SUGLI ANGELI E SUI DEMONI -quinta parte-

Tuttavia osserviamo che nonostante le condanne ufficiali, anche in occidente, specie nelle aree di influenza bizantina, il culto dei “sette Arcangeli” dovette in qualche modo conservarsi, come si evince anche dalle testimonianze iconografiche, -talvolta di notevole valore artistico-, quali ad esempio le raffigurazioni della “Cappella Palatina” di Palermo. Nella cupola di quest’edificio, eretto per volontà di Ruggero II d’Altavilla e decorato con splendidi mosaici nel corso del XII secolo, essi sono infatti rappresentati disposti in formazione concentrica intorno al Cristo Pantokrator, con la precisa indicazione del loro nome e un motto in latino che ne sintetizza il carattere e i compiti:

Michele (Chi come Dio?): “Paratus ad animas suscipiendas” (Pronto a sostenere le anime);

Gabriele (Fortezza di Dio): “Spiritus Sanctus superveniet in te” (Lo Spirito Santo verrà su di te);

Raffaele (Medicina di Dio): “Viatores comitor, infirmos medico” (Accompagno i viandanti, curo gli infermi);

Uriele (Fuoco di Dio): “Flammescat igne caritas” (Infiammi di fuoco la carità);

Barachiele (Benedizione di Dio): “Adiutor ne derelinquas nos” (Soccorso affinché non siamo abbandonati);

Geudiele (Lode -o in un’altra interpretazione, Conoscenza- di Dio): “Deum laudantibus praemia retribuo” (Dono la ricompensa a coloro che lodano Dio);

Sealtiele (Preghiera di Dio):”Oro supplex et acclinis” (Prego supplice e chino).

I sette Arcangeli nella volta della cupola della Cappella Palatina a Palermo.
I sette Arcangeli nella volta della cupola della Cappella Palatina a Palermo.

Gli Arcangeli appaiono abbigliati con le sontuose vesti dei dignitari bizantini, e con gli attributi che una consolidata tradizione aveva loro assegnato in base alle funzioni e all’indole di ciascuno, rispettivamente Michele in atto di combattere un drago; Gabriele con una torcia e uno specchio di diaspro (che simbolizzano la vigilanza); Raffaele con un’ampolla di unguenti medicinali; Uriele con fiamma e spada (l’ardore della carità); Barachiele che distribuisce rose (le grazie divine); Geudiele con corona e flagello (ricompensa e punizione); Sealtiele in posizione di orante.

Sempre a Palermo nel 1516 furono scoperte nella piccola chiesa di S. Angelo delle tracce di antichissimi affreschi che rappresentavano i sette Arcangeli; in seguito a questo ritrovamento il sacerdote Antonio Lo Duca cominciò a dedicarsi al ristabilimento del culto degli arcangeli, dei quali sostenne di aver avuto visioni e rivelazioni con cui essi chiedevano la ripesa della venerazione ad essi tributata. A tal fine il religioso si trasferì a Roma dove cercò in tutti i modi di ottenere il recupero della devozione agli arcangeli, ma con scarso successo, ed anzi dovendo subire incomprensioni e minacce, nonostante le quali però egli trovò il modo di installare tra i ruderi delle terme di Diocleziano una sorta di cappella provvisoria, entro la quale aveva riposto un quadro riproducente un’immagine a mosaico della Madonna attorniata dai sette Arcangeli che si trovava un tempo nella basilica di S: Marco a Venezia (e ora non più esistente). In seguito però la sua costanza fu premiata e sotto il pontificato di Pio IV de’ Medici (papa dal 1560 al 1565) (1), ebbe inizio la costruzione della basilica di S. Maria degli Angeli, su disegno di Michelangelo, che utilizzò all’uopo il grande vano occupato un tempo al “frigidarium” delle Terme di Diocleziano (2) (3).

Importanza fondamentale hanno gli Angeli anche in  alcuni testi apocrifi cristiani gnostici, quali il cosiddetto “Apocrifo di Giovanni”, -o “Libro di Giovanni”- e il “Vangelo di Bartolomeo”. Il primo, che consta di due parti, nella prima delle quali vengono esposte una teologia, una cosmologia e un’antropogenesi molto complesse, e talora farraginose, -che peraltro ricalcano nelle grandi linee le dottrine della gnosi basilidiana e valentiniana-, mentre la seconda riporta sei domande poste dall’apostolo Giovanni a Gesù Cristo e le risposte da quest’ultimo date, ci rivela che “l’Invisibile Spirito pose l'”Autogenesi” divina sopra ogni cosa […]. Dall’incorruttibilità, attraverso un dono dello Spirito, le quattro luci provenienti dall'”Autogenesi Divina” sorgevano davanti a Lui”. Queste quattro luci sono la Comprensione, la Grazia, la Percezione e la Considerazione.

