SULLA TASSONOMIA DELLE SPECIE ANIMALI E VEGETALI (prima parte)

Le differenze di forma, di organizzazione e di struttura tra le specie vegetali e animali sono tanto complesse e profonde che per poterne comprendere le molteplici interrelazioni e gli adattamenti all’ambiente fin dall’antichità i naturalisti hanno tentato di introdurre una classificazione dei gruppi di esseri viventi, onde stabilire la posizione di ciascun organismo nel grande insieme della Natura.

Sebbene non si conosca con esattezza il numero complessivo di tutte le specie esistenti, circa un milione e mezzo sono già state descritte e, nonostante la drammatica e rapida diminuzione di esse dovuta alle attività umane (sul delicato ed allarmante tema della rarefazione della Fauna e della distruzione degli ambienti naturali si veda quanto abbiamo detto nelle tre parti di “SPECIE IN PERICOLO” pubblicate nel gennaio 2014), ne vengono continuamente scoperte di nuove, soprattutto tra gli animali invertebrati, i funghi e gli organismi unicellulari, e negli ambienti tropicali e marini, tanto che secondo i biologi, se e quando si riuscirà a studiare e conoscere tutte le specie di esseri viventi prima che scompaiano, il loro numero ammonterà a non meno di quattro milioni (ma secondo alcune stime, forse eccessive, addirittura a cento milioni).

La tassonomia è quella branca delle scienze biologiche che riguarda la classificazione sistematica e la denominazione precisa ed univoca di ciascuna delle diverse specie, in modo da raggruppare insieme quelle che mostrano fra di esse le più strette relazioni filogenetiche e distinguerle da altre entità sistematiche con cui appaiono minori affinità.

Osservando un Coniglio, una Balena, una Gallina, un Passero, una Lucertola, un Ranocchio, una Trota e confrontando questi animali con l’uomo, non si potrà fare a meno di riconoscere in essi alcune rassomiglianze notevoli ed una struttura simile nei suoi elementi fondamentali: capo più o meno distinto dal tronco, due paia di arti, bocca terminale, due paia di occhi e di orecchie laterali e simmetrici, ecc.; un’analoga corrispondenza si ritrova negli organi interni, dove anzi in modo anche più netto risalta come in tutti questi animali, pur nelle notevoli differenze morfologiche esterne, si presenti il medesimo schema generale: uno scheletro osseo o cartilagineo, un sistema nervoso costituito da un cervello che si prolunga nel midollo spinale che corre lungo il dorso dell’animale; i visceri situati ventralmente rispetto all’asse cerebro-spinale.

Tutti gli animali citati sopra, e moltissimi altri, appartengono dunque ad un unico grande gruppo, detto “tipo” (o “philum”), che è appunto quello dei Vertebrati. Il termine “tipo” vuole sottolineare la somiglianza esistente in questo gruppo di animali nel rapporto topografico degli organi. Con l’equivalente parola “philum”, il cui impiego è prevalso negli ultimi decenni, si tende invece a sottolineare il legame genetico e il rapporto di filiazione esistente tra di essi, poiché tutti, pur essendosi modificati e diversificati in molti altri gruppi minori, sono derivati da antenati comuni.

Ma il tipo (o “philum”) del Vertebrati (1) costituisce invero solo un’esigua parte di tutti gli animali esistenti ed esistiti che appartengono a molti altri tipi diversi, caratterizzati non solo dall’assenza di uno scheletro osseo o cartilagineo (e pertanto un tempo designati in modo generico come “Invertebrati”), ma anche da peculiari strutture anatomiche e funzionali, delle quali la principale e più diffusa è la “metameria”, ovvero la segmentazione del corpo in numerose unità simili, spesso visibili ed evidenti anche all’esterno. Pure codesti animali tuttavia condividono con i Vertebrati la “simmetria bilaterale”, ossia la disposizione degli organi impari sul piano mediano del corpo e di organi pari (occhi, arti, ali, antenne) situati in eguale numero nelle due metà del corpo.

Esistono poi altri animali ancora, a diffusione esclusivamente acquatica, aventi una forma stellare, nei quali la bocca è collocata al centro della faccia ventrale, mentre i vari organi sono distribuiti intorno ad un immaginario asse, a guisa di raggi di una ruota: per tale ragione questi animali, come sono ad es. i Poriferi (Spugne) e i Celenterati (Meduse) sono detti a simmetria radiale. In tutti codesti organismi peraltro la struttura anatomica appare costituita da numerose, anzi numerosissime cellule, che presentano differenti tipologie, e sono raggruppate a formare tessuti ciascuno dei quali demandato ad esercitare una precisa funzione; ma al contrario di questi esistono anche altri animali che si compongono di una sola cellula, la quale assolve a tutte le funzioni vitali: essi sono denominati “Protozoi” (animali venuti prima), mentre a quelli multicellulari è stato  attribuito il nome di “Metazoi” (animali venuti dopo)(2).

