MITI E MISTERI DI ATLANTIDE (quarta parte) -la Lemuria-

Nel 1888 anche Helena Petrovna Blavatsky (1831-1891), mistica ed esoterista di origine russa che nel 1875 aveva fondato a New York la “Società Teosofica”, nella sua opera monumentale “La Dottrina Segreta”, confermò con infervorato entusiasmo la teoria dell’esistenza del continente di “Lemuria”, che ella peraltro sosteneva di aver già conosciuto per averne letto nelle misteriose “Stanze di Dzyan”. Queste “stanze” (cioè strofe) sono un enigmatico testo, scritto in una lingua apparentemente ignota -la lingua “Senzar”- che la Blavatsky asseriva aver trovato in Tibet e che conteneva, a suo dire, la storia più antica dell’umanità e il segreto della sua vera origine, e nel quale era esposta anche la narrazione dello sviluppo e della caduta di Atlantide.

Helena P. Blavatsky.
Helena P. Blavatsky.

Secondo l’esoterista russa, a Lèmuria aveva la sua dimora la terza di sei razze che avrebbero popolato la terra in tempi remoti, i cui appartenenti erano poco meno che dei, dotati di straordinarie conoscenze esoteriche e di facoltà portentose, in seguito tramandatesi solo entro una ristretta cerchia di eletti.

L’ipotesi dell’esistenza del continente scomparso di Lemuria fu formulata tuttavia pure dal naturalista inglese Alfred Russell Wallace (1823-1913), dopo una sua visita nell’arcipelago indomalese nel 1854, in modo indipendente da Slater; a differenza di quest’ultimo, egli sosteneva però che tale continente si sarebbe esteso intorno all’Australia, alla Nuova Guinea e alla Melanesia, occupando quindi un’area tra l’oceano Indiano e l’oceano Pacifico. Le due ipotesi di Slater e di Wallace entrarono così in conflitto, sebbene alla fine Wallace ammettesse la probabile esistenza di un ponte di terra poi scomparso tra l’India e l’Australia. La discussione continuò a lungo ed in essa intervenne anche il celebre scienziato e pensatore tedesco Ernst Heinrich Haeckel (1834-1919), il quale elaborò la teoria che il continente lemuriano, presumibilmente esistito a cavallo tra il periodo Permiano (l’ultimo dell’era geologica paleozoica) e quello Nummolitico (detto anche Paleogene, il primo dell’era Cenozoica )-grosso modo tra 300 e 30 milioni di anni fa-(1), fosse la culla della razza umana, poiché lo riteneva la sede primordiale delle Scimmie antropomorfe.

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L’ipotetica estensione del continente lemuriano.

Questa disputa, dapprima di carattere squisitamente accademico, fu in vario modo ripresa dalle scuole esoteriche, in particolare quella teosofica fondata dalla Blavatsky, la quale asserì, come abbiamo visto in precedenza, che Lemuria fosse la dimora della terza razza madre e il luogo di origine dell’umanità, dando quindi ad essa un’eccezionale importanza nel quadro della sua dottrina.

Secondo l’insegnamento teosofico, l’uomo non si sviluppò a Lemuria seguendo un’evoluzione fisica (come sostiene la teoria evoluzionistica di Darwin e di altri scienziati tra i quali pure il Wallace), bensì attraverso un addensamento di materia intorno ad esseri spirituali, che, durante un lungo processo, venne a formare il corpo: in principio coloro che sarebbero diventati uomini erano entità incorporee, che con il progredire del tempo andavano però via via acquisendo un carattere sempre più materiale.

I corpi (per quanto sia improprio definirli “corpi”, almeno nel senso della scienza fisica) della prima razza madre, a quanto afferma W. Scott-Elliot nel suo libro “Storia della Lemuria sommersa”, “apparivano come giganteschi fantasmi, […], perché consistevano soltanto di materia astrale”. In seguito la prima razza madre venne dotata di un rivestimento più denso. I corpi della seconda razza madre sono definiti dall’autore “eterei” e anch’essi erano invisibili, -o almeno non percepibili con il senso fisico della vista-. I corpi della terza razza divennero finalmente concreti, in quanto composti di materia fisica (gas, liquidi e solidi), sebbene più “sottile” dei corpi umani attuali. Le loro ossa erano tenere e fragili come quelle dei bambini neonati, per cui non potevano reggersi in piedi, e solo verso la metà della loro storia acquistarono una struttura scheletrica più consistente.

