specifico tipo di clima, ma un carattere delle condizioni climatiche proprie delle aree terrestri in cui si riscontrino rilevanti escursioni termiche annue, -ma non certo forti come nel clima russo-siberiano vero e proprio, dove tra estate e inverno si può raggiungere e superare la differenza di 50°- e piovosità non abbondante, concentrata di solito in primavera ed autunno.

Negli ultimi decenni tuttavia più che i regni e le regioni floristici e zoogeografici ha acquisito importanza sempre maggiore lo studio dei cosiddetti “biomi”. Con tale termine si intende un complesso di comunità animali e vegetali presente con peculiari qualità in una particolare area geografica del pianeta e che contraddistingue tale area sotto il profilo naturalistico. Il termine “bioma”, che si può considerare un sinonimo di “ecosistema”, quando tale termine venga impiegato per indicare vaste e complesse associazioni biologiche (e dunque non allorché sia riferito a limitate o limitatissime porzioni di territorio), fu introdotto nel 1916 dal biologo americano F. E. Clements (1874-1935) per sostituire l’espressione “comunità biotica” coniata da Karl A. Möbius (1825-1908), zoologo tedesco considerato il fondatore dell’ecologia. Da allora fu variamente utilizzato, spesso in alternativa a “ecosistema” e ad “ecoregione”, e dal 1947 ai primi anni del XXI secolo se ne ebbero diverse classificazioni (non meno di 14) ad opera dei naturalisti, pur se nelle grandi linee sono rimasti i medesimi criteri fondamentali per definire un “bioma”. In sintesi possiamo affermare che i “biomi” vengono distinti e identificati sulla base della vegetazione dominante, ovvero delle grandi formazioni vegetali, associazioni di piante dipendenti dalle condizioni e dalla morfologia del suolo, nonchè dal clima.

Le formazioni vegetali si possono distinguere in tre grandi gruppi: arborescenti (“Lignosa”), erbacee (“Prata”), formazioni vegetali dei climi aridi (“Deserta”).

I principali tipi di formazioni arborescenti sono:

1) la foresta equatoriale, o foresta pluviale, caratteristica del clima amazzonico e quindi propria di ambienti assai umidi. Essa si segnala per l’inusitata varietà delle specie arboree e per l’esuberanza delle forme in cui predominano le piante sempre verdi. Consta altresì di parecchi piani di vegetazione sovrapposti: agli alberi alti, non di rado giganteschi -che in talune specie possono raggiungere e financo superare gli 80 m di altezza!-, tra i quali si distinguono soprattutto quelli appartenenti alla famiglia delle Dipterocarpacee (nonchè delle Moracee meno alte, ma dal fusto imponente) si unisce una serie di strati di alberi di minore statura e di arbusti che costituiscono il sottobosco, mentre il suolo è a sua volta ricoperto di una cospicua flora erbacea.

Foresta equatoriale nel Borneo.

Alla vegetazione del sottobosco appartengono numerose piante epifite (ossia che prosperano al di sopra di altre piante, pur senza essere parassite) rampicanti, come le Liane, le quali protendendosi da un albero all’altro, intessono una rete pressoché inestricabile, alla quale si deve l’impenetrabilità delle foreste pluviali. Questo tipo di foresta si riscontra nel bacino del Rio delle Amazzoni, -ovvero nell’Amazzonia vera e propria-, nel bacino del Congo e nella Guinea settentrionale in Africa, nelle isole dell’arcipelago Indonesiano, in Malesia, nel Bengala e nelle basse pendici dell’Himalaya e in pochi altri luoghi e purtroppo a causa della deforestazione per far posto ai campi coltivati e per lo sfruttamento del legname tende a ridursi vieppiù. Allontanandosi dalle regioni a clima amazzonico, con  l’intercalarsi di un periodo arido più o meno lungo, la foresta pluviale scompare o meglio permane soltanto lungo il corso dei fiumi dall’ampia portata di acque ove il suolo riesce a mantenersi umido durante tutto l’anno. La fauna che si riscontra nella foresta equatoriale è costituita in prevalenza da specie che amano trattenersi e trascorrere la loro vita soprattutto sugli alberi, e dunque Scimmie arboricole, Uccelli frugivori e insettivori, spesso vivacemente colorati, Pipistrelli, Rettili, specie Ofidi e Sauri, Anfibi, Mammiferi di piccola e media taglia (in particolare Roditori e Carnivori Viverridi), mentre nel sottobosco e al suolo brulicano una miriadi di Insetti e altri Artropodi. In parallelo con la struttura della flora, anche la fauna, sebbene in modo assai meno netto, appare legata ai vari “piani” della foresta. Per contro pochi sono i grandi Erbivori (tra cui ricordiamo i Tapiri) e i grandi predatori (Tigri, Leopardi e Giaguari), che non trovano nella fitta foresta equatoriale gli ampi spazi che sono loro necessari.

