L’AFFASCINANTE STORIA DELL’ALBERO DI NATALE -quarta parte-

Sulla sommità dell’Albero Cosmico era collocato il paradiso, sul quale regnano Perun, Svarog, il dio del Fuoco, e suo figlio Dazbog, dio del Sole. Nei tempi più antichi sembra che gli Slavi concepissero un unico luogo, detto Vyraj, o Iriy, nel quale le anime ascendevano dopo la cremazione del corpo, ed in esso si pensava anche che gli uccelli trovassero riparo durante l’inverno per poi fare ritorno sula terra al sopraggiungere della primavera. Il “Vyraj” era immaginato come un meraviglioso parco circondato da un cancello di ferro che impediva ai vivi di entrarvi, del quale teneva le chiavi Svarog (1), che in veste di guardiano assumeva spesso le sembianze di un “Raròg”, un falco dagli occhi di fuoco, ovvero con il piumaggio interamente igneo (2); tale luogo era situato dapprima oltre la Via Lattea, poi, come abbiamo detto sopra, sulla chioma dell’Albero del Mondo. Qui le anime volavano come uccelli e nidificavano sui rami, -così che uccelli veri e propri e anime in forma di uccello vi si mescolavano ed erano in qualche modo interscambiabili- (3). Si credeva però che le anime dei defunti non rimanessero sempre nell’empireo ma, dopo un tempo più o meno lungo, tornassero ad incarnarsi scendendo nel grembo di una donna incinta trasportate da una Cicogna o da un Succiacapre (4)(5).

In seguito, forse anche per influenza cristiana, -ma si potrebbe anche supporre una precedente o contemporanea influenza germanica-, il luogo della dimora ultraterrena dei defunti fu sdoppiato e al Vyraj, collocato alla sommità dell’albero cosmico, che continuò ad essere la sede degli eletti, si aggiunse un luogo sotterraneo e tenebroso, chiamato “Nav”, dove erano destinate ad essere sprofondate le anime dei reprobi, in particolare degli assassini (e per questo esso appare paragonabile al Tartaro della mitologia greca), nonché di tutti coloro che fossero periti di morte prematura e violenta. In questo luogo triste e oscuro regnavano alcune entità inquietanti come Cernobog (il “dio nero”, figura che non sembra attestata per le età più antiche e forse derivata o influenzata dal “diavolo” cristiano), Morana, la dea della morte (immaginata sia come avvenente fanciulla, sia come orrida vecchia) e Zamj, un drago policefalo (a tre, sette o nove teste) corrispondente al Nidhoggr, il serpente degli Inferi della mitologia germanica. Le anime “dannate” erano dette “Nawie”, Nawki” (cioè abitanti del Nav) o “Makwa”, e, come i Lemures e le Larvae romane, gli “Aoroi” greci, gli “Ekimmu” mesopotamici, i “Preta” indù, ecc., potevano tornare dall’al di là a disturbare o tormentare i vivi se non fossero state adeguatamente placate.

Ma l’Albero del Mondo più conosciuto, più maestoso e più ricco di articolazioni spaziali e di motivi e di figura mitologiche è il Frassino cosmico della religione germanica, chiamato Yggdrasil, le cui radici penetrano nelle profondità infere e i cui possenti rami si estendono al di sopra di tutti i mondi e ricoprono i cieli. Esso attraversa tutti i nove mondi contemplati dalla cosmologia delle popolazioni germaniche e scandinave; sulla disposizione spaziale  dell’albero appaiono però nelle fonti che le descrivono (principalmente il poema Voluspa -il “Canto della Volva (profetessa)”-, il “Grimnismàl”, appartenenti al ciclo dell'”Edda poetica”; e il “Gylfaginning”, che fa parte invece dell'”Edda in prosa”), numerose oscurità e incongruenze, in specie per la difficoltà di conciliare il loro susseguirsi dall’alto in basso (o viceversa) lungo il tronco dell’albero con la loro collocazione sia su un piano orizzontale, sia su un asse nord-sud, incongruenze che lasciano supporre che si siano fuse due diverse concezioni cosmologiche; e non mancano differenze nemmeno sui nomi e le caratteristiche dei regni cosmici. L’insieme di questi ultimi si può tuttavia riassumere nel seguente elenco: dall’alto verso il basso abbiamo:

1) Aesheim, o Asgard, la dimora degli Asi -o “Aesir”-, gli dei celesti; i due termini appaiono talora sinonimi, ma più di frequente Asgard sembra potersi concepire come un monte, o una collina, sul quale si ergono le dimore degli dei, paragonabile dunque all’Olimpo greco; 2) Vanaheim, la dimora dei Vani, la “seconda categoria” delle divinità germaniche, legate alla Terra e alla fecondità; 3) Alfheim, la dimora degli Elfi bianchi, o Elfi di luce (“Liosalfar”); questi tre regni occupano la parte superiore dell’Albero cosmico;

4) Jotunheim, la terra dei Giganti -o per meglio dire dei Giganti del Gelo, o della Brina-; 5) Midgard, la “Terra di Mezzo” (o più precisamente il “recinto mediano”), abitata dagli uomini; 6) Svartalfheim, la terra degli Elfi neri  o Elfi delle Tenebre (D∅kkalfar) e talora anche degli Gnomi (Dvergar); quest’altra terna si trova nella parte intermedia dello spazio cosmico attraversato da Yggdrasil;

7) Muspellheim, il regno del Fuoco, dominato dal gigante Surtr (6); 8) il Niflheim, il regno delle Nebbie, del freddo e del ghiaccio; 9) *Helheim (7), il regno dei morti, di cui è regina Hel, figlia del dio distruttore Loki e dell’orchessa Angherboda; essi si estendono nelle profondità sotterranee tra le radici dell’Albero. I primi due regni si svilupparono rispettivamente dalla parte meridionale e settentrionale della voragine cosmica, l’abisso primordiale della cosmogonia germanica, il “Ginnungagap”, corrispondente al Chaos di quella ellenica: nel Muspellheim si condensa il calore dal quale sprizzano le scintille di una massa ardente e informe in movimento; il Niflheim invece diventa una enorme distesa di ghiaccio.

Non è ben chiara la differenza tra Niflheim e Helheim, il quale ultimo è senza dubbio la parte più profonda ed oscura del cosmo,- dove sono destinate a risiedere le anime dei malvagi-, ma a volte le due regioni vengono confuse. Similmente non si capisce bene se la sorte dei defunti sia unica per tutti coloro che non siano morti in battaglia, ovvero se diverso sia il destino dei virtuosi e dei malvagi, e se esista un vero e proprio luogo di punizione per questi ultimi. Tuttavia, i soli ai quali è riservata la sorte di poter dimorare nel Walhalla, situato in Asgard sono coloro che siano caduti combattendo valorosamente; là essi si esercitano febbrilmente in vista della battaglia finale tra le forze della luce e quelle delle tenebre, in cui dovranno aiutare gli dei nel corso dell’immane sconvolgimento che attende il mondo e l’umanità, il “Ragnarok”, il “Crepuscolo egli Dei”, dopo il quale sorgeranno un nuovo mondo e una nuova umanità, più giusta (e questa è la ragione per cui vengono accolti nel regno delle divinità e non certo l’esaltazione della violenza). Sappiamo che dopo la sconfitta dei figli del disordine (ma anche la distruzione della maggior parte degli dei e la grande conflagrazione cosmica, durante la quale anche Yggdrasil verrà abbattuto), tutti coloro che in vita avevano seguito la via della virtù e della pietà saranno assunti in una dimora celeste, detta “Gimlè” (si confronti il tedesco “Himmel” = “paradiso”), che si trova al di sopra di Asgard; ma sembra che fino ad allora anch’essi dovranno dimorare nello squallido regno di Hel. Alcuni testi lascerebbero supporre che mentre assassini, ladri, adulteri e tutti coloro che si sono macchiati di scellerati delitti vengano puniti in quest’ultimo -che sarebbe dunque equivalente al Tartaro ellenico-, coloro che hanno commesso colpe non gravi, o abbiano improntato la loro vita terrena all’onestà siano accolti nel NIflheim -paragonabile, pur se non uguale, al “Prato degli Asfodeli” della mitologia classica-; oppure che nell’Helheim si trovi una sezione, il Nàströnd, -la “Riva dei Morti”-, specificamente destinata ad essere castigo dei malvagi: essa giace sulle sponde del fiume infernale Slidhr, che scorre attraverso le “Valli del Veleno” e le cui onde sono costituite non di acqua, ma di taglienti coltelli e spade aguzze, pronte a trapassare i dannati che tentino di guadare il fiume. E’ probabile che le concezioni escatologiche, psicologiche e religiose in generale delle popolazioni germaniche siano oscillate secondo i tempi e i luoghi, per cui di quelle che ne erano le linee generali esistevano numerose varianti, ed in effetti le principali testimonianze che se ne conoscono risalgono ad epoche assai tarde dal IX secolo in poi e riguardano per lo più (in specie le due “Edde”, quella “poetica” e quella “in prosa”) le popolazioni scandinave e islandesi, mentre le conoscenze sulle credenze religiose delle popolazioni germaniche meridionali e orientali sono assai più vaghe.