In simile guisa la medesima osservazione sulle affinità e differenze che intercorrono tra gli esemplari può essere estesa alle piante: ove si confrontino una Quercia, un Frassino, un Abete, una Palma, un Rosaio, un Trifoglio, una Viola non si potrà fare a meno di notare al di là delle differenze di dimensione e di consistenza un unico schema strutturale articolantesi nei tre elementi fondamentali, -radici, fusto, foglie- comuni a quelle che un tempo erano definite “Piante superiori”. Oltre alle strutture fondamentali che abbiamo prima elencato queste piante hanno la caratteristica peculiare di riprodursi tramite fiori che danno poi origine a frutti, che contengono semi tramite i quali la pianta diffonde la sua stirpe: per tale ragione questa ampia divisione di creature vegetali (la divisione è il raggruppamento corrispondente al tipo in botanica) è denominata “Spermatofite” (piante con semi), -un tempo dette “Fanerogame”-.

Altre piante, pur provviste di radici, fusto e foglie mancano dei fiori e dei frutti e non si riproducono tramite semi, ma per mezzo di spore: esse sono dette “Pteridofite” e comprendono essenzialmente Felci, Equiseti e Licopodi. Pteridòfite e Spermatòfite sono ascritte complessivamente al sottoregno delle Cormòfite, le piante dotate di “cormo”, termine con il quale si indica l’insieme dei tre elementi fondamentali. Ad esse si contrappongono le Tallòfite, le piante il cui corpo vegetativo è costituito dal “tallo”, che per quanto all’esterno possa rassomigliare al “cormo”, a differenza di questo non si articola in tessuti diversi e parti strutturalmente preposte a specifiche funzioni; le diverse conformazioni che si possono osservare nel tallo e che talvolta rimembrano nell’aspetto i tessuti e gli organi delle Cormofite, sono puramente esteriori e non corrispondono a una differenziazione strutturale e funzionale. Questo gruppo comprende le Briofite (Muschi, Epatiche) e le Alghe pluricellulari (Feofite, Rodofite, Clorofite)(3).

Approfondendo lo studio delle svariatissime forme e dell’organizzazione sempre più specializzata che si osservano tra gli esseri viventi, i naturalisti, -botanici e zoologi-, specie nei secoli XVIII e XIX, con un’opera assai paziente e minuziosa, giunsero a costruire una classificazione sistematica assai articolata e complessa. Non possono sfuggire sul piano della riflessione teorica i limiti sia metodologici, sia concettuali dell’idea stessa di “classificazione”, della natura convenzionale, e dunque soggetta ad interpretazioni e fluttuazioni, dell’operazione mentale con cui si associano e si distinguono enti diversi secondo criteri che per quanto sempre più approfonditi e sottili rimangono funzionali -né potrebbe essere diversamente- al soggetto pensante. In altre parole una classificazione, così come qualunque ordinamento per “categorie”, esiste più “in mente hominis” che “in rerum natura”, per cui ha un valore essenzialmente pratico e assai meno teoretico, e si può considerare convenzionale (il che non significa arbitrario).

Già Aristotele nelle sue opere zoologiche, in particolare nel primo e nel quarto libro della “Historia Animalium” (opera enciclopedica in nove libri, più un decimo ritenuto apocrifo dai moderni ), enuncia una classificazione degli organismi animali sulla base dei loro caratteri anatomici, fisiologici ed etologici. I criteri ai quali il grande filosofo e scienziato si attenne per elaborare la sua teoria sistematica furono quelli della “differenza” (“diaphorà”) e della “somiglianza” (“homoiotes”) con i quali attraverso un procedimento dicotomico stabilì una serie di suddivisioni e di raggruppamenti che potessero dare una visione d’insieme nella grande varietà di specie viventi.

La prima distinzione che Aristotele introdusse fu quella tra gli animali dotati di sangue rosso (“Enaima”) e quelli che ne erano privi (“Anaima”): tale distinzione in pratica è quella tra Vertebrati e Invertebrati, -i quali ultimi peraltro com’è noto, pur non avendo un sistema circolatorio uguale a quello dei Vertebrati, sono caratterizzati da una sorta di sangue di colore di solito giallo o verde, detto “emolinfa”-. Nell’ambito di questi grandi gruppi il nostro identificò nove “grandi” -anzi per l’esattezza “grandissimi”- generi” (“mèghista ghene”), quattro tra gli Enaima: Ornithes (Uccelli), Ichthues (Pesci), Tetrapoda (Quadrupedi, sia Mammiferi, sia Rettili, sia Anfibi), Ketoi (Cetacei); e cinque tra gli Anaima: Cephalòpoda, Màlaka, Ostrakoderma (rispettivamente Molluschi Cefalopodi, M. senza conchiglia e M. con conchiglia -Bivalvi e Gasteropodi-), Malakòstraka (Crostacei), Entoma (gruppo che in pratica riunisce tutti i rimanenti animali, in particolare gli Artropodi -ad esclusione dei Crostacei-, e che corrisponde quindi agli “Articolati” delle antiche classificazioni, sebbene nelle età posteriori il termine “Entoma” sia stato utilizzato in particolare per gli Insetti; fu così denominato da Aristotele avendo egli notato che il corpo dei viventi da lui assegnato a tale genere è costituito da più segmenti separati da un’incisione -“en-tomos”).