2) la foresta dei paesi monsonici e di quelli a clima sudanese, in cui compare un periodo secco ben individuato. Durante la stagione delle piogge assomiglia alla foresta equatoriale, per quanto mostri un minor rigoglio di forme e minore ricchezza di epifite, mentre nella stagione arida appare in uno stato di riposo, che si manifesta per molti alberi con la perdita delle foglie. Nelle regioni in cui la siccità è più intensa e prolungata il bosco si dirada e assume l’aspetto di un parco, che lascia vasti spazi alle formazioni erbose o prative (“savana-parco”).

3) i boschi sempreverdi dei paesi circum-mediterranei, che sono costretti ad adattarsi ad un clima caratterizzato da una forte e prolungata siccità estiva, sono composti da Pini domestici e marittimi, da querce a foglie persistenti di bassa statura (Lecci, Querce da sughero) e soprattutto da arbusti a sopportare la lunga stagione asciutta (Erica, Ginestra, Corbèzzolo, Lauro, Mirto, Lentisco, Rosmarino, Rovo). Essi costituiscono associazioni cespugliose, spesso assai compatte e intricate, come la “macchia” mediterranea e la “gariga” o “phrygana” simile alla macchia, ma che differisce da essa per essere più povera e priva di alberi; si noti peraltro che, -come abbiamo segnalato nella nota n. 1-, alla macchia primaria si affianca un tipo di macchia, di solito più povera (e che dunque rientra nel tipo della “gariga”), derivato dalla degradazione dell’originaria foresta mediterranea, che, a causa della fortissima pressione antropica esercitata in questa parte del pianeta fin dai tempi più remoti, è sopravvissuta solo in modestissimi lembi. Formazioni vegetali non dissimili per quanto caratterizzate da specie alquanto diverse si riscontrano negli USA meridionali, nel Messico centro-settentrionale, nel Cile, ecc.

Scoiattolo rosso, animale tipico delle foreste di latifoglie.

4) i boschi di latifoglie, propri delle regioni temperate dell’emisfero boreale, con piogge ben distribuite durante tutto l’arco dell’anno. Gli alberi che li costituiscono appartengono in genere ad un numero limitato di specie (Querce, Faggi, Càrpini, Tigli, Betulle, Aceri), che mostrano il massimo rigoglio nei mesi estivi, mentre d’inverno riposano perdendo il fogliame. Il sottobosco si compone di alberelli, i cui frutti sono spesso gradito cibo degli Uccelli (Sorbo, Biancospino, Corniolo, Sambuco, Agrifoglio), e di una modesta liana, l’Edera; copiosa è spesso la vegetazione erbacea che ricopre il suolo. Più ricche di specie arboree sono le foreste della Cina e del Giappone meridionale.

5) i boschi di aghifoglie (Conifere) sono tipici delle regioni temperato-fredde e subartiche dell’emisfero boreale; è però dato incontrarli anche in altre regioni, ma solo nelle aree di alta montagne, le cui caratteristiche climatiche sono assimilabili a quelle proprie delle alte latitudini. Già in alcune plaghe dell’Europa Centrale e dell’America settentrionale con il progressivo accentuarsi dei rigori invernali le Conifere cominciano a mescolarsi con le piante latifoglie (boschi misti); finiscono poi col prevalere o con l’essere l’unica forma di piante d’alto fusto nelle regioni più settentrionali, estendendosi in aree enormi; sono anzi la formazione vegetale che occupa una più vasta area del globo. Nel continente antico le specie essenziali sono poche: nell’Europa settentrionale prevalgono i Pini (Pinus silvestris, Picea excelsa); in Siberia insieme ai Pini e agli Abeti sono frequenti i Larici (Larix sibirica). Sul versante pacifico dell’America del Nord si ha una maggior varietà di specie arboree, delle quali talune gigantesche, come le Sequoie. Il sottobosco è in genere poco sviluppato, per cui tali associazioni vegetali sono definite “foreste aperte”.