I Lemuriani di questo periodo possedevano due occhi rudimentali anteriori e uno posteriore, -detto “terzo occhio” o “occhio astrale”-, corrispondente all’attuale ghiandola pineale, che serviva come centro della vista astrale e fisica. Con la terza delle sottorazze nelle quali si evolse la terza razza madre, ovvero quella lemuriana-, il corpo gelatinoso si solidificò in misura ancora maggiore e divenne poi capace di mantenere la stazione eretta, nonché, -grazie all’impiego del terzo occhio e di una sporgenza posta sui talloni, di camminare avanti e indietro. Con la quinta sottorazza, l’uomo lemuriano si stabilizza nella sua forma fisica definitiva: era alto in media dai 3,5 ai 4,5 metri, aveva la pelle bruno-giallastra, la mascella inferiore allungata, il viso appiattito; gli occhi, -piccoli, penetranti e distanti l’uno dall’altro-, consentivano la vista sia in avanti sia di lato, mentre il terzo occhio donava loro la facoltà di vedere all’indietro.

Al posto della fronte i Lemuriani avevano un rotolo carnoso; la testa, ricoperta di corti capelli, era inclinata all’indietro; gli arti erano sproporzionati rispetto ai nostri, con mani e piedi enormi. Usavano rivestirsi con pelli di animali rozzamente lavorate, e di solito tenevano nella mano sinistra un bastone, mentre con la destra conducevano con una sorta di guinzaglio un animale che assomigliava a un piccolo dinosauro. In quel periodo per i Lemuriani, – i quali fino ad allora erano stati ermafroditi e perpetuavano la loro stirpe deponendo uova, dalle quali nascevano i loro piccoli imperfettamente formati,- iniziò a profilarsi una vieppiù accentuata separazione tra femmine e maschi.

Raffigurazione del presunto aspetto di un lemuriano.
Raffigurazione del presunto aspetto di un lemuriano.

Con l’avvento della settima sottorazza, -l’ultima-, il popolo lemuriano si evolse nella sua forma più elevata; gli individui avevano sviluppato una specie di fronte, la sporgenza dei talloni si era alquanto ridotta, il capo aveva assunto una conformazione ad uovo, erano diminuite la statura e la grandezza delle membra. Questo popolo fondò una complessa civiltà che durò migliaia di anni e dominò gran parte del continente di Lemuria.

All’inizio i Lemuriani erano muti o si esprimevano con suoni inarticolati, ma poi svilupparono una lingua primitiva monosillabica. Dopo che il loro corpo si era solidificato ed era avvenuta la distinzione dei sessi, essi cominciarono a vivere sulla sommità di alture o colline entro rudimentali abitazioni; dapprima ciascuna famiglia dimorava in una capanna singola, ma in seguito preferirono vivere in comunità, ritenendo più sicuro questo tipo di organizzazione sociale. Le capanne, dapprima costruite in legno, furono poi edificate con grossi macigni. Le armi che i Lemuriani utilizzavano per difendersi dagli attacchi dei Dinosauri o per dare ad essi la caccia erano lunghi pali appuntiti. Sembra che l’agricoltura fosse sconosciuta: le generazioni delle prime sottorazze lemuriane striscianti e prive di ossa si nutrivano con quanto trovavano al suolo, mentre quelle con lo scheletro indurito vivevano di carne, di erbe e di bacche.

La sesta e la settima sottorazza impararono a costruire città megalititche e ciclopiche; i primi di questi conglomerati urbani sorsero in prevalenza nell’attuale Madagascar; ma un importante centro abitato, forse il principale, era situato nei pressi dell’isola di Pasqua: le famose enormi statue che si possono ammirare in tale isola, innalzate nel periodo terminale dell’età lemuriana, rappresentano i tratti fisionomici di coloro che le scolpirono o dei loro antenati.

Veduta di fantasia di Lemuria.
Veduta di fantasia di Lemuria.

La religione dei Lemuriani non era profonda o ricca di miti suggestivi o di elevati concetti: essi seguivano alcuni precetti morali e adoravano una entità suprema incarnata dal Sole.

Alla fine di quell’età, il continente di Lemuria sprofondò in conseguenza di una ininterrotta serie di eventi sismici e di grandiose eruzioni vulcaniche. I Lemuriani perirono soprattutto a causa del fuoco e per il soffocamento dovuto ai gas che fuoriuscivano dai vulcani; tuttavia la distruzione del continente non fu repentina come sarebbe poi avvenuto per Atlantide, ma seguì anzi i lunghi tempi geologici. Alla fine di queste traumatiche trasformazioni della terra tutto il continente fu sommerso dalle acque.