Nell’ambito dei “grandi generi” il filosofo distingue poi i “ghene” (singolare “ghenos”), che però più che al “genere” in senso moderno corrispondono alle famiglie, o addirittura agli ordini della moderna tassonomia, e che non avevano certo un valore semantico definito e rigoroso come nella zoologia attuale. Al gradino inferiore, o più precisamente intermedio tra il “ghenos” e il singolo individuo si trova l'”eidos” (immagine), che equivale all’incirca alla “species” nel significato che le avrebbe poi avuto nella classificazione linneiana (per quanto riguarda questi termini e in quale senso riproducano l’uso loro proprio nella logica si veda la nota n. 7).

Pur avendo concepito il grande corpo della Natura con tutti i suoi molteplici elementi come un ente statico ed eterno, Aristotele precorre in qualche modo un’idea evoluzionistica, poiché ipotizza l’esistenza di un principio vitale cosmico perfezionatore che avrebbe portato alla nascita delle piante dai minerali e degli animali dalle piante. A riprova di tale intuizione, il filosofo-scienziato citava l’esempio dei Poriferi (Spugne) e dei Tunicati che vivono fissati al suolo sottomarino (le Ascidie), che considerava organismi intermedi tra le Piante e gli Animali. Tuttavia nella dottrina biologica divenuta poi canonica nei secoli successivi prevalse e si tramandò l’idea della SCALA NATURAE, la “grande catena degli esseri viventi”, che pur dopo le trasformazioni e oscillazioni iniziali, ai primordi della creazione, era divenuta stabile ed immutabile e rappresentava l’espressione del disegno di una Mente divina, -in pratica prima di stabilire in modo definitivo tutto il complesso del Cosmo, il Creatore avrebbe fatto alcune prove -e questa tesi si poteva conciliare (ed in effetti sarebbe stata poi armonizzata) con la dottrina ebraica e cristiana della creazione compiuta “in sei giorni”, quindi per fasi successive, seguite dal “riposo”: giunto a perfezione, l’equilibrio della Natura sarebbe stato da quel momento immutato ed immutabile-.

Raffigurazione di Teofrasto tratta da un busto antico.

Come Aristotele aveva volto il suo interesse scientifico principalmente alla zoologia, così il suo discepolo e successore alla guida del Liceo, Teofrasto di Ereso (371-287 a. C.), si occupò invece a fondo di botanica, sia per colmare la lacuna lasciata dal maestro, sia perché a differenza dello Stagirita, il quale reputava il mondo della Piante (da lui considerate una sorta di animali mancati) meno affascinante di quello degli Animali, aveva la consapevolezza che queste creature non sono meno importanti degli Animali e possono riservare al naturalista scoperte non meno meravigliose ed esaltanti (4).

Ad esse egli dedicò due opere fondamentali che rimasero il fondamento della scienza botanica almeno fino al XVI secolo: l'”Historia Plantarum”, che anche nel titolo intende essere il complemento della “Historia Animalium” di Aristotele, e che studia precipuamente la morfologia e la classificazione delle Piante; e il “Perì Phyton Aiton”, noto con il titolo latino di “De causis Plantarum”, che ne prende in esame la fisiologia e la riproduzione. Come per il suo maestro Aristotele, la conoscenza deriva dall’osservazione, dalla riflessione e soprattutto dal confronto: scoprire quanto è comune a cose e fenomeni diversi, giungendo così a definire gruppi generali, “categorie”(5) (criterio della “homoiotes”); e quanto differenzia enti simili o in apparenza uguali, riconoscendo così le caratteristiche distintive dei membri di un dato gruppo (criterio della “diaphorà”): Teofrasto applica questo principio alle Piante come lo Stagirita lo aveva applicato agli Animali.

Come per il suo maestro, le ricerche di Teofrasto si fondano essenzialmente sull’osservazione diretta e rivelano una profonda conoscenza della morfologia e della via della Piante; il filosofo sostiene che esse vadano studiate tenendo conto delle caratteristiche loro proprie: mentre gli Animali possono muoversi liberamente, le Piante sono fissate al terreno dal quale ricevono il nutrimento; inoltre sono caratterizzate dal fatto che molte delle loro parti non sono permanenti, -così come le membra degli Animali-: le foglie, i frutti, talora l’intera parte aerea delle piante erbacee perenni cadono o periscono senza che l’esemplare cessi di esistere.

Sul fondamento della loro struttura Teofrasto suddivise le Piante i quattro grandi gruppi: Alberi, Arbusti, Suffrutici ed Erbe; studiando la durata della loro vita, introdusse un’altra distinzione tra Piante annuali, biennali e perenni. Distinse inoltre le Piante fiorifere, le Angiosperme, e quelle “che portano pigne” -le Gimnosperme-; i vegetali sempreverdi e quelli decidui. Esaminando la struttura dei fiori notò la differenza tra quelli a petali liberi (corolla dialipetala) e quelli a petali fusi insieme (corolla gamopetala), nonché tra l’ovario supero e l’ovario infero; per quanto riguarda i semi osservò che essi si dividono in monocotiledoni e dicotiledoni, a seconda che possiedano una sola fogliolina embrionale oppure due.