La Grazia esiste all’interno di un regno di luce chiamato Harmozel, il primo angelo. Oltre la Grazia, con Hormozel si trovano la Verità e la Forma. La seconda luce è chiamata Oriel (da identificarsi forse in Uriel) e sorge sul secondo regno. Con Oriel sono Epìnoia (Intenzione), Percezione e Memoria. La terza luce ha il nome di Daveithai, e illumina nel terzo regno; con essa so trovano Comprensione, Agape e Idea. Alla quarta luce è invece attribuito il nome Eleleth e rischiara il quarto regno in compagnia di Perfezione, Pace e Saggezza (Sofia).

Nel primo regno viene posto il primo uomo prototipico, chiamato Adamas (che equivale all’Adam Kadmon della Qabbalah) (4), apparso in conseguenza dello slancio dello Spirito Santo verso l'”Autogenesi” (in effetti l'”Autogenesi”, -che forse più esatto chiamare “Autogenerato”, e così faremo d’ora innanzi- sembra potersi identificare con il Cristo cosmico). Nel secondo regno viene collocato Seth, figlio di Adamas. Nel terzo invece trova posto la discendenza di Seth, nonché le anime dei “Santi”, ovvero degli “pneumatici” la parte spirituale del genere umano. La quarta luce (o regno) è destinata alle anime che ignorano la “pienezza” (il “Pleroma” gnostico, l’insieme delle entità che emano dal Dio-Uno-Principio spirituale) e che per un certo tempo sono costrette a vagare nelle tenebre, ma riescono poi ad imboccare la retta via (gli “psichici”).

Secondo l'”Apocrifo”, dallo slancio del Padre verso la Luce infinita che lo circonda nasce una entità primordiale androgina -che ricorda il Phanes degli Orfici, il quale è definito: “Metropator” (Madre-Padre), Protoantropo, Spirito Santo, Tre volte Uomo; Tre volte Potente, Tre volte Nominato, Androgino eterno. Dall'”Invisibile Spirito” promanano dodici “regni superiori” – ma che più che “regni” sono entità metafisiche, quelle viste sopra che fanno parte delle quattro “Luci” angeliche (dunque 3×4=12)-, i quali in pratica corrispondono agli “Eoni” basilidiani e valentiniani-. Sophia nel suo desiderio di ricongiungersi al principio supremo genera una entità, Ialdabaoth, -descritta e raffigurata come un drago o un serpente con la testa di leone-, da identificare con il “Demiurgo”, e dunque con il dio dell’AT, il quale a sua volta emana, o per meglio dire genera attraverso il connubio con “Apònoia” (Superficialità, Stoltezza), dodici “regni inferiori”, che sono la replica in negativo dei dodici “regni superiori”, attraverso i quali crea il mondo materiale (5).

E’ Ialdabaoth che, esaltato da stolta presunzione, osò proclamare: “Io sono Dio e non v’è alcun dio all’infuori di me!”. Poi egli decise di creare l’uomo e si servì dell’aiuto dei demoni suoi sottoposti, i quali plasmarono una creatura di materia a immagine del primo Uomo Perfetto, -cioè Adamas-, e lo chiamarono con il nome simile di Adamo. Essi gli diedero ciascuno una delle parti del corpo e gli conferirono le sue caratteristiche psichiche e mentali.

Amuleto in ematite di probabile provenienza egiziana del III-IV secolo, che rappresenta un angelo-forse Michael- (o una divinità, o un eone), con testa di falco, sei paia di ali e coda d'uccello. Esso esemplifica assai bene il sincretismo della tarda antichità: la figura è circondata dalla scritta in greco SASAM ADOURAM (di incerta interpretazione); sul contorno e nel verso sono rappresentati sette scarabei, una stella, una scimmia, un coccodrillo e altre figure non ben identificabili; e sono incisi i nomi di Michael e altri angeli, e parole semitiche quali "semes eilam", -che significa probabilmente "Sole eterno"-.
Amuleto in ematite di probabile provenienza egiziana del III-IV secolo, che rappresenta un angelo-forse Michael- (o una divinità, o un eone), con testa di falco, sei paia di ali e coda d’uccello. Esso esemplifica assai bene il sincretismo della tarda antichità: la figura è circondata dalla scritta in greco ASASAM ADOURAM (di incerta interpretazione); sul contorno e nel verso sono rappresentati sette scarabei, una stella, una scimmia, un coccodrillo e altre figure non ben identificabili; e sono incisi i nomi di Michael e altri angeli, e parole semitiche quali “semes eilam”, -che significa probabilmente “Sole eterno”-.

Tuttavia Adamo per lungo tempo rimase inanimato, fino a che Sophia non si rivolse a Metropator (ovvero l’Autogenerato), che inviò le cinque luci (6) che illuminarono il primo uomo, mentre Sophia inviò lo spirito divino a suo figlio Ialdabaoth, e questi lo insufflò in Adamo, così che questi finalmente acquistò il palpito della vita e brillò di luce propria. Allora i demoni invidiosi lo presero e lo gettarono nel più basso dei mondi materiali.