Queste che abbiamo esposto in sintesi sono la descrizione e la storia della Lemuria e dei Lemuriani contenute nell’opera di W. Scott-Elliot (2), ma pure altri filosofi ed esoteristi diedero la loro versione sul continente lemuriano, i suoi abitanti e la funzione che aveva assolto nell’evoluzione umana, che differiscono in modo più o meno accentuato da quella che abbiamo esaminato.

Ad esempio, Max Heindel (1865-1919), fondatore della “Associazione Rosa Croce di Oceanside” (Oceanside è la cittadina californiana dove l’associazione venne fondata ed ha tuttora la sua sede centrale) nella sua opera principale “La Cosmogonia dei Rosa Croce” (3) a riguardo della Lemuria così afferma: “La crosta terrestre stava cominciando a diventare molto dura e solida in alcune aree, mentre in altre era ancora incandescente e fra le isole di terraferma vi era un mare in ebollizione. Eruzioni vulcaniche e cataclismi caratterizzarono tale epoca […] Sopra le zone più solide e relativamente fredde l’uomo viveva circondato da foreste di felci gigantesche abitate da animali di enormi dimensioni. Tanto le forme degli uomini, quanto quelle degli animali erano ancora molto plastiche. Lo scheletro si era formato, ma l’uomo aveva ancora ampie possibilità di modellare il proprio corpo […].

I Lemuriani non avevano occhi veri e propri; essi possedevano due punti sensibili alla luce del Sole, quando questa brillava con deboli riflessi attraverso l’atmosfera ardente dell’antica Lemuria, ma fu solo alla fine dell’epoca di Atlantide che gli umani ricevettero la vista come l’abbiamo noi: fino a quell’epoca l’occhio era in via di formazione […]. Il suo linguaggio [del lemuriano] consisteva in suoni simili a quelli della natura: il respiro del vento nelle immense foreste, che crescevano lussureggianti in quel clima tropicale, il mormorio dei ruscelli, l’urlo della tempesta, il fragore delle cascate, il rombo del vulcano: tutte queste erano per lui le voci degli dei, dai quali sapeva di discendere […]; non sapeva nulla del proprio corpo, anzi neppure era consapevole di avere un corpo, come noi non sappiamo di avere uno stomaco, fin tanto che è sano…Non conosceva la morte, perché quando dopo un lungo periodo il suo corpo fisico veniva meno, egli entrava in un altro, del tutto inconsapevole del cambiamento. La sua conoscenza non era concentrata nel mondo terreno, così che lasciare da parte un corpo e prenderne un altro non era per lui un inconveniente più grave di quanto non sia per un albero il cadere di una foglia o di un ramoscello secco, sostituiti da nuovi germogli […].

Ipotetico Lemuriano di tipo evoluto in una immagine moderna.

L’educazione dei maschi differiva assai da quella delle femmine […]; l’educazione dei primi era destinata soprattutto a sviluppare la volontà […]; quella delle femmine era intesa a promuovere principalmente le facoltà dell’immaginazione […]. Fu così che [l’educazione femminile] suscitò il primo bagliore della memoria (della quale i Lemuriani erano in precedenza del tutto sprovvisti)”, e con essa l’idea di “bene” e di “male”, poiché il ricordo delle esperienze positive e negative che avevano vissuto, delle sensazioni piacevoli e sgradevoli che avevano avvertito contribuì ad orientare la loro coscienza. In tal modo, secondo Max Heindel, la donna divenne la creatrice della civiltà, promuovendo la consapevolezza interiore e la virtù morale che ne sono a fondamento.

Non possiamo fare a meno di osservare come la tesi che abbiamo testè riportato della nascita del senso morale nell’umanità primitiva ad opera della donna, -ma, potremmo correttamente dire anche dell’intuito, della sensibilità e della memoria, qualità che, pur non essendo peculiari del sesso femminile, ineriscono la “femminilità” in senso metafisico-, ci ripropone quanto in forma allegorica è affermato nella “Genesi” sulla stesso tema, -vale a dire il racconto di quello che, nella luce autoritaria e repressiva del monoteismo ebraico, fu il “peccato” di Eva-: la donna, -ovvero l’immaginazione, la sensibilità, l’emotività- gusta per prima il frutto dell'”Albero della Conoscenza del bene e del male”, e dunque comprende la differenza tra quanto dona soddisfazione e letizia, e quello che al contrario arreca amarezza e dolore, in senso sia fisico, sia psichico, sia morale. Ella ne offre indi anche ad Adamo, ovvero alla razionalità e alla volontà, doti prettamente maschili: il che significa che sono l’immaginazione e l’emozione a dare l’incentivo e lo stimolo alla volontà, la quale potrà così condurre all’azione e a comportamenti valutabili sotto l’aspetto morale.