Che la dimora dei defunti fosse unica (come per gli Assiri-Babilonesi e gli Ebrei) -ad eccezione, come si è detto, dei caduti in combattimento-, è dimostrato dal fatto che pure Balder, il dio della luce e incarnazione di tutto quanto è buono e santo, quando viene ucciso da Loki con uno sleale stratagemma, scende anch’egli agli Inferi, con immenso cordoglio degli dei e di tutta la natura, donde risorgerà soltanto dopo la palingenesi con la quale inizierà un nuovo ciclo cosmico e che riporterà nel mondo la pace e la giustizia.

In alcune varianti il Niflheim, mondo del freddo e del gelo, si troverebbe nel “piano medio” della tripartizioni cosmica a nord del “Midgard”, in direzione opposta al Muspellheim, mondo del fuoco e del calore torrido. Negli altri due punti cardinali verrebbero a trovarsi Jotunheim a est e Vanaheim a ovest. Il piano sul quale giacciono i cinque mondi centrali, secondo questo schema, sarebbe poi attraversato in verticale da un asse in cui si susseguono dall’alto in basso Aesheim (alla sommità del quale si trova Asgard), Alfheim, Midgard, Svartalfheim e Hel (o *Helheim): in tal modo il mondo degli uomini, il Midgard, sarebbe in posizione centrale, all’intersezione tra il piano orizzontale e l’asse verticale.

Tre sono le radici principali che sostengono il portentoso frassino Yggdrasil e con le loro complesse circonvoluzioni assicurano la stabilità del suo fusto, e che si dirigono verso il regno degli Inferi (Helheim), quello dei Giganti (Jotunhaim) e quello degli uomini (Midgard), accanto a ciascuna delle quali si trova una sorgente: secondo l’Edda in prosa (detta anche Edda di Snorri, dal nome del suo autore) però una delle radici non si stenderebbe verso il mondo degli umani, ma verso la sfera degli dei, l’Asgard. Presso quest’ultima radice è situata la fonte magica di Urdhr (o Urdharbrunn), cosiddetta dal nome di una delle tre Norne, -le dee del destino corrispondenti alle Moire greche e alle Parche romane- Urdhr, la più venerabile (8)-, dalla quale sgorga uno strano liquido che possiede la virtù di rendere qualunque oggetto venga irrorato con esso simile alla pellicola interna delle uova. In essa si abbeverano e si bagnano due splendidi uccelli dal candido manto, per la loro purezza consacrati agli dei, che sono i progenitori dei Cigni. In questo mistico luogo gli Asi tengono le loro solenni adunanze.

La seconda radice si protende nello Jotunheim, il mondo dei Giganti della Brina, ma si prolunga poi verso i confini dell’Universo, segnati dal cerchio dello zodiaco, l’Utgardhr. Qui si trova un’altra sorgente dotata di miracolosi poteri quella di Mìmir (Mìmirbrunn) (9) dove, come afferma Snorri, albergano sapienza e saggezza. A questa sorgente è preposta la testa del gigante Mìmir, il quale fu decapitato durante la guerra tra gli Asi e i Vani, dal quale essa trae il nome (10); ma Odino con un incantesimo e l’impiego di un unguento confezionato con erbe magiche riuscì ad imbalsamare la testa, che, se interrogata continua a dare responsi. Per poter bere un sorso di quell’acqua che conferisce la conoscenza delle cose passate e future e dei più oscuri segreti, il dio dovette lasciare nella fonte uno dei suoi occhi, e così sembra che pure dovette fare Heimdall, colui che, insieme al gallo Gullinkambi (“Cresta d’oro”), assolve alla funzione di guardiano dell’Asgard e del ponte Bifrost (l’arcobaleno) che congiunge il mondo umano a quello degli dei (11).