Pagina miniata del “Dioscorides Neapolitanus”, codice geco del VI-VII secolo.

La classificazione aristotelica degli Animali, e quella di Teofrasto per la Piante, sebbene non prive di oscillazioni e di incoerenze, e certamente ben lungi dal rigore sistematico delle tassonomie moderne, rimasero per moltissimi secoli fino alle soglie dell’età moderna il cardine e il punto di riferimento per i naturalisti che arrecarono ad esse modifiche e approfondimenti in seguito ai loro studi, ma senza discostarsi dalla concezione generale dei due grandi filosofi-scienziati.

I naturalisti posteriori quali Plinio il Vecchio, Dioscoride, Solino si rifecero in gran parte nelle loro opere alle ricerche e agli insegnamenti di Aristotele e di Teofrasto e non diedero apporti particolarmente significativi allo sviluppo delle scienze biologiche, né introdussero elementi nuovi in campo tassonomico (6).

Durante il ME occidentale un interesse per le scienze naturali e una loro trattazione organica si può tuttavia rilevare in alcuni eruditi e filosofi. All’inizio dell’età medioevale si collocano le opere di Isidoro, vescovo di Siviglia (560-636), in special modo le “Etymologiae”, nei cui venti libri, partendo da una definizione e una disamina in primo luogo linguistiche (pur se le etimologie da lui proposte sono il più delle volte inesatte e fantasiose), l’autore presenta un compendio delle conoscenze del suo tempo nel campo delle arti del trivio (grammatica, retorica e dialettica) e del quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia, musica) e di varie discipline scientifiche e pratiche. Agli Animali è dedicato il XII libro di tale opera: nei primi due capitoli sono distinti i “Quadrupeda”, gli erbivori selvatici, dalle “Bestiae”, che per Isidoro di Siviglia sono propriamente gli animali feroci; “Pecora”, -plurale di “pecus”-, sono tutti i quadrupedi domestici, nell’ambito dei quali però l’erudito opera una ulteriore suddivisione tra “Pecudes”, -animali che l’uomo alleva per cibarsi delle loro carni-, e “Iumenta”, -che sono impiegati per i trasporti , l’aratura e altri usi agricoli-. Il capitolo III è intitolato “De minutis Animantibus”, tra i quali l’autore include principalmente i piccoli mammiferi, -ma pure insetti come i Grilli-; segue il capitolo “De Serpentibus”, in cui tratta oltre che dei Serpenti pure di alcuni altri Rettili e Anfibi Urodeli, come la Salamandra; i “Vermes” del capitolo V comprendono buona parte degli Invertebrati, -ad eccezione di quelli marini e degli Insetti adulti, inseriti tra i “minuti volatiles”-; i “Pisces” per Isidoro di Siviglia non sono solo i Pesci, ma in pratica tutti gli animali acquatici, dai Crostacei ai Cetacei; così nel “De Avibus” sono compres,i oltre gli Uccelli, gli altri vertebrati volanti; infine nel capitolo “De minutis Volantibus” tratta dei piccoli animali volanti tra i quali colloca quasi tutti gli Insetti.

Per quanto riguarda le Piante invece il dotto prelato limita il suo interesse alle piante coltivate (Cereali, Legumi, Alberi da frutto, Erbe aromatiche, ecc.) di cui tratta nel capitolo “De rebus rusticis”.

Come si potrà notare, nella classificazione di Isidoro di Siviglia, tenendo conto dei caratteri superficiali ed estrinseci che adotta nella sua classificazione e della stringatezza delle sue descrizioni, abbiamo un deciso arretramento non solo rispetto ad Aristotele e Teofrasto, ma pure a Plinio il Vecchio e a Claudio Eliano, i quali, pur mancando di sistematicità e avendo inserito nelle loro opere elementi fantasiosi, avevano dato delle descrizioni abbastanza esaurienti degli Animali (e delle Piante per quanto riguarda Plinio).

Ben più ampi sono l’importanza e lo sviluppo dei temi naturalistici nell’opera di Alberto Magno (1195-1280), il quale dedicò ad essi i sette libri “De Vegetalibus” e il ventisei libri “De Animalibus”. In essi l’autore, nel quale al vigore speculativo si univa il vivo interesse scientifico, -esempio pressoché unico nel ME occidentale-, esamina in profondità le caratteristiche degli esseri viventi, ma senza apportare scoperte e osservazioni davvero originali, e soprattutto senza conferire una vera sistemazione organica al complesso delle sue conoscenze botaniche e zoologiche (si noti per inciso la differenza di dimensioni tra la parte dedicata alle Piante e quella dedicata agli Animali, che testimonia ancora una volta come nell’antichità e nel ME, fino alle soglie dell’età moderna, con la sola eccezione di Teofrasto, il mondo dei Vegetali apparisse agli studiosi assai più uniforme di quello degli Animali).