Tra le formazioni vegetali erbacee annoveriamo: 1) la savana, nome con il quale si designano le distese erbose dei paesi tropicali sulle quali si abbatte una prolungata stagione secca, che talora le fa inaridire del tutto e che ostacola lo sviluppo degli alberi di alto fusto. Questi ultimi non mancano del tutto, ma sono il più delle volte ridotti a piccoli gruppi o ad esemplari isolati di specie atte a tollerare lunghe siccità ; molto più frequenti sono gli arbusti e i cespugli, che formano boscaglie basse e cespuglieti che offrono riparo a una numerosa fauna. Nelle savane vere e proprie, quali si incontrano nell’Africa orientale e meridionale e nell’India centro-settentrionale ,predominano le Graminacee, che nel periodo del massimo rigoglio possono essere così alte che vi scompaiono i grossi Mammiferi; esse sono interrotte da alberi di modesta altezza come le Acacie, da raggruppamenti di alberelli e cespugli spinosi, e pure da alberi di dimensioni imponenti come l’enorme Baobab (Adansonia digitata). Con l’aumentare della frequenza e della densità delle boscaglie e delle macchie si configura quel tipo di transizione, che già abbiamo citato, detto “savana-parco” o “savana alberata”, intermedio tra la savana e la foresta, che trapassa poi gradatamente nella foresta equatoriale vera e propria. Invece con il diminuire della piovosità e il rarefarsi dei corsi d’acqua la savana si impoverisce sempre più assumendo l’aspetto della prateria e poi della steppa. La savana e la savana-parco sono per eccellenza il regno dei grandi Erbivori (Elefanti, Rinoceronti, Bufali, Giraffe, Zebre, Antilopi, Gazzelle), che vi trovano le ingenti quantità di nutrimento delle quali essi abbisognano, e di conseguenza anche dei predatori di maggiori dimensioni, specie i grandi Felidi.

2) le steppe, proprie delle zone subtropicali e temperate con brevi stagioni piovose. Le steppe che in Asia e in Africa recingono i deserti, rappresentando una forma  di transizione tra essi e le savane, sono prive di vegetazione arborea, -ad eccezione di cespuglieti di arbusti, in genere spinosi raccolti al suolo e di qualche albero basso isolato-, e sono caratterizzate essenzialmente da piante erbacee a breve ciclo vegetativo, con una modesta crescita in altezza, come l’Alfa (Stipa tenacissima), lo Sparto (Lygaeum spartum), parecchie Artemisie, ecc., che tendono a costituire raggruppamenti irregolari con ampi spazi di terreno scoperti.

Un’Otarda, uccello tipico delle steppe.

Pertanto nelle rare occasioni in cui l’arido suolo delle steppe viene irrorato dalle piogge esse appaiono ricoperte di un folto manto erboso, nel quale spiccano anche numerosi fiori dai vivaci colori; mentre durante i lunghi periodi secchi le steppe mostrano un aspetto desolato, poco dissimile da quello dei contigui deserti.

Nel continente nuovo compaiono formazioni intermedie tra la steppa e la savana, come le praterie esistenti tra il Mississippi e le Montagne Rocciose, che offrono una più ricca varietà di specie erbacee, -tra le quali caratteristica è l'”Erba dei Bufali” (Buchloe dactylioides)- che, laddove le temperature sono più elevate e l’umidità minore, o assai scarsa, sono intercalate da Agavi, Iucche, Cactus, e altre piante carnose, le quali conferiscono al paesaggio una particolare impronta. Nelle “pampas” argentine alla vegetazione erbacea si associano spesso arbusti xeròfili.

Nei paesi temperati di Europa orientale ed Asia nord-occidentale estese formazioni di tipo steppico si riscontrano in Ungheria (puszta), in Ucraina, in Siberia, dove peraltro il suolo è ricoperto su vaste estensioni dalla cosiddetta “terra nera”, ricchissima di elementi fertilizzanti, cosicché la steppa è stata in gran parte acquisita alle coltivazioni e l’ambiente naturale originario è andato ormai distrutto (2). Verso est, in prossimità del mar Caspio, compare invece sui terreni impregnati di sale che circondano il più esteso lago della Terra l’ingratissima “steppa bianca”. In alcune aree della Siberia invece, tra i fiumi Ob e Irtish, esistono steppe intercalate da zone paludose e ricoperte da un’alta vegetazione palustre.

Anche nelle steppe e nelle aree semi-desertiche ad esse simili gli animali caratteristici sono soprattutto grandi erbivori, sebbene il loro numero, un tempo elevatissimo, si sia alquanto ridotta a causa sia della caccia spietata, sia della trasformazione o distruzione dell’habitat, che sopravvive nella pristina forma solo in poche plaghe isolate; tra di esse ricordiamo in primis il Bisonte, con le due specie europea e americana, alcune specie di antilope come la singolare Saiga (Saiga tatarica) dal tipico rigonfiamento sul muso che contiene un apparato atto a riscaldare l’aria, spesso assai fredda nei luoghi in cui vive, prima di inspirarla nei polmoni, Cavalli e Asini selvatici; e poi il Guanaco, animale simbolo della pampas argentine insieme al Nandù, lo struzzo sudamericano. Ma anche gli altri Uccelli corridori, come lo Struzzo vero e proprio e l’Emù, sono abitatori abituali di questo ambiente ecologico, -come peraltro anche della savana- cosi come altri Uccelli principalmente terricoli, pur se volatori (Gru, Otarde) e molti piccoli Mammiferi, specie Roditori (come i Criceti, i Cani delle Praterie, ecc.); tra i Carnivori sono presenti Volpi, Sciacalli, Lupi, Gatti selvatici e in America Puma e Coyote.

CONTINUA NELLA QUARTA PARTE

Note

1)tuttavia si deve osservare che molti animali oggi considerati tipici delle regioni tropicali, quali Leoni, Tigri, Leopardi, e financo Elefanti, nei tempi antichi e in alcuni casi fino al XX secolo, erano reperibili in vaste aeree appartenenti alla regione Paleoartica, animali che ai nostri giorni in tale regione zoogeografica sono presenti con scarsissime popolazioni, ormai ai limiti dell’estinzione (Leopardi nel Vicino Oriente, Tigri siberiane nella Siberia sud-orientale). Il Leone (Panthera leo) ad esempio con le sue diverse sottospecie aveva un areale comprendente quasi tutta l’Africa (escluse le foreste pluviali intorno al golfo di Guinea e le zone più aride del Sahara), il Vicino e Medio Oriente fino all’India, nonchè l’Europa meridionale, dove almeno al fino al IV secolo a. C. (ma per alcuni autori anche oltre) era presente nelle zone più isolate della penisola balcanica, mentre fino alla metà del 900, sia pure con un numero limitatissimo di esemplari, nell’Africa nord-occidentale sopravviveva il Leone dell’Atlante o Leone berbero, ora del tutto scomparso allo stato naturale (si ritiene però che appartengano a questa sottospecie alcuni esemplari viventi in cattività in Marocco). La Tigre, di cui si annoverano numerose sottospecie, delle quali la gran parte estinte, si poteva rinvenire in quasi tutta l’Asia, dalla Siberia meridionale, all’Asia centrale, fino ai lembi orientali della penisola anatolica e alla Russia meridionale, dove viveva la Tigre del Caspio o Tigre ircana (Panthera tigris virgata), la sottospecie più grossa e maestosa, estinta negli anni 70 del XX secolo a causa della caccia spietata alla quale era sottoposta. Perfino dell’Elefante asiatico (Elephas maximus) esistevano sottospecie viventi in Siria (E. maximus asurus) e in Cina settentrionale (E. maximus rubridens, che aveva la particolarità di avere le zanne rosa), sterminate già nei tempi antichi, prima dell’era volgare, per impadronirsi dell’avorio; mentre nell’Africa settentrionale era presente una sottospecie dell’Elefante africano, anch’essa estintasi nei primi secoli della nostra era per depredarne l’avorio e per rendere vittima il povero animale delle esecrabili “venationes” che avevano luogo negli anfiteatri romani. In particolare nei paesi circum-mediterranei, i quali fin dalle epoche più antiche (addirittura dal IV-III millennio a. C.), furono intensamente abitati da popolazioni umane che diedero vita a società e organismi statali complessi, gli ambienti naturali furono oggetto di profonde trasformazioni, causa di impoverimento delle specie vegetali e animali: si consideri che la stessa “macchia mediterranea”, ritenuta ai giorni nostri l’ecosistema tipico dell’area litoranea -e pure a sua volta in preoccupante declino-, è una formazione vegetale in gran parte secondaria, succeduta alle primitive foreste sempreverdi di Lecci, Pini e Oleastri, stando alle fonti letterarie rigogliose sulle rive e nelle isole mediterranee fino al primo millennio a. C., ma poi sempre più ridotte, sia per sfruttarne il legname, sia per far posto alle coltivazioni. Dopo la crisi e la scomparsa dell’Impero Romano d’occidente questo processo di distruzione degli ambienti originari, intenso soprattutto nelle fertili zone di pianura, subì un rallentamento e talvolta in certi luoghi pure una regressione, come nella penisola balcanica, nell’Italia settentrionale, nelle aree interne della penisola iberica: si pensi che nell’Alto Medioevo, fino ai secoli XII-XIII la pianura padana era costellata di dense foreste che ospitavano una ricca fauna (Cervi, Caprioli, Mufloni, Cinghiali, Orsi, Lupi, Linci, ecc.), poi pressoché distrutta nei secoli seguenti. Possiamo affermare che la regione Paleoartica,soprattutto nella sue fasce meridionali (mediterranea, anatolica e medio-orientale) è quella che per prima ha subito in modo massiccio gli effetti devastanti dell’azione umana sull’ambiente naturale, che sebbene si siano evidenziati in modo sempre più allarmante e drammatico negli ultimi due secoli, in seguito alla rivoluzione industriale, avevano cominciato a manifestarsi fin dagli albori delle civiltà umane.

2) la parola “steppa” è in effetti derivata dalla lingua russa (“stjep”).

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