Una simile interpretazione del passo biblico diede pure Filone di Alessandria, filosofo ebreo vissuto tra il I sec. a. C. e il I d. C. -da non confondere con Filone di Byblos, o Filone Erennio (64-141), autore della “Storia Fenicia” -, il quale commentò il libro della “Genesi” alla luce della filosofia greca, in particolare di quella platonica, -ma pure con importanti influenze stoiche (teodicea, azione divina nel divenire del mondo) e pitagoriche (il numero come forma ed espressione del pensiero divino, attraverso il quale viene creato e ordinato il reale)-. Anch’egli infatti nel secondo libro delle “Allegorie delle leggi” vede in Adamo ed Eva -il principio maschile e quello femminile- un’allegoria delle facoltà umane: secondo il filosofo greco-giudaico, essi incarnano rispettivamente la facoltà intellettiva e quella sensitiva; ed è quindi la sensazione che, tramite il piacere o il dolore, fa conoscere all’uomo l’idea di bene o di male. Vi è dunque una differenza tra il pensiero di Heindel e quello di Filone: per il primo è soprattutto l’emozione, aiutata e ravvivata dalla memoria, ad aprire la strada a questa dicotomia fondamentale nelle vita umana, prima solo pratica ed empirica e poi anche e soprattutto etica; mentre per il secondo è la sensazione che inizia questo percorso. Tuttavia la differenza non è abissale, anche perché spesso le emozioni sono mediate dalle sensazioni, anzi non può esservi emozione laddove non vi sia, o non sia stata, sensazione, per cui sia dal punto di vista logico, sia da quello psicologico quest’ultima precede la prima.

In effetti pure gli animali non umani, specie quelli superiori, indiscutibilmente provano sensazioni ed emozioni, talora molto intense, e sono dotati di memoria e di una intelligenza più o meno sviluppata (oltre al fatto che anche l’istinto è senza dubbio una forma di intelligenza, sebbene “inconscia” e “collettiva”). Ma è presumibile che non possano riflettere sulle proprie emozioni e sulla loro condizione esistenziale, e pertanto sensazioni ed emozioni non divengono elementi di giudizio e dunque di pensiero astratto. Tuttavia, come già insegnavano i filosofi pitagorici e neoplatonici (quali Apollonio di Tiana, Plutarco di Cheronea, Porfirio di Tiro), -oltre alle scuole di pensiero orientali-, anche gli animali, ed anzi pure le piante, sono dotati di una coscienza e di una razionalità, ma non le possono esprimere in forma compiuta per l’inadeguatezza dei loro organi fisici (4).

Si consideri poi che le loro esigenze sono alquanto ridotte rispetto a quelle umane, -spesso vanamente smisurate-, e se esse sono in qualche misura individuali, -come si può osservare soprattutto negli animali domestici-, prevalgono quelle proprie della specie, così che gli altri esseri viventi che abitano il pianeta terracqueo la “felicità” consiste nel poter vivere secondo la propria natura specifica, senza inseguire la pletora di ambizioni e di desideri, -non di rado artificiosi ed inautentici-, dei quali è schiavo l’uomo (5).

La stessa idea, -del progresso della coscienza tramite la sensibilità femminile-, si ritrova anche nelle mitologia greca, nella tragica figura di Pandora (si veda Esiodo, “Le opere e i giorni”, v. 42 e seguenti). Il mito che la vede protagonista è uno dei più noti, e dei più densi di profondo significato, dell’antica Ellade: il titano Promèteo, figlio di Giàpeto e di Asia (e quindi fratellastro di Atlante), insieme al fratello Epimèteo, plasma l’uomo con la creta (in modo simile a quanto è detto nella Genesi) (6); in seguito gli fa dono del fuoco, rubandolo agli dei (fuoco che, come è evidente, simbolizza la scintilla dell’intelligenza). Per contrastare le potenzialità offerte al nuovo essere che aveva così acquisito la facoltà di opporsi al volere divino, i celesti mandano all’uomo la prima donna, Pandora (“colei che possiede tutti i doni”), la quale reca seco un misterioso vaso o scrigno chiuso che conteneva tutti i mali, i dolori, le preoccupazioni, gli affanni e le contrarietà che avvelenano la vita dei mortali, con il tassativo ordine di non aprirlo per alcuna ragione, ordine che naturalmente non viene eseguito, così che tutto il funesto contenuto del recipiente si espande per il mondo a tormentare l’esistenza da poco cominciata dell’umanità.

pandora
Pandora apre lo scrigno contenete tutti i mali, che si spargono così per il mondo.