Quanto alla terza radice, essa scende verso il basso penetrando nelle tetre regioni ove albergano i trapassati, ovvero l’Helheim (secondo l’Edda poetica) o il Niflheim (secondo l’Edda di Snorri), e giunge fino ad un pozzo, chiamato Hvergelmir (“Caldaia tonante”), che è il serbatoio primordiale di tutte le acque dolci, -e corrisponde dunque all’Apsu (o Abzu) della mitologia sùmera e babilonese-. Da questo abisso terracqueo ha origine un grandissimo fiume sotterraneo, detto Elivagar, dal quale a loro volta si dipartono tutti i fiumi che scorrono sulla terra (ed è quindi simile all’Oceano ellenico) e che dopo aver compiuto il loro percorso ivi ritornano. Intorno a questa radice dimorano alquanti serpenti dei quali il più grande e malefico è Nidhoggr.

Risulta invero evidente che la disposizione delle radici che abbiamo testè descritto, una che scende verso gli Inferi, una che circonda il piano medio intorno ad Yggdrsil, e una che sale verso il regno degli dei, è piuttosto illogica e difficile da immaginare, per cui si può senza dubbio affermare che essa esprima un simbolismo metafisico e probabilmente rifletta anche una concezione astronomica (per cui le tre radici rappresenterebbero l’orizzonte, l’equatore celeste e l’eclittica, che sono i punti di riferimento cosmici propri della visione dalla Terra).

Le fronde, il tronco e le radici dell’albero sono abitati da diversi animali dotati di straordinarie virtù: sul culmine della chioma è posata una enorme aquila, della quale nelle fonti non viene riferito il nome, detentrice degli arcani segreti dell’universo, tra i cui occhi è ospitato il gufo Vedhrfölnir, simbolo della saggezza e della preveggenza. Quattro  cervi, il cui nome è Dainn, Dvalin, Duneyrr e Durathorr, si cibano incessantemente delle foglie e della corteccia del frassino, mentre tra le radici sono acquattati moltissimi serpenti i quali mordendole ed iniettando in esse il loro veleno causano terribili dolori ad Yggdrasil, che solo in parte sono leniti dalle cure delle Norne. Infine il tronco del frassino è percorso da un veloce scoiattolo, Ratatoskr (“Dente di topo”), che corre su e già dall’albero latore delle minacce e degli ammonimenti dell’Aquila ai serpenti che rodono le radici, i quali però non li ascoltano e continuano nella loro opera distruttrice. Tutti questi animali, e in particolare i serpenti, arrecano al frassino considerevoli danni ed enormi patimenti, ed esso senza dubbio morirebbe se le Norne non lo innaffiassero quotidianamente con le acque attinte dalla sorgente Urdhr e non ne spalmassero il tronco e le fronde con l’argilla intrisa con quell’umore dotato di miracolose virtù risanatrici.

In alcuni testi dell’Edda poetica (Voluspa, Havamàl, Grimnismàl) e dell’Edda in prosa (Gylfaginnig) si trovano menzionati altri due alberi mitici, chiamati l’uno Leradr e l’altro Mimameidr, delle cui foglie di Leradr si pascono il cervo Eikthyrnir e la capra Heidrun. dalle corna del cervo, il quale dimora nel Walhalla, stillano in continuazione numerose gocce che, confluendo negli abissi cosmici, formano il pozzo Hvergelmir, da cui si dipartono tutti i fiumi del mondo. La capra invece staziona in permanenza sul tetto della sala degli dei e ivi bruca incessantemente le foglie dell’albero Leradr (per cui è lecito pensare che tale pianta attraversi con il suo tronco la sala del Walhalla); dalle sue mammelle esce senza sosta l’idromele che suggono gli “Einherjar”, i guerrieri caduti in battaglia dimoranti nel Walhalla, in attesa di essere chiamati al combattimento cosmico finale che opporrà le forze degli dei e della luce a quelle oscure del disordine. Sull’albero Mimameidr alberga il gallo Vidòfnir (o Vidòpnir), nemico dei Giganti, che aspetta di annunciare col suo canto il giorno del Ragnarok, il “Crepuscolo degli Dei” (12) Tuttavia la maggior parte degli studiosi ritiene che i due alberi suddetti siano da identificare, o comunque siano delle varianti, di Yggdrasil.