Gli antichi, fino a tutto il ME ed oltre, attribuivano a ciascun animale e pianta solo quello che è attualmente definito il “nome volgare”; fino a quando le forme vegetali e animali conosciute furono poche, non sorgevano serie difficoltà per il loro riconoscimento. Ma con le continue scoperte di nuovi esseri viventi, che divennero sempre più frequenti dopo le esplorazioni geografiche dei secoli XV e XVI, e il perfezionamento degli strumenti di osservazione come la lente di ingrandimento e il microscopio, che consentirono di rilevare caratteristiche difficilmente percepibili a occhio nudo, aumentarono in misura enorme il numero delle specie animali e vegetali conosciute, così da rendere sempre più complessa la loro identificazione.

Di questa situazione e delle difficoltà che incontravano i tentativi di dare una sistemazione unitaria alle conoscenze botaniche e zoologiche si avvide l’insigne naturalista bolognese Ulisse Aldrovandi (1522-1605), autore di una grandiosa opera zoologica in molti volumi, nella quale, pur con descrizioni analitiche e minuziose di tutte le specie che gli erano note, non riuscì a mettere in risalto e ad esporre in modo davvero esauriente le differenze degli animali presi in esame. Peraltro dobbiamo sottolineare che per l’Aldrovandi il sistema della classificazione è concepito soprattutto come uno strumento mnemonico, per inquadrare in un ordine logico il grande corpus delle conoscenze biologiche e non come un modo per cogliere e riprodurre l’ordine naturale.

Per quanto riguarda gli animali esangui, gli Invertebrati, il naturalista bolognese si rifece in sostanza alla classificazione aristotelica, dividendoli in Insetti, Molluschi, Crostacei, Testacei e Zoofiti.

Più originali e articolate sono le ripartizioni che adottò per i Vertebrati, in particolare per quanto riguarda gli Uccelli, ai quali dedicò un ampio trattato in tre tomi, intitolato “Ornithologia”. Egli per classificare le specie avicole prese in considerazione l’habitat preferito, il tipo di alimentazione, la forma del becco e le abitudini. Con macroscopico errore ascrisse agli Uccelli anche i Chirotteri (i Pipistrelli), -che pure già Aristotele aveva riconosciuto essere mammiferi-, sia pure a un gruppo “di transizione”, nel quale incluse anche gli Struzzi. Distinse poi gli ordini dei rapaci diurni (Aquile e Avvoltoi), di quelli notturni (Gufi e Civette), dei Pappagalli, dei “Pulverizantes”, cioè di quegli Uccelli che amano fare il bagno nella sabbia (gruppo che corrisponde in parte ai Gallinacei delle successive classificazioni e dei Galliformi in quelle moderne). In seguito vengono trattati gli Uccelli che sono soliti bagnarsi sia nella sabbia che nell’acqua (Colombi e alcuni Passeriformi); poi i Granivori, gli Insettivori, i Cantori, i Palmipedi e gli Uccelli che frequentano i corsi d’acqua e le paludi.

Nell’ambito della botanica, più che nella “Dendrologia”, -opera che fu poi ampiamente manipolata da curatori poco scrupolosi nelle edizioni a stampa successive alla scomparsa dell’Aldrovandi-, le doti di osservazione e di catalogazione del naturalista risaltano nel suo celebre erbario, che consta di sedici volumi, e nella “Syntaxis Plantarum”, nonché nella “Syntaxis Plantarum et Animalium”, in cui espose i risultati delle sue ricerche avvalendosi di circa 1.700 tavole sinottiche, delle quali si serviva l’autore per le sue lezioni all’università di Bologna. In queste tavole, quanto mai interessanti, divise le piante nelle quattro grandi categorie già adottate da Teofrasto, -e rimaste poi canoniche-, ed elencò i caratteri degni di nota di fiori e frutti: colore, odore, sapore, proprietà, luogo d’origine, significato poetico, epiteti ad essi attribuiti, ecc.

Negli ultimi anni della sua vita infatti lo scienziato aveva adottato un metodo diverso, quello della “syntaxis”, con il quale per mezzo della contrapposizione dei loro caratteri essenziali, poneva in risalto le differenze tra gli esseri viventi e ne facilitava il riconoscimento. Questo metodo da lato riprendeva il “modus operandi” di Aristotele e di Teofrasto, dall’altro anticipava quello che avrebbe instaurato Linneo, e fu impiegato da Ulisse Aldrovandi soprattutto nella “Syntaxis Animalium”, che però rimase inedita, e poi negli altri due trattati sopra menzionati.

Ma le “sintesi”, o “sintassi”, dello scienziato italiano non furono pubblicate a suo tempo, per cui il merito della riforma che avrebbe dato inizio alla tassonomia, la classificazione sistematica moderna degli esseri viventi, spettò a Linneo -Carl von Linné-(1707-1778), il quale, riprendendo e sviluppando le intuizioni dell’Aldrovandi, applicò un metodo simile per riconoscere e definire in modo univoco le specie di animali e di piante; con il termine “specie”, -dal latino “species” =aspetto, apparenza-, si designa un gruppo di individui simili, discendenti da genitori simili e che quando si riproduce genera a sua volta una progenie ad essi simile, in cui si riproducono le medesime qualità e caratteristiche.