Come si può notare questo racconto esprime una concezione antropologica simile a quella degli Orfici, pur nella diversità degli elementi mitici: infatti in entrambe l’uomo è considerato un essere ambivalente che partecipa dello spirito e della materia, delle tenebre (conferitegli dai demoni che l’hanno creato) e della luce (della quale è stato rivestito dalle entità superiori); nell’antropogonia orfica gli uomini derivano dalla ceneri dei Titani (omologabili ai demoni della tradizione gnostica) che personificano la materia, l'”energia oscura”, i quali avendo però inghiottito Zagreo, -la seconda incarnazione di Fanete-, contengono anche delle scintille di luce, per cui il fine dell’uomo è quello di prendere coscienza e contatto, di recuperare la luce in lui, uscendo dal carcere degli oscuri impulsi della natura inferiore (si veda al riguardo la seconda parte di “Quel savio gentil che tutto seppe” del 12 aprile 2013).

I quattro grandi Angeli menzionati nell'”Apocrifo di Giovanni”, -che peraltro sembravano partecipare più della natura di Eoni che di Angeli (anche se come abbiamo visto pure nel neoplatonismo cristiano dello Pseudo-Dionigi gli Angeli appaiono come emanazioni intermedie tra Dio-Uno-Spirito eterno e il mondo inferiore materiale, che non può trovarsi sul piano metafisico in diretto contatto con l’Essere assoluto)- li ritroviamo in un altro testo gnostico pervenutoci in lingua copta il “Vangelo degli Egiziani”, dove svolgono le stesse mansioni e sono a capo di quattro grandi “ogdoadi”. Ad essi sono affiancati con il compito di “ministri” Gamaliel per Harmozel; Gabriel per Oriel; Samblo per Davethai; Abrasax per Eleleth (7); a cui si aggiungono poi rispettivamente: Memoria; Agape; Irene; Zoe (Vita eterna), secondo uno schema simile a quello dell'”Apocrifo”, ma che differisce in parte nella collocazione -e nella denominazione- degli Eoni.

Anche nella “Qabbalah”, -la mistica ebraica sviluppatasi in età medioevale, specie nell’area iberica, ma che ha la sue prime radici nelle correnti di ispirazione pitagorica e platonizzante dei primi secoli-, troviamo un’associazione di figure angeliche personali alle emanazioni metafisiche dell’Uno-Infinito (“Ein Sof” = Senza Fine) sulle quali si incentra la visione cosmica e antropologica di tale dottrina.Albero della Vita A2 Queste ultime infatti, chiamate “Sephirot” (“Sephirà” al singolare) nei testi sacri della Qabbalah, -in  particolare nel “Sefer Jetzirah” (“Libro della Creazione”, o, più correttamente, “della Formazione”)- (8), sono dieci entità, o ipostasi, o aspetti o qualità divine, che possono paragonarsi agli Eoni (pur se manca l’elemento della negatività del mondo materiale, creato in seguito all’ignoranza e alla presunzione di un eone inferiore, che caratterizza in genere i sistemi gnostici in senso stretto), disposte nelle formulazioni grafiche in un ordinamento che ricorda quello di un albero (come si può osservare nell’immagine riprodotta sopra), e pertanto detto “Albero sefirotico”. Esse sono dall’alto in basso:

A)Kether, Corona o Diadema;

B) Chokmah, Saggezza;

C) Binah, Intelligenza, Comprensione;

D) Chesed, Misericordia, Grazia, Benignità (in alcune versioni sostituita da Gedulah, Grandezza, Magnificenza);

E) Gheburah, Rigore, Severità (talora Peshad, Punizione, Castigo);

F) Tipharet, Bellezza -detta anche Rahamim (Misericordia)-;

G) Netzach, Vittoria, Trionfo (talora Eternità);

H) Hod, Splendore, Gloria;

I) Iesod, Fondamento;

L) Malkhut, Regalità, Regno -detta anche Shekinah, Presenza (divina)-.

A queste emanazioni, o piani divini, sono attribuiti rispettivamente come significatori o personificazioni angeliche i seguenti spiriti, nell’ordine: A) Metatron; B) Raziel; C) Tzaphkiel; D) Tzadiel (o Zadkiel); E) Khamael; F) Raphael; G) Haniel; H) Michael; I) Gabriel; L) Sandalphon.