Ricordiamo infine che il nome “Yggdrasil” significa, secondo la più accreditata etimologia, “Cavallo di Ygg”: Ygg è infatti uno dei nomi secondari di Odino, con il valore di “terribile”. Stando al mito narrato nell’Havamàl -“Canto dell’Eccelso”- (uno dei poemi che fanno parte del ciclo dell'”Edda poetica”), il dio Odino per acquisire la segreta sapienza delle rune, -i caratteri sacri dell’alfabeto germanico-, si sacrificò impiccandosi all’albero cosmico rimanendovi appeso per nove notti mentre era altresì trafitto da una lancia: poiché la forca era chiamata anche “albero degli impiccati”,  il Frassino fu detto “Cavallo di Odino”. Questa storia conferma d’altro canto come Yggdrasil compendi in sé oltre la funzione di albero cosmico, anche quella di depositario della sapienza.

Sarà bene precisare che il nome del dio Odino o Wodan (Odinn nelle lingue germaniche settentrionali o scandinave, derivato da una originaria forma *Wodinn, che corrisponde a Wodan, Wotan, Watan e forme simili proprie delle lingue germaniche meridionali e orientali) è derivato, o comunque connesso, ad una radice indo-europea *wat- che esprime l’idea del “soffiare”, primariamente in senso fisico, e dunque riferentesi al vento e alle forze aree della natura, e poi con significato derivato all’ispirazione poetica e alla rivelazione mistica (strettamente collegate nella sensibilità delle antiche genti indo-europee)(13). Pertanto la figura di Odinn-Wodan è omologa del vedico Vata, il signore del vento, e nelle religioni germaniche ha eclissato nella funzione di dio supremo il più antico dio-padre celeste Tyr o Tiwaz, omologo dello Zeus greco e dello Iuppiter latino, numi del cielo diurno e della luce solare. Notiamo per inciso che il dio-vento indoeuropeo, con le sue fondamentali valenze legate al movimento, alla comunicazione, e poi su un piano superiore di conoscenza, ispirazione, invenzione, scoperta (nel campo delle arti e delle scienze), si incarnò presso gli Elleni nella figura di Hermes, il quale si sovrappose e si fuse ad una divinità pelasgica pre-esistente, presumibilmente dei pastori, dai quali trasse pure il nome (14). Questi a sua volta fu poi associato dai Romani al loro Mercurio, divinità protettrice soprattutto delle attività artigianali e commerciali, da identificare con il Turms etrusco.

E’ per tale ragione che gli autori greci e romani che descrissero gli usi e i costumi dei Germani fecero corrispondere, e con fondato motivo, il dio Odino-Wodan ad Hermes-Mercurio, tanto che il quarto giorno della settimana latina, il “Mercurii dies”, in ambito germanico fu chiamato “Odhinsdagr”, in scandinavo e “Wodnesdaeg” in anglosassone, -testimoniate tuttora nell’inglese “Wednesday” e nel tedesco “Wotanstag”- (15).

Il Frassino, insieme all’Olmo, nella mitologia germanica, -ma pure in altre tradizioni indo-europee-, riveste una particolare importanza nell’antropogenesi: infatti i primi due esseri umani, uno di sesso maschile e uno di sesso femminile, risultarono dalla trasformazione, -o se vogliamo dire così dalla “sublimazione”- operata da Odino e da altre due figure divine, -la cui identità varia nelle diverse fonti, ovvero nelle opere comprese nelle due raccolte dell'”Edda poetica” e dell'”Edda di Snorri”-, di un frassino (“Askr”) e di un olmo (“Embla”), divenuti rispettivamente un uomo e una donna. Secondo il “Gylfaghinning” (“L’inganno di Gylfi” che fa parte dell’Edda in prosa), dopo la creazione del cosmo, -derivato dal corpo del Macroantropo (o Protoantropo) Ymir- i figli di Borr e di Besta, -Odini, Vili e Vè- si imbatterono nei due alberi mentre passeggiavano sulla riva del mare: Odino conferì ad essi il respiro e la vita; Vili l’intelletto e il movimento; Vè l’aspetto fisico, l’udito, la vista e la parola. Si noti peraltro che i nomi Vili e Vè più che vere e proprie figure mitiche caratterizzate in modo individuale, sembrano designare concetti astratti personificati (un po’ come Temi, Irene, Dike, ecc. nella mitologia greca) e dovrebbero corrispondere all’incirca a “volontà” e “rettitudine”. Nella versione riportata nella “Voluspa” (“Il canto dell’indovina”) a compiere il miracolo furono invece, oltre a Odino, Honir e Lodhurr, i quali avrebbero donato alle due creature rispettivamente il respiro, l’anima e il calore vitale.

Ma anche nella mitologia greca all’albero del Frassino è attribuita un parte non secondaria nell’antropogenesi: infatti secondo quanto narra Esiodo in “Le opere e i giorni”, la terza generazione umana, quella dell'”Età del Bronzo”, sarebbe nata dalle radici dei frassini, i quali erano a loro volta indissolubilmente legati alle ninfe Melìadi (o Melie). Queste ultime però, da quanto apprendiamo dal medesimo autore (“Teogonia”, 183-187), erano nate, -così come i Giganti, le Erinni ed Afrodite-, dal sangue di Urano allorché questi fu evirato da suo figlio Crono (16). E pure nella credenza zoroastriana esposta nel “Bundahishn”, -“Il Libro della Creazione”, risalente nella forma ora conosciuta al IX secolo, ma che riprende una dottrina assai più antica-, la prima coppia umana, costituita da Mashya e Mashyana, sarebbe uscita da un albero spuntato dal cadavere di Gayomart, il Protoantropo ermafrodito, la sesta creazione di Ahura Mazdah (17), il quale era stato ucciso dalla “druj” (demone) Jahi, mandata da Angra Mainyu, l’avversario malvagio di Ahura Mazdah; essi generarono a loro volta quindici coppie di gemelli, che diedero origine a tutte le nazioni della terra.

Una variante dell'”Albero Cosmico” è l'”Albero del Sole” (“Saules Koks”)(18), che troviamo nella religione delle popolazioni baltiche, il quale sorge alla sommità della “montagna del Cielo”, ed è descritto come una Quercia, un Tiglio o un Melo, ma con la significativa peculiarità di avere il tronco e la chioma d’oro e d’argento. Questo albero prezioso è concepito come “centro del mondo”, ma nel medesimo tempo anche come “albero della vita”, fondendo dunque insieme i principali simbolismi che sono espressi dall’archetipo dell'”Albero”, e appare abbastanza simile agli alberi cosmici dei Calmucchi, dei Kazaki e altre popolazioni turco-mongole che abbiamo visto nella parte precedente della presente ricerca.

CONTINUA NELLA QUINTA PARTE

Note

1) Svarog (o Svaroga, o secondo altre attestazioni del nome Svàrozic, Zuaràsici, ecc.) è da mettere in relazione con lo “Svarga”, il terzo dei cieli o dei mondi contemplati nella religione vedica  (i “Saptaloka”, i “Sette Luoghi”, -come in latino “septem loca”-), che è il paradiso di Indra il dio della folgore.

2) talora il “Raròg” era immaginato come un drago di fuoco, o un vento infuocato. Da questa creatura ha tratto origine la leggenda dell'”Uccello di Fuoco”, che ispirò il celebre balletto di Igor Stravinsky. Tuttavia il mitico “Uccello di Fuoco” che compare in diverse fiabe russe ha senza dubbio delle analogie e probabilmente una parentela con il Simurgh persiano: ad esempio in “L’Uccello di Fuoco e il principe Ivan”, nota nelle redazione di Alexsandr N. Afanasiev (1826-1871) quando viene catturato e poi liberato dal principe gli dona una delle sue piume che dovrà mettere nel fuoco qualora si trovi in difficoltà per avere il suo aiuto, analogamente a quanto fa Simurgh con l’eroe persiano Zal al momento in cui quest’ultimo si congeda da lui.

