UCCELLI NEL MITO-quinta parte- l’Uccello Rukh (seguito)

Ritengo sia opportuno precisare che nella storia di Aladino si dice che il genio appariva allorché la lampada fosse strofinata, ma non che uscisse dalla stessa. Ed in effetti quando il fanciullo la trova, la lampada è accesa; seguendo le istruzioni dategli dal mago, Aladino la spegne e ne vuota il contenuto, dopo di che se la mette sotto gli abiti, senza timore di sporcarsi, poiché, -come gli era stato detto-, quello che ardeva nella lampada non era “olio vero”. Il fatto che di solito nelle illustrazioni della fiaba il genio esca dalla lampada come una sorta di fumo che assume poi aspetto umano, talvolta conservando al posto delle gambe un’appendice spiraliforme che fuoriesce dal beccuccio della lampada è dovuto probabilmente all’influenza di altre storie delle “Mille e Una Notte” dove un’entità superumana esce da una giara o da un boccale trovati ed incautamente aperti da qualche persona (come ad es. quella notissima del pescatore e del dèmone -notti 3-9-; si veda anche la “Storia dei Ginn imprigionati nei boccali al tempo di Salomone -notti 567-571-).

Un'immagine piuttosto fantasiosa del "Genio della Lampada", che in realtà doveva avere un aspetto più inquietante.
Un’immagine piuttosto fantasiosa del “Genio della Lampada”, che in realtà doveva avere un aspetto più inquietante.

Questi demoni, secondo il narratore, erano stati rinchiusi in quei recipienti da Salomone come castigo ad una ribellione contro di lui che aveva avuto il potere di comandarli per mezzo di un anello. L’origine di questa credenza è da ravvisarsi in alcuni testi apocrifi giudaico-alessandrini risalenti ai primi secoli dell’era volgare, -come ad esempio “Il Testamento di Salomone” (1), dove un demone per mezzo della virtù magica dell’anello viene imprigionato in un otre-, ed è confermata nel Corano, dove in varie sure (XXVII, XXXIV, XXXVIII) si accenna al potere di soggiogare i demoni concesso al terzo re d’Israele.

Il genio inoltre afferma sempre di essere al servizio del possessore della lampada stessa insieme agli altri servi della lampada, il che significa che non solo uno, ma una schiera di geni erano pronti da obbedire ai comandi da quegli impartiti, e dunque la lampada sembra essere un tramite tra mondo fisico-umano e mondo animico-superiore.

Accenniamo ora alla classificazione degli spiriti nel pensiero islamico, che peraltro sono presenti più nel folklore e nelle credenze popolari, oltre che nella narativa, che nella dottrina teologica.

La categoria più importante è senza dubbio quella dei “Ginn”, i quali sono creature intelligenti, dotate di un corpo non materiale, ma aereo o igneo. Tuttavia questi spiriti, a loro discrezione, possono apparire agli uomini in svariate forme animali o umane; in particolare si possono manifestare in sembianze di serpenti e altri rettili. Da quanto viene detto di loro nella narrativa e nel folklore, sembra che siano creature alate, e dotate talora di caratteristiche e attributi animaleschi -quali corna, artigli, zoccoli-, il che potrebbe identificarli, o comunque metterli in relazione, con i demoni della mitologia mesopotamica (quali Kumuttabal, Mukil, Pazuzu, Lilu e Lilitu,ecc.), che personificano sia le forze avverse della Natura (tempeste, siccità, malattie), sia i vizi umani (violenza, lussuria, avidità). Incerta è l’etimologia del nome che il lessicografi arabi fanno derivare da “igtinan” (=nascondersi, rimanere celato), mentre è da escludere un legame con il latino “Genius”.