Come si può notare nella figura, la disposizione dei “Sephirot” si può sovrapporre alle due colonne, chiamate “Jachin quella di destra, e “Boaz”, quella di sinistra (termini che dovrebbero significare rispettivamente “fermo, stabile” e “forte, potente”; Flavio Giuseppe peraltro, in “Antichità giudaiche”, VIII, 78, indica le colonne con i nomi di Jachein e Abaiz), che, secondo la Bibbia, erano collocate nel vestibolo del tempio di Salomone; stando a quanto viene detto in IRe, VII, 13-22; e IICronache, III, 15-17, le due colonne erano di bronzo, alte 18 cubiti e con capitelli a forma di giglio alti 5 cubiti (quindi dovevano essere simili alle colonne lotiformi egizie, sebbene gli artisti e le maestranze che costruirono e decorarono il tempio fossero in prevalenza di provenienza fenicia, a cominciare dall’architetto, Hiram, di madre israelita e padre di Tiro).

Raffigurazione moderna del tempio di Salomone.
Raffigurazione moderna del tempio di Salomone in cui si notano le due colonne che affiancano la porta di ingresso.

Queste colonne assunsero poi un significato simbolico, rappresentando la colonna Jachin le virtù contemplative, “femminili” (l’umiltà, la benevolenza, la carità, la temperanza, la misericordia, ecc.), quella Boaz le virtù attive, “maschili” (ardimento, fortezza, determinazione, giustizia, ecc.): in tal modo esse si possono utilmente confrontare, -in quanto esprimono una simile, per non dire la medesima dialettica metafisica e cosmica-, con lo “Yin” e “Yang” del taoismo cinese, affinità sottolineata anche dal fatto che, così come i due principi metafisici cinesi, sono di solito rappresentate nei testi cabalistici di colore bianco e nero, o blu e rosso.

I quattro “Sephirot” centrali rappresentano l’equilibrio, o la sintesi, tra le tre coppie dialettiche inserite nelle due “colonne” (9): ulteriore dimostrazione di come in tempi e luoghi diversi e lontani la riflessione logica, l’intuizione metafisica e lo slancio mistico abbiano portato gli spiriti eletti a giungere a conclusioni simili, sebbene in formulazioni e per immagini differenti.

Osserviamo altresì che l'”albero sefirotico” ha una corrispondenza nell'”Adam Kadmon”, l’Uomo Cosmico Archetipico: i tre sephirot superiori sono in relazione con la testa; Tipharet è il cuore; Chesed e Geburah sono gli arti superiori; Netzach e Hod gli arti inferiori; Iesod la potenza generativa attraverso la quale la forza e la luce divina vengono incanalate verso Malkut (Regno) l’ultima emanazione. Quest’ultima, come si è detto sopra, è chiamata anche Shekinah, e rappresenta l’immanenza di Dio nel mondo materiale e inferiore -in contrapposizione a Keter e più ancora a Ein Sof, assolutamente ineffabili e trascendenti-.

Esaminandole dall’alto in basso, le “Sephirot” (similmente agli Eoni e agli Arconti gnostici, e agli Dei, Angeli, Eroi e Demoni del neoplatonismo) mostrano il penoso dinamismo delle emanazioni, il passaggio da Ein Sof alla creazione, un progressivo degradarsi dalla pura luce dell’Uno allo squallore della materia. Ma considerando l'”albero” dal basso in alto costituiscono una scala che sale verso l’Alto, verso l’Uno ripercorrendo in senso inverso il cammino che prima era stato di discesa. Dall’unione di Tipharet e Shekinah nasce l’anima umana e il volo mistico principia con la comprensioni di questo che è l’evento essenziale della Vita: e allora le “emanazioni” cabalistiche (come quelle neoplatoniche e gnostiche) non sono più un astratto sistema teologico, ma divengono una mappa della coscienza.

Anche nella dottrina dell’Islam le entità angeliche rivestono una notevole importanza; osserviamo peraltro che nel Corano i loro compiti, oltre che quello di essere messaggeri e custodi dell’umanità in generale e dei fedeli in particolare -mentre non sembra esservi la figura dell'”angelo custode” personale- (10), sono quelli di combattere per la fede, di annotare nel libro del destino le azioni, meritorie e biasimevoli, compiute dagli uomini e di interrogare le loro anime al momento del giudizio divino nell’aldilà -che è una sorta di processo davanti a un  tribunale, e quindi sotto questo aspetto, ricorda il giudizio del tribunale di Osiride nella religione egizia, in cui però non vi è la “psicostasia”, la pesatura dell’anima, ma la lettura del libro, che però è integrata da una serie di domande sulla fede-, di punire i dannati e addirittura di indurre in tentazione gli uomini per provare e temprare la loro fede (così che vengono ad assumere una finzione che nel cristianesimo, specie quello occidentale, viene svolta dai diavoli).