3) la concezione delle anime come “uccelli” è tipica delle religioni sciamaniche dell’Asia e dell’Europa settentrionali, ma se ne puo vedere testimonianza anche nella raffigurazione dell’anima -“ba”- come uccello antropocefalo nell’antico Egitto. Tracce di questa idea sono presenti anche nella Grecia antica in cui le Sirene e le Arpie sono probabilmente rappresentazioni di anime dannate e tentatrici (o disturbatrici) divenute personaggi mitologici a sé stanti.

4) da questa credenza potrebbe essere derivata quella per cui i neonati sarebbero “portati dalla cicogna”. In effetti però la più probabile origine di tale convinzione è la seguente: nell’Europa settentrionale quando le cicogne all’inizio della primavera facevano ritorno dall’Africa dopo la migrazione invernale i focolari della case erano in genere spenti; tuttavia si continuava a riscaldare le case nelle quali era stato da poco partorito un bambino, così che le cicogne sceglievano di preferenza, per fare o restaurare i loro nidi, i camini di queste ultime donde usciva il calore. Per tale ragione si poteva arguire che le case che avevano un nido di cicogne sul camino fossero quelle dove era avvenuta una recente nascita e dunque si cominciò ad associare la cicogna ai neonati e a dire ai fanciulli che i bambini appena nati erano stati portati da questo uccello. Tuttavia nulla vieta di ritenere che la spiegazione di natura mitologica e quella “razionale” si siano sovrapposte e influenzate reciprocamente.

5) è evidente dunque che la credenza nella “metensomatosi”, sia pure in forma grezza, era già presente presso alcune popolazioni indoeuropee.

6) Muspellhaim è definito a volta nelle fonti nordiche il regno dei “figli di Muspell”, ma il termine “Muspell” non si sa bene a chi si riferisca, se a un personaggio o a un luogo mitico di cui finora non si conosce nulla; è possibile che sia un altro nome di Surtr. E’ certo però che i “figli di Muspell”, siano i giganti del Fuoco.

7) in effetti nelle fonti codesto regno è indicato con il nome di Hel, identico a quello della sua regina, ma nei testi moderni è invalso anche l’uso di Helheim (= Casa di Hel) per parallelismo con i nomi delle altra sezioni cosmiche.

8) le altre due Norne sono Verdhandi e Skuld, nomi che insieme a quello di Urdhr, possono essere tradotti rispettivamente come “passato”, “presente” e “futuro”.

9) il nome “Mimir” è connesso con il latino “memini” = ricordare, e con il sanscrito “smarti” = memoria, per cui indica la capacità di scrutare con la mente.

10) la guerra tra le due classi di divinità germaniche si concluse con un patto per sancire il quale avvenne uno scambio di ostaggi: gli Asi Hanir e Mimir furono accolti tra i Vani (anche se poi il secondo ricevette il brutale trattamento che abbiamo detto), mentre Njordhr, dio del mare, con i suoi due figli Freyr e Freyja, entrarono nella cerchia degli Asi. La ragione per la quale Mimir subì la condanna alla decapitazione fu che i Vani si accorsero che i veridici responsi loro dati da Hönir erano in realtà suggeriti da Mimir.

11) questo personaggio aveva la strana peculiarità di avere ben nove madri, in genere identificate con le Ondine, -il padre però era uno solo, Odino-. Suo attributo costante è la tromba Gjallarhorn (“Corno risonante”), i cui squilli si odono a tutti gli angoli del mondo. Secondo alcune interpretazioni dovrebbe corrispondere al vedico Agni, il dio del fuoco benefico, con il quale condivide alcune caratteristiche come l’eccezionale acutezza dei sensi e il compito di vigilare sull’ordine cosmico.

12) altri due galli sono demandati ad annunciare con il loro canto il momento della conflagrazione cosmica, da cui dovrà nascere un nuovo mondo: Fjalarr e Gullikambi (“Cresta f’oro”) -il volatile che insieme ad Heimdall è posto a guardia del ponte Bifrost-. Nella “Voluspa” al posto di Vidòfnir appare un gallo innominato di color rosso bruno residente in Hel.

13) da tale radice derivano anche i termini latini “ventus”, -come energia fisica dell’aria – e “vates”, cantore inspirato, profeta.

14) tra le prerogative attribuite a questa figura divina rientra anche quella di “psicopompo”, ovvero di accompagnatore delle anime dei defunti verso il regno oltremondano, che in Odino risalta soprattutto quando egli guida la “caccia selvaggia”, della quale abbiamo parlato nella parte precedente della presente trattazione.

15) nell’uso moderno è però prevalso il termine “mittwoch” -“metà settimana”-, che si differenzia dai nomi degli altri giorni (Sontag -domenica-; Donnartag -giovedì-, ecc.).

16) dobbiamo peraltro osservare che mentre nel mito germanico il frassino a cui assimilato l'”Albero Cosmico” e a cui è attribuita l’origine degli umani è senza dubbio da riferire alla specie “Fraxinus excelsior”, la varietà del genere “Fraxinus” più imponente e più diffusa nell’Europa centro-settentrionale, il frassino della tradizione greca è di certo la “Fraxinus ornus”, e forse anche la “Fraxinus angustifolia”, alberi di minori dimensioni e più diffusi nell’Europa meridionale, da quali si estrae per incisione del tronco un liquido dolciastro, che rapprendendosi forma la cosiddetta “manna”, usata come dolcificante e lassativo naturale (e divenuta invero negli ultimi tempi quasi introvabile). Sono questi gli alberi designati dal vocabolo greco μελìα, da cui il nome delle ninfe Meliadi, derivante dalla medesima radice presente in μελι = miele, μελισσα = ape (produttrice di miele), nonché nel latino “mel, mellis”, e loro attribuito per la linfa dolce di cui essi sono dotati. Per indicare la “Fraxinus excelsior”, il greco ricorreva al termine βουμελíα, letteralmente “frassino dei buoi”. Si deve considerare peraltro che gli elementi essenziali della religione e della mitologia elleniche derivano dal comune sostrato indo-europeo formatosi nelle regioni tra Europa e Asia settentrionale da cui si sono mosse tutte le popolazioni indoeuropee; e che quindi le espressioni spirituali di esse vanno inquadrate, almeno all’origine, nell’ambiente naturale proprio di quelle regioni, pur se in seguito nella loro evoluzione le religioni indo-europee si adattarono e subirono l’influenza dei territori nei quali tali popolazioni andarono a stabilirsi. Non è da escludere pertanto che il Frassino da cui nacquero gli esseri sia la “Fraxinus excelsior”, albero tipico delle regioni europee centro-settentrionali dove si erano formato il nucleo dei loro miti.

17) le cinque creazioni precedenti sono nell’ordine: il Cielo; l’Acqua; la Terra; la Pianta primordiale; la Mucca antenata di tutti gli animali. Quest’ultima corrisponde all’analoga Mucca della mitologia germanica, chiamata Audumbla, la quale leccando un enorme blocco di ghiaccio porta alla luce il protoantropo ancestrale corrispondente al Gayomart iranico.

18) Saule è la divinità femminile del Sole presso i Balti, immaginata come una leggiadra fanciulla dal biondo crine, -mentre il secondo astro principale del Cielo, la Luna, è personificata da una dio maschile, Meness (nome che ha una perfetta corrispondenza con quelli attribuiti alla Luna, almeno in origine, dalla maggior parte delle popolazioni indoeuropee: Mene per i Greci, Mensis per i latini, Ma per i Persiani, Men per gli Anatolici, Mona per i Germani, ecc.)-; Meness ha la caratteristica, insolita per una divinità femminile, di essere soprattutto un guerriero, un generale di cui le stelle sono l’esercito. La concezione mitologica del Sole quale figura femminile è piuttosto rara (ricordiamo ad esempio Shapash, dea solare dei Cananei e degli Arabi, e la dea del Sole di Arinna ittita); più frequente è il caso che la Luna sia espressa sul piano mitico da una figura maschile -Thoth egizio, Sin babilonese, Yarich fenicio-cananeo, Men anatolico-.

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