Jinn_from_Ali_manuscript
“Ginn” in una miniatura persiana del XVI secolo,

Abitano di preferenza nei deserti, grotte, rovine, cimiteri e altri luoghi aridi, oscuri e abbandonati. A differenza degli angeli, sono divisi in maschi e femmine, e, stando a quanto appare nelle tradizioni popolari e nella narrativa, possono unirsi in matrimonio, talchè si citano Ginn figli di altri Ginn. Sebbene in generale sembra che essi vivano isolati, esistono diverse distinte popolazioni di questi spiriti, poiché si parla di “re” dei Ginn. Secondo il Corano, mentre l’uomo è stato creato con l’argilla e gli angeli sono esseri fatti di luce, i “Ginn” sono stati creati con “fiamma purissima di fuoco” (Cor. Sura “al-Hijr” XV, 26- 27), ossia fiamma che non emette fumo; la loro creazione è avvenuta dopo quella degli angeli e prima di quella dell’uomo  Essi dispongono del libero arbitrio, e sono quindi capaci di compiere scelte morali nelle singole circostanze in cui possano trovarsi, avvicinandosi dunque la loro natura da questo punto di vista a quella degli umani, sebbene il più delle volte appaiano come ribelli o indifferenti alla legge di Allah; essi però, esattamente come gli appartenenti alla stirpi umane, possono convertirsi e scegliere la via indicata dal profeta, il quale anche ad essi fu inviato (Cor. XLVI, 29 ss.). Tuttavia sia nelle credenze popolari, sia nelle rielaborazioni dottrinali appaiono gruppi di “Ginn” che sembrano aver scelto in via definitiva e irrevocabile il bene (Ginn credenti) o il male (Ginn infedeli). In effetti però i Ginn non si presentano come entità intrinsecamente e irrimediabilmente malvage, ma incarnano piuttosto gli “Spiriti della Natura”, -simili dunque alle Ninfe e ai Satiri della mitologia greca, agli Elfi e agli Gnomi di quella nordica, ai Gandharva e alle Apsaras di quella indù, ai folletti del folklore europeo, ecc.-, presenti e talora venerati nelle credenze religiose arabe preislamiche, e sono entità in sostanza ambivalenti, come sono le forze della Natura che essi personificano.

Raffigurazione moderna di un “ginn”.

L’erudito arabo Ibn an-Nadim, vissuto nel X secolo, nel suo “Kitab al-Fihrist”, un’opera enciclopedica che spazia dalla filosofia alla poesia e dall’alchimia alla storia, e che riporta ampie informazioni su tutte le civiltà del Vicino e Medio Oriente che precedettero l’Islam, elenca una serie di nomi di 70 Ginn, alcuni dei quali presenti anche nel “Testamento di Salomone”.

Sebbene nel Corano la figura e la funzione dei Ginn siano alquanto oscillanti e talvolta contraddittorie, nell’esegesi dottrinale e nel pensiero teologico si è tentata una loro classificazione: i Ginn infedeli sono detti “Shaitan”, -termine ovviamente connesso con l’ebraico “satan”, avversario (2)-, ma che in origine non indicava uno spirito necessariamente maligno; “Awamir” sono spiriti che abitano nelle case, talora ne proteggono gli abitanti (ma possono pure giocare loro burle più o meno fastidiose, come i folletti europei) e spesso si mostrano in aspetto di serpenti: pertanto si avvicinano ai “Domoviye” del folklore slavo, e ai “Genii loci” dell’antichità romana, che anch’essi si incarnavano in serpi, e insieme ai Lari e ai Penati, custodivano le abitazioni e le famiglie che in esse dimoravano;

Un genio protettore (affresco di una casa di Ercolano).
Un genio protettore (affresco di una casa di Ercolano).

“Khanzab” è lo spirito che disturba o distrae l’uomo quando è assorto in preghiera; “Arwah” sono spiriti che molestano di preferenza i bambini; i “Marid” sono considerati i più malefici e potenti, in grado di contrastare il volere divino; “Ifrit” (Afrit nell’arabo moderno) sono i più forti (di essi riparleremo più oltre); “Qarin” è detto una sorta di compagno negativo che si affianca a ciascun umano fin dall’istante della sua nascita, -paragonabile al “Cacodèmone” della tarda antichità greco-egiziana-, colui che incarna le cattive inclinazioni di ciascun individuo e gli ispira le azioni riprovevoli e malvage, e che è l’opposto negativo dell'”angelo custode”, il quale, a somiglianza di quanto avviene nel cristianesimo, assiste il fedele indirizzandolo verso il bene (e si avvicina quindi all'”Agatodèmone”)(3).

Un’eco della credenza che spiriti e geni possano essere imprigionati in recipienti è tuttora presente nella letteratura araba contemporanea: ad es. nel romanzo “La donna dell’ampolla” (“Imra’at al-Qarurah”), lo scrittore iracheno Salim Matar (n. nel 1956) parla dello spirito di una donna contenuto in un’ampolla che la famiglia del protagonista possedeva da generazioni e che egli si porta in Svizzera dove emigra dal natio Iraq.