L’italiano Andrea Cesalpino, il francese Joseph Tournefort e l’inglese John Ray avevano proposto un criterio di classificazione delle piante tenendo conto della forma delle foglie e delle corolle. In particolare Andrea Cesalpino (1524-1603), -il quale nel suo trattato “De Plantis”, pubblicato nel 1583, descrisse circa 1300 Piante-, pur nell’adesione alla fisica e alla metafisica aristoteliche, aveva dato grande importanza all’osservazione diretta e adottato un criterio di classificazione non formale ed estrinseco, e neppure limitato alle caratteristiche morfologiche, ma prevalentemente biologico e funzionale. L’insigne medico e botanico, nonché filosofo, propose una tassonomia diagnostica delle Piante sulla base degli organi di fruttificazione, nonché sull’esame delle radici, del gambo, -o fusto-, e delle foglie e una impostazione della fisiologia vegetale fondata sul parallelismo tra Piante e Animali.

Pertanto lo studioso italiano può anch’egli essere considerato, insieme all’Aldrovandi, uno dei precursori di Linneo il quale per classificare le creature vegetali pensò di studiare gli organi riproduttivi contenuti nei fiori, prendendo in considerazione numero, forma, posizione e dimensione degli stami (i filamenti che nella loro parte superiore, le antere, contengono il polline), -per individuare le classi-, e dei pistilli (i tubicini che introducono all’ovario), -per determinare gli ordini-. In base a tale criterio egli distinse 24 classi di Piante (Piante monoàndriche con un solo stame; diàndriche con due stami e così via), le quali a loro volta potevano essere ripartite in sottoclassi e ordini per le caratteristiche dei pistilli (Piante monogìniche, con un solo pistillo, digìniche con due pistilli, ecc.).

Il metodo introdotto dal celebre naturalista svedese contemplava l’attribuzione di un nome scientifico semplice e chiaro a tutte le specie animali e vegetali da lui descritte. Tale nome scientifico consisteva e consiste tuttora di due vocaboli latini o latinizzati, il primo di quali, -che è sempre un sostantivo in caso nominativo ed ha la lettera maiuscola-, rappresenta il genere, mentre il secondo, -che è di solito un aggettivo, ovvero un sostantivo al nominativo usato in funzione di attributo, o al genitivo come specificazione- indica la specie. La nomenclatura binominale fu adottata prima per le Piante nel libro “Species Plantarum”, pubblicata nel 1753, ove compaiono ben 5.940 nomi di vegetali disposti in ordine alfabetico, -da “Acalypha australis” a “Zygophyllum spinosum”-, e poi anche per gli Animali nella decima edizione del “Systema Naturae”, che vide la luce nel 1758, dove espose in forma completa il sistema entro il quale egli aveva inquadrato tutte le forme di vita allora conosciute.

Frontespizio della decime edizione del “Systema Naturae”.

Linneo sosteneva che tutte le specie animali e vegetali sono state create separatamente in modo e forma immutabile da Dio e il naturalista ha il solo compito di ricercarle in natura e di descriverne i caratteri differenziali, atti a distinguere le une dalle altre (“Tot enumeramus species, quot ab initio creavit infinitum Ens” si legge nell’introduzione della sua “Philosophia botanica”). Egli riconosceva peraltro che alcune specie mostrano numerose e significative somiglianze con altre e pertanto riunì le specie affini (quelle cioè in cui prevalevano i caratteri uguali su quelli diversi) in gruppi più ampi che chiamò “generi”: per esempio, constatando le affinità tra Cani e Lupi li assegnò entrambi al genere “Canis”, ma osservandone anche le differenze distinse i primi come appartenenti alla specie “familiaris” e i secondi alla specie “lupus”; similmente rilevando l’evidente somiglianza tra le specie Martora, Faina e Puzzola le comprese tutte nel genere “Putorius”)(7)(8). Molti generi considerati simili costituivano poi nella classificazione di Linneo un ordine e parecchi ordini una classe. Così il genere Putorius, manifestamente affine ai Cani e ai Gatti, contribuiva con essi a formare l’ordine dei Carnivori o Feriniformi, il quale a sua volta, insieme a quello dei Roditori, o Rosicanti (Topi, Scoiattoli, Conigli), degli Ungulati (Cavalli, Buoi, Maiali) e a molti altri andava a costituire la grande classe dei Mammiferi.

Nella decima edizione del “Systema Naturae” il celebre naturalista svedese indicò 4.236 nomi scientifici di Animali; poiché questi nomi includevano un’ampia gamma di forme, strutture e dimensioni egli aggregò insieme i generi da lui ritenuti simili in “ordini” e gruppi di ordini simili nelle “classi”; comprese infine tutte le classi animali nel “Regno Animale”, il terzo dei grandi regni della Natura, e il secondo a cui appartengono gli esseri viventi, insieme a quello “Vegetale” e “Minerale”.