La figura di Pandora, che con la sua in apparenza improvvida curiosità è la causa involontaria della fine della primigenia felicità del genere umano, equivale perfettamente a quella di Eva nella mitologia ebraica: anch’essa incarna la sensazione, sensibilità, l’immaginazione  e l’emozione, che, recando con sé la distinzione tra “piacere” e “dolore”, e di conseguenza il senso del “bene ” e del “male” comporta l’inevitabile fine della felice condizione dello “stato di natura”.

E’ ovvio che tale mito non intende certo significare che prima dell’arrivo di Pandora non esistessero fatiche e sofferenze, che la vita dell’uomo trascorresse placida e serena, che tutte le sue necessità fossero soddisfatte senza sforzo e i benefici divini piovessero su di lui come manna dal cielo; ma che quando negli umani si acuirono la sensibilità, sia fisica, sia psichica, l’emozione, la memoria, e massime quando tali facoltà si unirono e divennero il sostrato della facoltà intellettiva (il “fuoco” divino donato da Prometeo, il “frutto” della conoscenza), essi cominciarono a diventare coscienti della loro condizione e ad avvertire il drammatico contrasto tra l’aspirazione alla “pienezza di vita”, ad una partecipazione alla “divinità” (la “vita eterna”), -alla quale la memoria della loro origine divina e il cammino dell’evoluzione li chiamavano-, e la limitatezza e la miseria della condizione terrena in cui erano costretti a vivere, chiusa nel carcere dell’ignoranza, della fatica e della sofferenza.

Non possiamo altresì fare a meno di osservare come l’idea di una primordiale condizione androgina dell’uomo sia presente in diverse tradizioni mitiche: dal “Purusa” indù al Kayomorts, -o Gayomars, o Gayomard- (nome che significa proprio “donna-uomo”) iranico all’Ymir gigante primordiale di fango dal cui corpo gli dei creano il mondo e Buri primo essere umano nella religione germanica, fino all’Adamo biblico, il quale è anch’esso in origine ermafrodito fino quando la sua parte femminile non viene separata (7). E tale idea si ritrova anche nel celebre mito dell’androgino esposto da Aristofane nel “Simposio” di Platone (14-15), dove si afferma che gli umani bisessuali furono poi separati in due corpi diversi da Zeus per ridurre la loro forza esuberante e impedire o rendere più difficili i loro tentativi di ribellarsi agli dei.

E in molte concezioni filosofiche e spirituali nella sua futura evoluzione l’uomo è destinato a tornare un essere ermafrodito, non tanto nel corpo fisico, -che anzi dovrebbe divenire asessuato, non essendovi più la necessità della generazione-, ma nella sua dimensione psichica e mentale, come sintesi armonica e perfetta della qualità animiche femminili e maschili; ma già nel tempo presente la meta di coloro che vogliano elevarsi ad uno stadio superiore di coscienza è quello di diventare un “ermafrodito spirituale” (ma in effetti sarebbe più appropriato dire “ermafrodito mentale-psichico”, poiché lo spirito in quanto tale, frazione individuale dello Spirito Universale, non ha una caratterizzazione sessuale).

Anche un famoso passo evangelico (Matteo, XIX, 3-12; in forma più breve in Marco, X, 5-9) che nella dottrina della maggioranza delle chiese cristiane è considerato il fondamento e il suggello divino all’istituto del matrimonio esprime in realtà il percorso di evoluzione spirituale dell’essere umano per ritrovare la sua autentica realtà e dimensione divina: “Non avete letto che il Creatore dell’uomo fin da principio li fece maschio e femmina?”: ovvero: ciascun individuo è in parte maschio e in parte femmina, perché possiede le qualità di entrambi, ma dopo la divisione dei sessi, i più si identificano in uno solo, quello che segna il corpo fisico, e con vera stoltezza coltivano soltanto le qualità e le potenzialità che ritengono essere proprie di esso. “Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e starà con la sua sposa, e i due saranno una sola carne”: significa che l’essere umano per evolvere deve superare i condizionamenti ambientali, le influenze sociali e culturali che pure gli hanno dato un indispensabile orientamento (“il padre e la madre”) per percorrere la sua strada personale e trovare sé stesso; e per poter far questo deve scoprire in sé la sua controparte celata, le qualità dell’altro sesso non esteriormente manifeste; questa frase non vuole certo dire che gli uomini si dovrebbero prendere una moglie e le donne aspettare che qualcuno le scelga per “mettere su famiglia”, come pretenderebbe la banale (oltre che maschilista) interpretazione data dal cristianesimo delle chiese istituzionali.

Che il significato autentico del passo evangelico sia questo, e non una semplice affermazione della indissolubilità del matrimonio, è confermato dalla conclusione del brano: “Perché vi sono eunuchi nati così dal grembo della madre; vi sono eunuchi che furono resi tali dagli uomini, e ve ne sono di quelli che si sono fatti eunuchi da sé in vista del regno dei cieli. Chi può comprendere, comprenda.”: qui per “eunuco” (che si è fatto tale da sé in vista del regno dei cieli, cioè per raggiungere la realizzazione spirituale e la condizione divina) si intende colui, -o colei-, che ha trasceso la polarità sessuale nella completa e armonica fusione di “femminilità” e “maschilità” propria dell’Essere assoluto, dell’Uno-Tutto.

CONTINUA NELLA QUINTA PARTE

Note

1) dunque un lunghissimo segmento di tempo, che comprende pure tutta l’era Mesozoica, quella in cui vissero i Dinosauri ed altri ordini di Rettili dalle gigantesche dimensioni.

2) l’autore scrisse poi anche un’estesa opera riguardante Atlantide della quale avremo modo di parlare.

3) la “Fraternità dei Rosa+Croce” è una scuola mistica che sarebbe stata fondata nel XV secolo in Germania da Christian Rosenkreutz, leggendaria figura di studioso e mistico (ma il nome stesso mostra una chiara valenza simbolica), il quale durante i suoi viaggi in Europa e in Oriente aveva recuperato le antiche tradizioni sapienziali ermetiche. In effetti però le prime testimonianze certe sull’esistenza di società con questo nome risalgono ai primi decenni del XVII secolo allorché furono pubblicate la “Fama” e la “Confessio Fraternitatis Rosae Crucis” (rispettivamente nel 1614 e nel 1615), seguite dopo poco da un’altra opera singolare “Le Nozze chimiche di Cristiano Rosacroce” del pastore protestante tedesco Johann Valentinus Andreae (1586-1654) -che peraltro alcuni ritengono essere una sorta di parodia delle talora astruse dottrine ermetiche-. Alla fine dell’800 e nel 900 il nome della Rosa-Croce fu ripreso da associazioni e gruppi esoterici, quali quella di M. Heindel ora citata, l’AMORC (Antico Mistico Ordine della Rosa-Croce)-che ha sede sempre negli USA- e il “Lectorium Rosacrucianum” fondato in Olanda.

4) con questo si differenziavano in modo assai netto da quanto sostenevano gli stoici, -oltre che la quasi totalità del pensiero ebraico-cristiano-, per i quali gli altri esseri viventi, -essendo per essi dotati dell’anima sensitiva e di quella vegetativa (gli animali) o solo di quella vegetativa (le piante), ma non di quella razionale-, esistono soltanto perché disposti dalla provvidenza a soddisfare le esigenze umane (comprese quelle più inautentiche e discutibili) e gli umani ne possono disporre senza avere alcun dovere morale verso di essi.

5) per molti pensatori appartenenti alle scuole esoteriche, e non solo, animali e piante sono entità spirituali che stanno percorrendo, sia pure in modo diverso e per diverse vie, la stessa strada dell’evoluzione percorsa dall’uomo.

6) ma la creazione dell’uomo con creta o argilla lavorata su un tornio da vasaio si riscontra in tutte le religioni dell’area del: per Assiro-Babilonesi esso fu plasmato da Ea (o in altre versioni da Marduk) impastando l’argilla con il sangue del gigante Kingu (o Quingu), che aveva mosso guerra agli dei (si veda “Enuma elish” -il poema che espone il mito cosmogonico della religione mesopotamica-, tavola VI, vv. 1-44); per gli Egizi fu il dio Khnum a modellare l’uomo, coadiuvato dalla dea Heqet, la quale gli infuse la vita.

7) in effetti le figure citate sono dei “Protoantropi” cosmici dal cui corpo deriva talvolta anche l’Universo o una parte di esso.

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