Come i diavoli della tradizione ebraico-cristiana (che sono però angeli decaduti), possono molestare gravemente singole persone (ossessione) o gli abitanti di un determinato luogo (infestazione) o anche impadronirsi del corpo e soggiogare lo spirito di una persona (possessione). In questo caso, come avviene presso i cristiani, deve essere officiato un esorcismo da parte di una persona ritenuta idonea a compiere tale operazione ed autorizzata dalla comunità islamica locale (com’è risaputo, nell’Islam non esiste un vero e proprio sacerdozio o una gerarchia ecclesiastica). Esso consiste soprattutto nella recitazione di preghiere e di versetti del Corano, in particolare le sure CXII, CXIII e CXIV (le ultime del libro sacro dell’Islam), dette rispettivamente “Al-Ikhlas”= la Fedeltà; Al-Falaq= l’Alba; e An-Nas (il Genere Umano). inoltre è ritenuto assai efficace il versetto 255 della seconda sura -“Al-Baqara” (=La Giovenca)(4), versetto chiamato “Ayatu-l Kursi” (=il verso del trono). Durante il rito vengono eseguiti anche movimenti del “posseduto” e talora gli viene fatta bere acqua benedetta (proveniente dalla fonte di una moschea).

Un’altra categoria di demoni sono i “Ghul”: di essi non si parla mai nel Corano, tanto che alcune correnti della teologia musulmana negano la loro esistenza. Presso gli Arabi pre-islamici indicavano una categoria di Ginn con caratteristiche violente e animalesche. In seguito vengono considerati come esseri dotati di un corpo fisico, tanto che sono loro attribuite abitudini sanguinarie e antropofaghe, per cui sono simili agli orchi della tradizione europea, ed appaiono più che altro nelle leggende popolari.

Quanto agli “Shaitàn”, ai quali abbiamo già accennato, anche per essi la dottrina e le credenze popolari sono piuttosto incerte e oscillanti, poiché a volte sembrano essere ritenuti una classe di Ginn, a volte invece, secondo un’accezione di origine e influenza giudaico-cristiana il termine designa i “disubbidienti”, siano essi uomini o spiriti, assumendo poi un significato simile a quello dei “diavoli”. Il Corano riflette questa ambivalenza poiché nelle sure meccane (quelle più antiche) il termine ha un significato generico ed è usato come nome comune (4), nelle sure medinesi, -le più recenti,- “Shaitan” diviene un nome proprio e corrisponde al capo degli angeli ribelli della tradizione ebraico-cristiana. Nella tradizione posteriore si tenta di stabilire un legame tra i “shaitàn”, spiriti della natura o elementali, e il “Shaitan”, angelo ribelle, affermando che i primi sarebbero figli del secondo, nati dalle sue uova.

Come osservazione finale, notiamo che nell’Islam esiste una distinzione meno netta di quanto non sia nel cristianesimo tra “spiriti buoni” e “spiriti cattivi”, sia perché la differenza tra di essi è più sfumata, sia perché anche ai “cattivi” si riconosce in qualche modo la possibilità di redimersi (come non avviene nel cristianesimo dove i “diavoli” sono considerati intrinsecamente e irrimediabilmente malvagi, cosa che contrasta con il principio della bontà dell’universo, della libertà degli esseri del tutto consapevoli e con l’onnipresenza di Dio). Nel cristianesimo al contrario, esistono solo “angeli” buoni e “diavoli” (i quali a loro volta non sono che angeli disubbidienti e ribelli a Dio) cattivi; gli “spiriti della Natura”, derivati sia dalla mitologia classica, sia da quella nordica, o sono recisamente negati, o sono ritenuti “diavoli” a tutti gli effetti (5).

Questa concezione d’altra parte è coerente con l’atteggiamento prevalente nel pensiero cristiano, specie in quello occidentale, verso la Natura, che, pur essendo stata creata da Dio, è vista con profonda diffidenza e considerata in genere ostile all’uomo, sia nelle sue manifestazioni esterne e fisiche, sia in quelle interiori e psicologiche, negli istinti e negli impulsi che sono considerati forze negative da combattere o da soffocare (e che quindi per reazione, risorgono con maggiore energia), e non strumenti e aspetti dell’indole umana da comprendere, controllare e guidare affinché divengano anch’essi strumento di ascesa e di evoluzione interiore. In parte diversa è la situazione nel cristianesimo orientale, dove, specie nella tradizione russa, esistono correnti spirituali, che si possono definire, se non panteistiche, “panenteistiche”, cioè che vedono la presenza di Dio in tutta la Natura.

D’altro canto, nonostante la posizione della teologia ufficiale, pure nell’Europa occidentale gli “spiriti della Natura” sono rimasti vivi da un lato nelle credenze popolari, dall’altro nella tradizione magica ed ermetica: si pensi ad esempio a Paracelso (6), che nelle sue opere introdusse una classificazione divenuta “canonica” egli spiriti dei quattro elementi della Natura: Gnomi=Terra; Ondine=Acqua; Silfi e Silfidi=Aria; Salamandre=Fuoco.