I principali angeli della tradizione islamica sono quelli di derivazione ebraica, in particolare Gabra’il (Gabriele), uno dei quattro arcangeli (“Muqarrabun”, reso talvolta con Cherubini) più vicini ad Allah, “i quali cantano le sue lodi notte e giorno, senza pausa e requie alcuna” (Cor. XXI, 20). Sarebbe stato Gabra’il a recare ad Abramo e a suo figlio Ismaele la “pietra nera”, onde fosse inserita nella “Ka’aba”, il tempio che essi avevano appena costruito (si veda al riguardo quanto abbiamo detto nell’articolo dedicato alla pietra nera della Ka’aba, pubblicato il 7 dicembre 2013); egli è pure colui che ha rivelato il Corano a Maometto, e per questo ha un significato assai rilevante nell’Islam -pur se ovviamente non gode di venerazione, poiché nell’Islam ortodosso, specie quello sunnita, il culto è riservato al solo Allah, e la venerazione tributata ad angeli, santi e maestri spirituali, presente da un lato nella religiosità popolare, dall’altro nelle correnti mistiche (come quelle dei “Sufi”), e in alcuni gruppi etnico-religiosi caratterizzati da cospicue componenti gnostiche(quali Drusi, Ismailiti e Nusayri) con forti componenti gnostiche -, è condannata come forma di idolatria- (11).

I quattro Arcangeli intorno al trono di Allah.
I quattro Arcangeli intorno al trono di Allah.

Gli altri arcangeli sono: Mikail (Michele), associato a Gabra’il nella sura II del Corano (v. 98); Israfil, non citato nel Corano, di enormi dimensioni, che sostiene il trono di Dio, con il corpo ricoperto da innumerevoli bocche e lingue; è chiamato l’Arcangelo della Tromba, poiché nel giorno del giudizio finale dovrà sonare la sua tromba per risuscitare i morti dalle tombe. Izra’il, presente nelle tradizioni giudaiche extra-bibliche, qualificato come “Angelo della Morte”; anch’egli è descritto come un essere di proporzioni cosmiche, alto 70.000 piedi, dotato di ben 4000 ali e, come Israfil, disseminato di bocche e lingue in numero pari a quello dei viventi (numero che pertanto deve essere astronomico; si potrebbe vedere in questa strana entità un eone che comprende il principio vitale presente in tutti gli esseri dotati del soffio vitale) (12).

Tuttavia da quanto si evince dalla sura LXXIX, sembrerebbe che esistano più angeli della morte, distribuiti anzi in almeno due distinte categorie: coloro che “strappano con violenza” le anime dai corpi degli infedeli, e quella dei “Traenti lievi” che staccano con delicatezza le anime dai corpi dei credenti.

Altre figure interessanti di angeli che ricorrono nell’Islam, -non aventi riscontro nelle credenze cristiane (ma che presentano analogie con alcune figure del giudaismo eterodosso)- sono due coppie di esseri celesti.

La prima è costituita da Harùt e Marùt, dei quali si parla nella sura II (102), in un passo piuttosto oscuro e di controversa interpretazione, nel quale si afferma che essi in Babilonia insegnarono agli uomini la magia e in particolare i malefici volti a separare i coniugi, -in cui peraltro si precisa che tali operazioni non possono avere successo se non con il benestare di Dio-. Si ritiene probabile, -ma non certo- che i nomi di questi due angeli derivino da quelli di Hauravatàt e Ameretàt (“Integrità” e “Immortalità”), due degli Amesha Spenta iranici.

A quanto riferisce una leggenda post-coranica gli Angeli avendo visto dal Cielo gli uomini che sulla terra si abbandonavano a peccati e intemperanze di ogni genere mostrarono disprezzo verso di essi presso Allah. Questi prese le difese degli uomini, osservando che forse se gli Angeli si fossero trovati nelle identiche circostanze non si sarebbero comportati in diverso modo. Gli angeli però non furono d’accordo e per dimostrare la loro tesi inviarono due di loro sopra la terra, che erano appunto Harùt e Marùt. Ma, una volta giunti sulla terra, i due furono vinti dalle più deplorevoli tentazioni: avendo incontrato una leggiadra fanciulla, non esitarono a rapirla e, quando furono scoperti da un uomo, l’uccisero.

Allora tornarono in Cielo e dovettero riconoscere che Allah aveva detto il vero, e così per espiare i loro peccati furono relegati a Babilonia, dove furono appesi a testa in giù in un pozzo ed ivi sottoposti ad atroci torture, (cosa piuttosto strana, poiché non si capisce come degli esseri esclusivamente spirituali come sono per definizione gli angeli possa avvertire dolore e sia dunque vulnerabile alle pene fisiche; d’altra parte tuttavia è evidente che quando scesero sulla terra dovevano aver assunto un corpo materiale, e con esso le inclinazioni carnali, altrimenti non si spiega come avrebbero potuto cedere alla lussuria).

L'arcangelo Israfil che suona la tromba in una miniatura persiana.
L’arcangelo Israfil che suona la tromba in una miniatura persiana.

In alcune versioni della leggenda però i due angeli si sarebbero entrambi innamorati della giovane donna e per indurre a sceglierlo ciascuno di essi, a richiesta di costei, alla quale avevano palesato la loro natura celestiale, le avrebbero rivelato il vero nome di Dio. Allah nell’alto dei Cieli, in modo poco caritatevole, avrebbe invitato gli altri angeli a contemplare i loro fratelli così miseramente caduti nelle ingannevoli lusinghe terrene; mentre Harùt e Marùt quando vollero tornare alla dimora celeste, non poterono più risalirvi, poiché rivelando il segreto del nome di Dio avevano abdicato alla condizione angelica.

Osserviamo inoltre che la donna, nelle diverse varianti della storia, si sarebbe chiamata Zahra, o Zohra, o Anahid; l’ultimo di codesti nomi è con tutta evidenza una deformazione di Anahita, la dea persiana corrispondente all’Aphrodite greca, -ma talora identificata anche con Atena e Artemide (13)-, e in origine anch’ella uno “yazata”, ovvero un angelo della religione mazdaica: questo particolare avvalora l’identificazione, o la derivazione dei due angeli islamici con Hauratàt e Ameretàt, pur se le loro figure sono poi state profondamente modificate. Tenendo inoltre conto che Zahra in arabo è uno dei nomi del pianeta Venere (oltre ad avere il significato di “fiore”), risulta chiara una possibile interpretazione allegorica della leggenda: i due angeli potrebbero essere due entità spirituali decadute, -una sorta di eoni inferiori-, che però, -come in alcune scuole gnostiche- contribuiscono alla nascita dell’uomo e all’immissione in lui della scintilla celeste e divina.

E’ ipotizzabile che l’origine di questa storia, attraverso fonti giudaiche, -dove i due angeli sono chiamati Shamazai e Hazael-, risalga al passo biblico della Gen. (VI, 1-2), -che abbiamo più volte citato nella nostra esposizione-, ove si dice che gli uomini “avendo procreato delle figlie femmine”, i figli di Dio (14), attratti da esse, “si presero in mogli fra tutte quelle che a loro piacquero”.

Altri due angeli presenti nella tradizione islamica, -ma non nominati nel Corano e ricorrenti soprattutto nelle credenze popolari-, che agiscono sempre insieme, sono Mùnkar e Nakìr. Essi sono incaricati di condurre un severo interrogatorio ai defunti poco dopo il trapasso, quando i loro corpi sono stati appena sepolti, ponendo loro domande circa la loro fede in Allah  e la considerazione che mostrano di avere su Maometto, per accertare se essi siano infedeli; fedeli, ma peccatori; o fedeli giusti. Solo questi ultimi, che potranno dare le risposte esatte durante l'”esame”, potranno entrare nel Paradiso; ma la ricompensa finale non sarà loro elargita immediatamente, ma solo dopo il giudizio finale e la resurrezione; fino a quel giorno essi dovranno rimanere nella tomba in una sorta di limbo. Quanto agli infedeli e ai peccatori, essi saranno percossi senza pietà dai due angeli fino a quando Dio vorrà, -o secondo altri fino al giorno del giudizio-.

Un compito di capitale importanza è riservato agli Angeli nella Teosofia e nell’Antroposofia moderne (le quali sotto molti aspetti riprendono il cristianesimo interiore e anti-dogmatico della Gnosi antica e medioevale). Nella “Dottrina Segreta”, l’opera principale di Helena Petrovna Blavatsky (vol. I), leggiamo: “Tutto il Cosmo è guidato, controllato ed animato da alcune serie quasi infinite di Gerarchie di Esseri senzienti, ciascuna con una missione da compiere […], i “Messaggeri”, gli agenti delle leggi karmiche e cosmiche. Esistono tra di essi infinite variazioni nel grado di coscienza e di intelligenza; definire tutti costoro “puri spiriti” senza alcun titolo terreno […] significa soltanto affidarsi alla fantasia poetica. Infatti, ognuno di questi enti è stato, o si prepara ad essere un umano. […] Sono privi del sentimento della personalità e della natura emozionale umana […] si sono liberati di questi sentimenti inferiori perché: non hanno più il corpo materiale, un peso che intorpidisce l’anima […]; ed essendo il puro elemento spirituale senza ostacoli Maya [l’illusione creata dalla materialità] li influenza meno dell’uomo”. “L’individualità è la caratteristica delle loro rispettive gerarchie, non delle loro unità [in altre parole hanno un carattere proprio della classe di spiriti a cui appartengono, non dei singoli individui], e queste caratteristiche variano solo col livello del piano a cui appartengono: più la Gerarchia è prossima alla regione dell’omogeneità e dell’Uno, meno accentuata è l’individualità in essa”. Secondo la Blavatsky, “questi Angeli non amministrano né proteggono […]. Non avendo elementi di personalità nella propria essenza, essi non possiedono le qualità personali attribuite dagli uomini al loro dio antropomorfo nelle religioni exoteriche [cioè le religioni più diffuse, praticate da coloro che non hanno l’intelligenza spirituale], -un dio geloso ed esclusivista, che prova gioia ed ira, che si compiace dei sacrifici ed è più dispotico nella sua vanità di qualsiasi uomo stolto e limitato”. Anche l’uomo, -continua la filosofa esoterista-, può avvicinarsi o addirittura conquistare una natura angelica, se sappia domare la personalità inferiore per giungere a una piena coscienza del fatto che il suo Sé superiore è parte del Sé Uno assoluto.