Prima delle innovazioni introdotte dal naturalista svedese le specie venivano identificate con espressione detta, per analogia con l’ambito medico, “designazione diagnostica”: essa consisteva in una lunga serie di termini, -la “frase”-, che in pratica riassumeva la descrizione completa della creatura considerata, -la “diagnosi”-, e che talora poteva essere costituita anche da più di quindici sostantivi ed aggettivi. Sebbene anche prima di Linneo non fossero mancate critiche a tale prassi piuttosto farraginosa, egli fu il primo a ideare e proporre un’alternativa pratica alla “diagnosi”: ossia l’adozione di una coppia di termini, un sostantivo indicante il genere, e un determinativo grammaticalmente accordato con esso con il quale viene designata la specie, e che dovrebbe esprimere in modo chiaro la peculiarità di quest’ultima rispetto al genere a cui appartiene.

La concezione della Natura che animava lo scienziato scandinavo era ispirata a una metafisica teleologica e creazionista in cui ciascun singolo elemento è disposto secondo un disegno provvidenziale e volto ad assolvere una specifica funzione per conseguire un preciso obiettivo: pertanto Linneo usa l’espressione “economia della natura” con la quale intende significare “la saggissima disposizione impartita alle cose naturali dal sommo fondatore” al fine di conservare il mirabile armonico ordine del cosmo. Anche “l’orribile guerra di tutti contro tutti”, che egli non potè fare a meno di rilevare e che dimostra come avesse coscienza della drammatica conflittualità insita nel dinamismo naturale che non consente la “felicità” di nessuno dei singoli individui di cui la natura si compone, trova una sua logica collocazione e giustificazione in questo quadro conservativo: Dio ha predisposto anche quella che all’apparenza è una crudele sopraffazione acciocchè “si mantenesse una giusta proporzione tra tutte le specie e fosse impedito che alcune si moltiplichino più del dovuto”.

Linneo espresse più volte la convinzione che ciascuna parte dell’Universo, ciascun elemento della Natura sia intimamente collegato a tutti gli altri a costituire un insieme armonioso, pur se la sorte dei singoli individui e delle singole specie può apparire determinata da un meccanismo ingiusto e spietato, e dunque che “tutte le cose naturali si porgano l’un l’altra la mano”. Questa convinzione lo portò a studiare le molteplici relazioni esistenti tra i vari corpi naturali e a possedere una lodevolissima sensibilità ecologica.

Pur riaffermando l’antico principio “Natura non facit saltus”, Linneo allo schema lineare e semplicistico della “scala Naturae”, in cui ciascun essere è visto in modo piuttosto artificioso come un gradino della scala, trascurando il fatto che sul medesimo gradino potevano essere posti più organismi diversi, sostituisce una visione delle relazioni esistenti tra specie ispirata alla “mappa geografica”, in cui ciascuna di esse risulta contigua non a due sole, ma a svariate altre specie.

Codesta rappresentazione grafica dei complessi rapporti che intercorrono tra i diversi gruppi animali e vegetali, pur innestandosi nella tradizionale concezione di ascendenza biblica da un lato e aristotelica dall’altro (9), finì però per porre le premesse che avrebbero portato al suo superamento: infatti dalla “mappa” risultava sempre più evidente l’esistenza di “costellazioni” di specie, tanto che lo scienziato arrivò a ipotizzare che Dio avesse creato per ogni genere una sola specie e che le altre del medesimo genere avrebbero potuto essere derivate da quella per ibridazione: in tal modo nell’ultima fase della sua riflessione scientifica Linneo giunse a intuire in modo embrionale il principio dell’evoluzione degli esseri viventi.

CONTINUA NELLA SECONDA PARTE

Note

1)nelle classificazioni moderne peraltro i Vertebrati sono considerati un sottotipo del tipo dei Cordati, animali dotati di “corda dorsale”, che nei Vertebrati, detti anche Notocordati, si evolse nella colonna vertebrale. Gli altri due sottotipi dei Cordati, costituiti solo da animali marini, sono gli Urocordati, -o Tunicati-, e i Cefalocordati, -o Leptocardi-.

2) tra Protozoi e Metazoi alcuni autori collocano i Mesozoi, piccolo philum comprendente pochi animaletti di esigue dimensioni, tutti marini e parassiti, con poche cellule scarsamente differenziate.

3) nelle moderne classificazioni tutti gli organismi unicellulari, a causa delle differenze assai sfumate, sono stati separati dai Regni Animale e Vegetale a costituire altri due regni: le “Monere”, -ai quali appartengono Batteri, Alghe unicellulari e altri organismi simili-, e “Protisti” -ai quali sono stati ascritti in massima parte quelli che nelle antiche classificazioni erano definiti “Protozoi”-. Quanto ai Funghi, o Eumiceti, fino a non molti anni fa ritenuti piante, sono ora compresi in un regno distinto, per cui i regni della Natura, oltre a quello minerale, sono il Regno Animale, quello Vegetale, il Regno degli Eumiceti, quello dei Protisti e il R. delle Monere. Sull’argomento si veda anche la prima parte di “IL CERCHIO DELLA VITA E DELLA COSCIENZA” del 14 luglio 2013.