Tornando ai “servi della lampada”, dal quale è partito il nostro breve excursus sulla demonologia islamica, essi sono con tutta probabilità da ascrivere alla categoria degli “Ifrìt”, i geni che di solito nell’iconografia europea sono raffigurati come enormi omoni calvi o rapati, talora con un ciuffo di neri capelli sulla sommità del capo e ricadenti all’indietro, lunghi baffi, orecchini ad anello, nudi dalla cintola in su; in realtà però gli “Ifrit” dovrebbero essere immaginati con un aspetto più inquietante e terribile: colorito verde o blu, occhi grandi come lanterne o addirittura come fari, lunghi e affilati canini, unghie come artigli, talvolta corna.

Dunque nell’evento centrale che caratterizza la storia di Aladino, ovvero la scoperta di un oggetto, -la lampada-, mediante il quale si può esercitare un dominio pressoché completo su demoni e geni, i quale a loro volta esaudiscono tutte le richieste a loro rivolte-, si può vedere su un piano storico-religioso il tema ricorrente nelle leggende talmudiche e midrasiche del potere di comandare agli spirti, potere che fu concesso in sommo grado a Salomone (7), ma che può conseguito anche dai maghi attraverso un difficile percorso di conoscenza interiore ed esteriore. In questo senso la tradizione giudaica si salda con quella della teurgia neoplatonica, specie quella egiziana (e, come abbiamo detto, la fiaba di Aladino è di probabile origine egiziana).

D’altro canto su questo elemento narrativo tratto dalla tradizione giudaico-alessandrina si innesta il significato simbolico e mistico: la lampada trovata in una grotta, dove dopo l’oscurità dell’entrata si rivela la luce più sfavillante, è il “tesoro nascosto”, lo “Spirito”, l’evangelico “Regno dei Cieli”, la “Pietra Filosofale”, il “Vero Io”, ovvero il “Sé” junghiano, che però solo i puri di cuore possono trovare in sé stessi. E per questo solo Aladino, che incarna proprio la semplicità e la purezza del cuore, -che sole consentono di scoprire il “tesoro” (si cfr. Marco, X, 14-15: “A coloro che rassomigliano ai fanciulli appartiene il regno di Dio”)-,  può appropriarsi legittimamente della lampada: egli prima di trovarla era un ragazzo comune senza alcuna particolare dote né fisica, né intellettuale, ma il possesso della lampada -come è detto in modo esplicito nella storia- gli conferiva intelligenza, ardimento, assennatezza e pure grazia fisica, che prima non possedeva (o che si potrebbe dire aveva solo virtualmente, ma che poi riuscì ad acquisire di fatto tenendo su di sé il magico oggetto).

E dunque chi riesca a scoprire la luce interiore diventerà padrone anche delle ombre, dei “demoni”, degli impulsi oscuri, i quali pure essi hanno una funzione nel mondo della manifestazione materiale, riflesso del vero mondo divino, e sono un ostacolo, ma pure uno stimolo nella dolorosa dialettica e nei conflitti attraverso cui deve compiersi il complesso cammino verso il ritorno alla divina unità: con la luce spirituale riuscirà a farseli amici e otterrà così da essi tutto quanto serve all’evoluzione spirituale.

Anche nel matrimonio con la bella Badr al-Budur è da ravvisare un significato allegorico: l’unione del protagonista della fiaba, o del mito, adombra il mistico connubio tra lo “spirito” -il “ruh”, la “ruah”, l'”akh”, il principio cosciente, l’Ego- e l'”anima” -la “nafsh”, la “nefesh”, il “ba”, il principio psichico, l’intelligenza istintiva: è dunque anch’esso un processo interiore, attraverso il quale giungere alla completa consapevolezza e alla perfetta realizzazione di sé stessi, del proprio autentico “Io”.

Ma il possesso della lampada, ovvero la conoscenza di sé, non è un fatto acquisito una volta per tutte: le insidie dei malvagi saranno sempre in agguato per cercare di far risorgere le ombre, i fantasmi dell’oscurità trasfigurati dalla luce interiore e trasformati da tentatori in servitori fedeli, per incrinare lo specchio che riflette il divino fulgore. Ma alla fine i loro sciagurati tentativi si ritorceranno contro di loro e renderanno più salda la vittoria di colui che per la sua purezza ha conquistato non le vanità del mondo, ma l’Assoluto.

CONTINUA NELLA SESTA PARTE

Note

1) al “Testamento di Salomone” è dedicato un articolo, la nona parte di “Sugli angeli e sui demoni”, pubblicata il 22 dicembre 2019, in cui abbiamo esposto anche un riassunto di questo interessante trattato di demonologia.