Rudolf Steiner (1861-1925), riprende invece lo schema delle gerarchie angeliche contemplato dallo Pseudo-Dionigi, impiegando però nomi diversi per designarle, con i quali vuole rendere le funzioni che ad esse attribuisce nella sua concezione cosmologica e antropologica (o meglio affianca alla terminologia paolina e dell’Aeropagita quella da lui coniata): per lui i Serafini sono i “Signori dell’Amore”; i Cherubini, i “Signori dell’Armonia”; i Troni i “Signori della Volontà”; le Dominazioni i “Signori della Saggezza”; le Virtù i “Signori del Movimento”; le Potestà i “Signori della Forma”; i Principati i “Signori della Personalità”; gli Arcangeli i “Signori del Fuoco” e gli Angeli i “Figli della Vita”(15).

Per il fondatore dell’antroposofia ciascuna di queste gerarchie angeliche ha dato un contributo fondamentale all’evoluzione, non solo della razza umana, ma di tutti gli esseri viventi (e pure diquelli in apparenza non viventi, perché secondo le dottrine teosofiche, antroposofiche e rosacrociane anche i minerali hanno un barlume di coscienza), donando ad essi le facoltà fisiche, animiche  e spirituali di cui dispongono in ciascuna incarnazione. Ma i membri delle gerarchie angeliche a loro volta hanno attraversato diversi e molteplici stadi di evoluzione, passando dallo stato minerale, a quello vegetale, a quello animale, a quello umano e infine a quello totalmente spirituale (o divino), e sono destinati, dopo aver completato la loro evoluzione su questo piano cosmico, -che è il settimo, il più basso-, a procedere indefinitamente verso gli altri piani cosmici superiori.

Gli Angeli in senso stretto, i quali costituiscono la gerarchia immediatamente superiore al piano umano, hanno la funzione di custodi, sia degli individui, sia delle aggregazioni umane (famiglie, paesi, nazioni), sia dell’umanità nel suo complesso, e serbano la memoria delle varie incarnazioni degli umani, finchè essi non siano in grado di ricordarle da sé.

Si deve tenere presente che nella concezione di Steiner, non solo l’uomo, ma tutti gli esseri dell’Universo, dai più piccoli e invisibili, ai più grandi ed immensi, come i pianeti, le stelle e le galassie, si evolvono attraverso continue trasformazioni, che si possono considerare “reincarnazioni” poiché ad intervalli di stasi (“morte”) fa seguito una nuova nascita, che prosegue, ma in modo del tutto rinnovato quella precedente. La nostra Terra non nacque già come “Terra”, ma fu preceduta da un’altra incarnazione: come l’uomo in ciascuna sua esistenza è la reincarnazione di una vita anteriore, così anche la Terra è la reincarnazione di un antico pianeta che l’ha preceduta -e il quale a sua volta era la reincarnazione di un corpo celeste più antico-.

Gli astri che sono le incarnazioni anteriori della Terra sono Luna, Sole, Saturno, che è il primo, -ma si badi bene che con questi nomi NON si intendono gli attuali corpi celesti noti con la medesima denominazione!-, e danno nome ai tre periodi cosmici già trascorsi. Essi sono a loro volta suddivisi in sette fasi, dette “globi”, intervallate da “notti cosmiche”; ora ci troviamo circa a metà del periodo della Terra -il periodo centrale, quello di maggior compenetrazione dello spirito nella materia (che però fa parte del “piano di evoluzione” che comporta fasi di discesa e fasi di ascesa)-; ad esso faranno seguito i periodi di Giove, di Venere e di Vulcano.

Il compito della Terra è di rendere possibile all’uomo la sua esistenza umana: egli negli stadi anteriori è passato da una condizione spirituale, ma indifferenziata, ad un sempre più individuale, ma anche sempre più materiale ed egoistica; ora, -naturalmente si fa riferimento a periodi lunghissimi, di centinaia di migliaia di anni-, il processo dovrebbe di nuovo invertirsi e l’uomo si dovrebbe “rispiritualizzare”, ma in una forma assai diversa da come era in precedenza, molto più “raffinata”, sensibile e personale.

Anche gli stati planetari per cui la Terra è passata nelle lunghissime epoche trascorse ebbero un simile compito: su di essi altre entità divennero uomini, e poi evolsero verso una condizione superiore a quella umana: in pratica i membri delle gerarchie angeliche furono “uomini” (cioè in uno stato di coscienza e di sviluppo analogo, ma in modo e in forma diversi dagli uomini attuali), nei periodi e nei “globi” dominati dal pianeta a cui sono legati -ed è legata la loro evoluzione-.

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Note

1) i de’ Medici ai quali apparteneva questo pontefice erano un casato di Milano distinto da quello ben più famoso di Firenze, con il quale non aveva probabilmente alcun legame.

2) per la realizzazione del monumento diede senza dubbio notevole impulso il nipote del sacerdote siciliano, Jacopo Lo Duca, che era un artista discepolo di Michelangelo Buonarroti.

3) il cadavere di Pio IV sepolto dapprima in S. Pietro fu in seguito traslato nella basilica da lui fondata nel 1583.

4) il nome “Adamas” è certamente una variante di “Adam”, ma è anche omofono del greco “adamas, adàmantos”, diamante, -e che a sua volta significa propriamente “indomito”, “indomabile” a cagione della durezza di tale pietra, per cui questo termine vuole sottolineare la cristallina purezza, luminosità e incorruttibilità del primo uomo cosmico.

5) di essi citiamo solo il primo, Athot (nome che somiglia stranamente a Thoth) e l’ultimo Belias, del quale si dice domini la più profonda regione degli Inferi; segnaliamo inoltre che il sesto e il settimo sono chiamati rispettivamente Caino e Abele.

6) queste “cinque luci” dovrebbero essere quelle che compongono un “quintuplice regno” delle quali si parla nella prima parte del testo e che nella loro essenza non sembrano differire gran che dalle “quattro luci” descritte in seguito. Come abbiamo già detto, il testo è complicato, spesso farraginoso e poco comprensibile nei passaggi e nei singoli particolari.

7) mentre nel sistema gnostico di Basilide (si veda la decima parte della presente ricerca), Abrasax (o Abraxas) è il nome del Grande Arconte che comprende tutti i 365 cieli, -e in altri sistemi tale nome designa talora anche l’Uno-Infnito-, qui appare soltanto come “ministro” in una delle quattro ogdoadi, ed ha quindi un’importanza decisamente minore.

8) l’altro testo fondamentale della filosofia mistica ebraica medioevale è il “Sefer ha-Zohar”, (il “Libro dello Splendore”).

9) si potrebbe dunque accostare questo schema alla triade dialettica della filosofia hegeliana: tesi, antitesi e sintesi.

10) in effetti anche nell’Islam, vi sono delle figure spirituali che affiancano e assistono gli individui umani, i “qarin”, che però sono piuttosto “Ginn” e non angeli. Di essi uno istiga alla trasgressione della legge divina, ai cattivi pensieri e alle azioni riprovevoli, mentre l’altro guida, o cerca di guidare, il suo protetto sulla strada della saggezza, così che possono paragonarsi rispettivamente al “Cacodèmone” e all'”Agatodèmone” dell’ellenismo alessandrino, o ai “Genii” romani. Sui “Ginn” veda anche quanto è stato detto nella ricerca sull’Uccello Rokh (9 luglio 2014).

11) per tale ragione i gruppi fanatici e fondamentalisti dell’islamismo politico estremista sunnita (come Isis, Al-Nushra, Boko Haram, ecc.) quando riescono ad occupare un certo territorio distruggono sistematicamente i mausolei dei “marabhutti” nell’Africa occidentale islamica e dei maestri spirituali “sufi” nel Mashreq e perseguitano i loro devoti al pari degli “infedeli”.

12) i quattro arcangeli dell’Islam rientrano anche tra i sette grandi Arcangeli che sono le emanazioni della divinità nella religione degli Yezidi, i quali peraltro, pur avendo nomi di origine ebraica, derivano dagli Amesha Spenta dello zoroastrismo (come abbiamo visto nell’articolo dedicato a questo gruppo religioso apparso il 29 settembre 2014).

12) Anahita in effetti era primariamente una dea delle acque, delle sorgenti e del rigoglio primaverile, e il suo culto in Persia, in Armenia e in Asia Minore era spesso associato a quello di Mithra.

13) chi sono questi misteriosi “figli di Dio”? si dovrebbe pensare angeli o dei (dei quali in precedenza non si fa cenno); si ricordi peraltro, che come abbiamo altre volte detto “Elhoim”, il dio creatore della Genesi, è in realtà un sostantivo plurale e significa “Dei”.

14) secondo Max Heindel, che ha elaborato un sistema simile a quello di Steiner, le gerarchie angeliche sono Serafini, Cherubini, Signori della Fiamma, Signori della Sapienza, Signori dell’Individualità, Signori della Forma, Signori della Mente, Arcangeli, Angeli.

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