4) sebbene abbia rivolto il suo interesse scientifico principalmente alle Piante, Teofrasto, specie nel trattato “Sulla Pietà” espresse anche la sua convinzione della profonda e sostanziale unità tra l’uomo e gli altri animali, in particolare quelli “Enaima”, secondo la catalogazione aristotelica, che condividono tutti nelle linee essenziali le medesime funzioni vitali e provano simili sensazioni ed emozioni, per cui egli condanna l’animalicidio e la sarcofagia. Si veda a tale riguardo quanto abbiamo detto nella quarta parte di “L’anima e la sua sopravvivenza” del 9 dicembre 2016.

5) si tenga presente però che il termine “categoria”, che in pratica significa “predicato”, nella logica aristotelica indica quanto può definire o determinare in senso generale una preposizione ed equivale a quello di “genere sommo”, -per il quale si veda la nota n. 7-, termine che non può avere altre specificazioni sopra di sé. Le categorie sono dieci: sostanza, quantità, relazione, qualità, luogo, tempo, posizione, stato, azione, passione.

6) sull’opera di Dioscoride, il “De materia medica”, dedicato all’erboristeria, si veda quanto abbiamo detto nella ricerca su “I PIU’ ANTICHI CODICI MINIATI”, prima e seconda parte-, pubblicati il 29 giugno e 7 luglio 2013.

7) le espressione “genere” e “specie”, riprese dalla terminologia già adottata, come abbiamo visto, da Aristotele (“ghenos” ed “eidos”, tradotte in latino con “genus” e “species”), si rifanno evidentemente alla logica dello Stagirita, nella quale esse indicano rispettivamente il termine superiore e quello inferiore in una gerarchia articolata entro rapporti di subordinazione e coordinazione. Un termine è subordinato ad un altro quando quest’ultimo contiene tutti gli individui a cui si estende il primo ed altri ancora: esso è dunque definito “genere”, mentre quello compreso e subordinato è la “specie”. Si noti però che nella logica classica uno stesso termine può essere “genere” rispetto ad uno inferiore e “specie” riguardo ad uno superiore. Vi sono termini subordinati appartenenti al medesimo genere che si differenziano tra di loro per uno o più caratteri essenziali: questi sono detti “specie coordinate”. Abbiamo così una scala i cui estremi sono i “generi sommi”, che non hanno sopra di sé alcun altro genere e in pratica corrispondono alle “categorie” in senso aristotelico; e le “specie infime” i termini che non possono in alcun modo essere suddivisi in specie di minore estensione e si predicano solo di singoli individui. La concatenazione genere-specie è stata illustrata visivamente con una figura detta “albero di Porfirio” poiché fu introdotta per la prima volta da Porfirio di Tiro nella sua opera “Isagoge”: come un albero, essa consta di radici (gli individui), tronco (generi subalterni), rami (specie) e cima (genere sommo). Con la definizione di un termine si determina la sua “comprensione”, ovvero l’insieme dei significati del termine medesimo: essa è costituita secondo Aristotele dal “genere prossimo” che esprime l’essenza comune a più specie e dalla “differenza specifica”, la quale, all’interno di un genere, diversifica una specie dall’altra. Quest’ultima è dunque divisiva del genere e costitutiva della specie: ad es., essendo “animale” il genere, “razionale” la differenza, “animale razionale” la specie, l’attributo “razionale” divide l’estensione del genere “animale” in due parti (“razionali” e “irrazionali”) e istituisce la specie poiché aggiungendosi al genere ne caratterizza e determina una parte. La specie è pertanto uguale alla somma del genere e della differenza che nella loro unità definiscono la comprensione della specie. Questo procedimento proprio della logica aristotelica e scolastica fu applicato e adattato da Linneo per determinare i generi e le specie degli esseri viventi, e tutti i raggruppamenti superiori.

8) in seguito il genere “Putorius” fu smembrato in diversi generi, appartenenti alla famiglia dei Mustelidi, per cui la Martora e la Faina sono state attribuite rispettivamente alle specie Martes martes e Martes faina, mentre la Puzzola è ascritta alla specie Mustela putorius.

9) come abbiamo visto nelle precedenti trattazioni, Platone concepisce i corpi animali come sede di uno sviluppo dell’anima e dunque sebbene le forme animali e vegetali intese come specie terrene siano distinte e immutabili, esse sono comunque espressione di un incessante divenire spirituale, poiché ospitano le anime, frazioni dell’Anima del Mondo nelle varie fasi del loro sviluppo; questo processo peraltro per il filosofo riguarda solo gli animali e non le piante. Pertanto si potrebbe parlare di una sorta di “evoluzione” non certo di tipo fisico e deterministico come quella darwiniana, ma di carattere vitalistico; inoltre si tenga presente che nelle dottrine reincarnazionistiche antiche, come abbiamo già rilevato, non è contemplata l’esistenza di “classi di sviluppo” e di “onde di vita”, così come nelle filosofie esoteriche moderne (quali ad esempio nell’antroposofia, -si veda a tale riguardo la nota n. 11 di “L’ANIMA E LA SUA SOPRAVVIVENZA”, seconda parte del 4 novembre 2016-).

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