2) nella Bibbia, “satan” è un sostantivo attribuito a un “avversario” anche umano, ed ha valore di nome comune. Solo nei testi scritturali più tardi e poi nel cristianesimo diviene il nome proprio del capo degli angeli ribelli.

3) diversi erano il “Ghenèthlios” greco e il “Genius” romano, i quali in conformità con l’etimologia del loro nome, connesso all’idea della nascita, della generazione, incarnavano le qualità complessive dell’individuo del quale erano il “doppio” e insieme al quale nascevano, anche se poi sopravvivevano alla sua morte. Quanto al termine greco “anghelos”, che significa messaggero, esso fu usato per tradurre l’ebraico e aramaico “malak”; nella tarda antichità fu impiegato per designare emanazioni spirituali intermedie tra gli dei e i demoni (nonchè le anime incarnate) e pure, specie nell’ambito della teurgia professata e praticata da alcune cerchie neoplatoniche, per indicare quello che presso esoteristi e sensitivi moderni è detto lo “spirito guida”.

4) questo nome dato alla sura si deve al fatto che in essa nei versi 66-72 si ricorda una giovenca che fu sacrificata dagli Israeliti.

5) talvolta i nomi di “folletti” sono citati nei processi per stregoneria, specie in quelli tra la seconda metà del XVI secolo e il XVII nell’Italia settentrionale (ad es. “Salvanèl”, -che non è altro che la trasformazione del dio romano Silvanus, divinità dei campi e degli armenti, simile o coincidente con Faunus-, folletto dotato di notevoli appetiti sessuali, che aveva l’abitudine si succhiare il latte di mucche e pecore, nonché di intrecciare i crini delle code dei cavalli e i capelli delle donne da lui “amate” o concupite). Anche dei nomi di diavoli citati da Dante nel XXI canto dell’Inferno (XXI, 118-123) , alcuni sono di folletti o spiriti delle credenze popolari -come Alichino e Farfarello- (altri sono di probabile invenzione dantesca). Ricordiamo tra l’altro che solo a partire dalla metà del XVI secolo la stregoneria si identificò con il “satanismo”: in precedenza, fino agli inizi del ‘500, le “streghe” erano seguaci di culti agrari proibiti e perseguitati dell’esclusivismo intollerante della Chiesa, e devote in particolare a Diana. Solo dalla metà di quel secolo nei crudeli processi intentati dall’inquisizione le presunte streghe cominciarono a confessare di adorare Satana, di commettere atti criminosi e pratiche degradanti.

6) Philip Theophrast Bombast von Hohenheim (1493-1541), medico, naturalista, alchimista e filosofo svizzero. Il suo pensiero, espressione del naturalismo rinascimentale di derivazione neoplatonica, si incentra sulla corrispondenza e sostanziale identità tra “Macrocosmo” (Universo) e “Microcosmo” (Uomo); per quanto in esso Dio e Natura rimangano distinti, -e non si identifichino come sarà nella visione schiettamente panteistica di Giordano Bruno, o quella implicitamente panteistica di Baruch Spinoza (dove “natura naturans” e “natura naturata” sono due aspetti di un’unica realtà divina)-, la seconda è specchio fedele del primo e non v’è contrapposizione o contrasto tra i due.

7) infatti molti trattati di magia del Medio Evo furono attribuiti al grande re degli Israeliti, tra i quali la celeberrima “Clavicola di Salomone”. Anche a Mosè furono attribuiti dei testi magici, in particolare quelli detti appunto “Settimo e Ottavo Libro di Mosè”, che godettero notevole fama nei primi secoli dell’era volgare (i primi cinque libri attribuiti a Mosè sono ovviamente quelli del “Pentateuco”; del sesto non si ha più alcuna notizia; doveva esistere anche un decimo libro,-poiché viene citato in alcuni testi-, ugualmente di contenuto magico, ma di esso non si conosce nulla; si presume dunque che il nono e il decimo libro, presumibilmente sempre di argomento magico o contenenti rivelazioni mistiche, siano scomparsi senza lasciare traccia). Si tenga presente fra l’altro che il condottiero degli Ebrei era ben noto anche nell’ambiente greco-romano come mago, anzi considerato essenzialmente un mago, che aveva appreso i segreti di quest’arte in Egitto: ad esempio Plinio il Vecchio nel XXX libro della “Naturalis Historia” (cap. 11) lo cita in un elenco di maghi famosi, insieme a Iamne e a Iotape (che furono anch’essi maghi giudei) e così pure Apuleio di Madaura nella sua orazione “De magia” (cap. XC).

 

/ 5
Grazie per aver votato!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *